• Giurisprudenza
  • Guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza di stupefacenti ed omicidio stradale, Illeciti penali
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Accertamento del tasso alcolemico, prelievi ematici e onere probatorio

Corte di Cassazione, Sezione IV penale
Sentenza n. 34857 del 17 luglio 2017

Guida in stato d’ebbrezza – prova della condotta – prelievo ematico – esami clinici in struttura ospedaliera – consenso dell’imputato – riparto dell’onere della prova – valenza in astratto della cd. curva alcolimentrica – non sussiste – prova in concreto di altri fattori - sussiste

In tema di guida in stato di ebbrezza, quando l’accertamento del tasso alcolemico si evince dai risultati del prelievo ematico effettuato a seguito di ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica, è irrilevante l’eventuale mancanza di consenso dell’imputato. Viceversa il  soggetto può opporre il rifiuto al prelievo ematico nel caso in cui questo sia unicamente finalizzato all’accertamento del tasso alcolemico, trattandosi di un esame invasivo che viola i diritti della persona. 

Inoltre in tema di riparto dell’onere della prova tra le parti, la sentenza ribadisce che la prova del reato deve essere fornita dalla Pubblica Accusa, in base a quanto stabilito nel Codice della Strada, viceversa grava sull’imputato l’onere di provare l'eventuale presenza di fattori che inficiano  la valenza dimostrativa della predetta prova, quali possono essere: l’aver assunto bevande alcoliche successivamente alla cessazione della guida, l’essere portatore di patologie che alterano il metabolismo dell'alcol oppure l’esistenza di un difetto dello strumento di misurazione o di altre cause. Non costituisce una causa in astratto, nel caso di decorrenza di un consistente lasso temporale tra la condotta di guida e l’esecuzione del test alcolemico, l'incidenza della cd. curva alcolimetrica. 

(…)

 

Ritenuto in fatto

 1. A. A. ricorre, personalmente, avverso la sentenza della Corte di Appello indicata in epigrafe che ha confermato la sentenza con cui, in primo grado, era stato condannato in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 186 co. 2 lett. c), 2 bis, 2 sexies CDS in Parma il 20/8/2011.

 2. Il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza impugnata, ribadendo le questioni già proposte in appello e quindi:

a)

che il sinistro stradale non era in alcun modo riconducibile all'alterazione conseguente all'assunzione di sostanze alcoliche e/o psicotrope bensì, come dichiarato in sede di esame, a una mera distrazione dovuta alla caduta accidentale di una sigaretta nel tentativo di recuperarla;

b)

il mancato avviso della finalità del prelievo ematico (per finalità diverse da quello curativo/terapeutico) e la mancata sottoscrizione del consenso informato, quindi mancato avviso al difensore del relativo accertamento;

c)

la inattendibilità della metodica, utilizzata sul campione di sangue prelevato (nel caso di specie, solo su plasma con metodo enzimatico considerato aspecifico rispetto al metodo gascromatografico, dotato di attendibilità e di specificità);

d)

la mancata osservanza di tutte quelle cautele e garanzie previste dal D.M. del 25 febbraio 2005 atte a garantire, in ipotesi di sinistro stradale e qualora il soggetto venga sottoposto a cure mediche, il sacrosanto diritto della persona in ordine alla correttezza e genuinità dell'accertamento.

 Il ricorrente si sofferma, in particolare, sul tempo trascorso tra l'accertamento e l'incidente e sul rilievo della c.d. curva alcolimetrica.

 Da ciò, in subordine, chiede la riqualificazione del fatto nell'ipotesi di cui alla lettera a) dell'art. 186 CDS e comunque deduce l'intervenuta prescrizione del reato. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

 

Considerato in diritto

 1. Il ricorso è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente, non senza evocare, in larga misura, censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.

 2. La Corte territoriale evidenzia logicamente che il differimento temporale dell'accertamento alcolemico rispetto al fatto reato di guida in stato di ebbrezza è inevitabile, specie nei casi, come quello in esame, in cui a causa delle lesioni riportate in un sinistro, il conducente venga condotto in ospedale per esami clinici funzionali ad accertarne le condizioni fisiche e comunque che nello specifico, oltretutto, tra il momento del sinistro (ore 15 circa) - la cui dinamica comprova in sé obnubilazione ed inesistente capacità di controllo del veicolo da parte del conducente - e l'esame ematico (ore 16.08) non passò un lasso temporale consistente e tale da poter anche solo ipotizzare che A. A. quando era alla guida avesse un tasso innocuo, nei limiti di cui all'art. 186. co 2 lett a) CDS.

 L'elevato tasso riscontrato in A. A. alle ore 16.08 dimostra inequivocabilmente che, prima di mettersi alla guida, egli aveva ingerito sostanza alcoliche in quantità massiccia, le cui conseguenze sull'organismo sono state riscontrate dall'accertamento clinico espletato ed i cui effetti sulla capacità psico-fisica vengono ad essere confermati dalla stessa condotta di guida tenuta da A. A., incapace di controllare il veicolo da lui condotto. Persino dalla giustificazione da lui addotta (piegamento per raccogliere la sigaretta caduta) si deduce la sua alterazione mentre era alla guida, poiché, se fosse stato sobrio ed in grado di valutare i rischi dei propri gesti, non avrebbe mai distolto la propria attenzione dalla strada per occuparsi di ciò che avrebbe tranquillamente potuto fare dopo avere accostato e fermato il veicolo a lato della carreggiata.

 La sentenza si pone in linea con la ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui, in relazione all'incidenza del decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l'esecuzione del test alcolemico, occorre tener conto della distribuzione degli oneri probatori tra le parti. La prova del reato, che grava sulla alla Pubblica Accusa, per espressa indicazione normativa (e per radicata interpretazione giurisprudenziale), è già data dall'esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal Codice della strada e dal relativo regolamento. L'onere di provare l'eventuale presenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell'accertamento non può, invece, che gravare sull'imputato, al quale compete di dare dimostrazione, ad esempio, di aver assunto bevande alcoliche successivamente alla cessazione della guida, di essere portatore di patologie che alterano il metabolismo dell'alcol o di un difetto degli strumenti di misurazione utilizzati dagli accertatori e così seguitando.

 Anche l'incidenza della cd. curva alcolimetrica - prescindendo dalla valutazione dei suoi fondamenti scientifici - non può essere chiamata in causa in astratto, andando, viceversa, concretamente dimostrato che, per aver assunto la sostanza alcolica in assoluta prossimità al momento dell'accertamento o per altra ragione, il tasso esibito dalla misurazione strumentale eseguita a distanza di tempo non rappresenta la condizione organica del momento in cui si era ancora alla guida.

 In tal senso va ribadito il principio di diritto già affermato da questa Corte secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolemico nel sangue mediante prelievo eseguito in conformità alla previsione normativa, grava sull'imputato l'onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell'accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato. E a tale riguardo non è sufficiente il solo lasso temporale intercorrente tra l'ultimo atto di guida e il momento dell'accertamento" (Sez. 4, n. 24206 del 4/3/2015, Mongiardo, Rv. 263725; conf. Sez. 4, n. 40722 del 9/9/2015, Chinello, Rv. 264716). Ne consegue la genericità della doglianza sul punto, non rappresentativa di concrete evenienze in grado di privare di valenza dimostrativa l'accertamento strumentale.

 3. Quanto alla sostanziale inutilizzabilità dell'accertamento clinico sul sangue, prospettata dall'appellante, che lamenta il mancato rispetto dei protocolli medici sottolineando, in concreto, solo due aspetti, ovvero il frettoloso e forzato inserimento del catetere da parte dell'infermiera ed il metodo enzimatico utilizzato per l'esame sul plasma e non sul sangue - metodo che si assume "aspecifico in quanto rileva anche altri alcool che interferiscono con quello etilico" - la Corte territoriale rileva l'inconferenza di ciò che avvenne in ospedale nel corso della raccolta di altri liquidi biologici, tanto più in quanto il tribunale non ha ritenuto significativo l'esarnè tossicologico effettuato sulle urine, nonché l'idoneità del plasma - componente del sangue in cui sono sospese le cellule sanguigne ed in cui sono presenti i prodotti del metabolismo organico - a fungere, da liquido biologico per l'espletamento degli accertamenti alcolimetrici. In relazione alla metodologia di analisi, rileva correttamente, infine, che, come già espresso dal tribunale, pur potendo quella enzimatica evidenziare altri tipi di alcool nell'organismo oltre a quello etilico, nessun dato clinico od anamnestico emerge sull'ingestione od inalazione dei primi da parte di A. A., il quale nulla ha riferito al riguardo, dovendosi, inoltre escludere, data la loro natura, un'esposizione involontaria ed inconsapevole agli stessi.

 La Corte territoriale, con motivazione logica, conferma la valutazione già operata in primo grado per cui la potenziale discordanza percentuale in ribasso, pari al 20%, tra i risultati del metodo enzimatico e di quello gascromatografico, ritenuto dall'appellante più preciso - discordanza che determina decurtazione, in tale percentuale, del tasso alcolemico emerso con l'indagine enzimatica - farebbe in ogni caso rientrare il valore riscontrato su A. A. nei limiti di cui: all'art. 186 co 20 lett. c) D.Lgv 285/92.

 Per quanto concerne l'addotta violazione di altre e diverse regole protocollari vigenti per i casi di accertamento sui conducenti coinvolti in incidenti stradali, già la Corte territoriale aveva evidenziato la genericità dei motivi che le erano stati proposti, così come di quelli odierni, aggiungendo peraltro come, dall'operato del personale medico e paramedico, alcuna verifica da parte di questa Corte, nulla emergendo dagli atti processuali in meritò all'inosservanza di obblighi regolamentari dal parte degli operatori sanitari che si occuparono di A. A.

 I giudici del gravame del merito avevano già confutato, con motivazione logica e aderente ai principi di diritto più volte affermati da questa Corte di legittimità anche la doglianza oggi riproposta in ordine all'avvenuta esecuzione degli accertamenti ematici, senza previo avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

 Viene, infatti, dato atto, in sentenza, che nel caso di specie, l'accertamento risulta essersi reso necessario ai sensi degli art. 187 comma 4 e 186 comma 5 CDS, a seguito delle lesioni riportate dall'imputato in occasione dell'incidente stradale, cui il medesimo dava causa, che rendevano necessario un suo ricovero ospedaliero.

 In tal senso questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che per l'accertamento del reato contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza, sono utilizzabili i risultati del prelievo ematico che sia stato effettuato, secondo i criteri e gli ordinari protocolli sanitari di pronto soccorso, durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di incidente stradale, trattandosi, in tal caso, di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica, con conseguente irrilevanza, a questi fini, della eventuale mancanza di consenso (cfr. ex multis sez. 4, n. 26108 del 16.5.2012, Pesaresi, rv. 253596; conf. sez. 4 n. 22599/05, che ebbe ad esaminare una fattispecie in cui il tribunale aveva assolto l'imputato ritenendo non utilizzabili i risultati dell'esame ematico che era stato compiuto secondo i normali protocolli di pronto soccorso presso l'ospedale dove il soggetto era stato trasportato per le lesioni riportate dopo un incidente stradale e, in accoglimento del ricorso presentato dal P.M., in applicazione del principio di diritto così affermato, annullò la sentenza di assoluzione, con rinvio al tribunale per nuovo esame della vicenda).

 Va dunque ribadito che è diritto del soggetto opporre il rifiuto al prelievo ematico solo se questo è finalizzato unicamente all'accertamento di eventuale presenza di sostanze alcoliche nel sangue, trattandosi di un esame invasivo, con violazione dei diritti della persona: nella concreta fattispecie, invece, come già evidenziato, il prelievo ematico è stato effettuato presso una struttura ospedaliera nell'ambito del protocollo medico di pronto soccorso a seguito di incidente stradale; né rileva, con riferimento a prelievo effettuato nell'ambito del protocollo di pronto soccorso a seguito di incidente, che possa esservi stata anche una richiesta della Polizia Giudiziaria (cfr. questa Sez. 4, n. 6755 del 6/11/2012 dep. il 2013, Guardabascio, rv. 254931).

 Questa Corte di legittimità ha anche chiarito che, in tema di guida in stato di ebbrezza, il prelievo ematico compiuto autonomamente dai sanitari in esecuzione di ordinari protocolli di pronto soccorso, in assenza di indizi di reità a carico di un soggetto coinvolto in un incidente stradale e poi ricoverato, non rientra tra gli atti di polizia giudiziaria urgenti ed indifferibili ex art. 356 cod. proc. pen., di talché non sussiste alcun obbligo di avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ai sensi dell'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. (sez. 4, n. 38458 del 4.6.2013, Grazioli, rv. 257573; conf. sez. 4, n. 34145 del 21.12.2011 dep. 6.9.2012, Invernizzi, rv. 253746).

 4. Né può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.

 La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).

 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

Per questi motivi

 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle ammende.

 

Così deciso in Roma l'8 giugno 2017.

 

Il Presidente: DI SALVO

Il Consigliere estensore: PEZZELLA

 

 

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2017.

 

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