• Giurisprudenza
  • Urbanistica, territorio e infrastrutture, Veicoli ed equipaggiamenti
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Attività di rimessa in roulotte

Tar Veneto III sez.
26 agosto 2007, n. 2782

Rimessa roulottes – autorizzazione – art. 86 TULPS – provvedimento di cessazione attività – mancata comunicazione di avvio – art. 7 legge 241/90 – non annullabilità – art. 21 octies 241/90 Rimessa roulottes – autorizzazione – art. 86 TULPS autorizzazione per la rimessa di autoveicoli e vetture – artt. 54 e 56 cod. strad. – concetto di autoveicolo – natura della roulotte – sussistenza dell’obbligo

 

 La mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7 legge 241/90 non comporta l’annullamento dell’atto quando, comunque, il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

La roulotte deve essere considerata ai sensi dell’art. 86 TULPS vettura, per la cui attività di “ricovero” è necessaria specifica autorizzazione.Inoltre, pur qualificando la roulotte come rimorchio la norma de qua  è suscettibile di interpretazione estensiva in quanto “certamente il servizio commerciale di ricovero per mezzi mobili, adibiti al trasporto di persone, non presenta caratteristiche diverse, siano essi semoventi o meno, ed esige dunque le stesse cautele e la stessa vigilanza amministrativa”

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1.1. Preliminarmente, va osservato che i difensori del Comune di Venezia hanno dichiarato di rinunciare al mandato, poiché, con l.r. 11/99, è stato istituito il Comune di Cavallino-Treporti, il quale, giusta art. 3 l.r. cit., subentra in tutte le situazioni giuridiche attive e passive del Comune di origine e, per l’effetto, anche nella presente vertenza, la quale involge questioni relative ad immobili siti nel territorio del Comune di nuova istituzione.1.2. Ad avviso del Collegio ciò non comporta, peraltro, l’interruzione del giudizio, poiché l’art. 24, I comma, della l. 6 dicembre 1971 n. 1034, il quale ne disciplina l’applicazione al processo amministrativo, si riferisce esclusivamente alle parti private e non a quelle pubbliche, per cui la fattispecie della successione tra enti pubblici risulta tuttora disciplinata dall'art. 92 r.d. 17 agosto 1907, n. 642, in forza del quale la morte o il cambiamento di stato di una delle parti non sospende il processo amministrativo.1.3. D’altro canto, la rinuncia al mandato non determina per tale l’interruzione, né produce comunque effetti nei confronti dell’altra parte sino alla sostituzione del difensore (art. 85 c.p.c.).2. Il provvedimento impugnato ha disposto la cessazione immediata dell’attività di rimessaggio roulottes svolta da Guido Xxxxxxxxx in un’area recintata in località Venezia - Ca’ Savio, e ciò in quanto l’interessato non disponeva della autorizzazione di cui all’art. 86 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773.3.1. L’ordine è anzitutto impugnato per violazione degli artt. da 4 a 10 della l. 7 agosto 1990, n. 241, in quanto non sarebbe stato data all’interessato tempestiva notizia di avvio del procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato.3.2. Orbene, come già rilevato nelle decisioni 1222/07 e 636/07 della Sezione, la doglianza non può essere accolta per un duplice ordine di motivi.Intanto, come stabilito da costante giurisprudenza, l’art. 7 non va interpretato in modo rigido e pedissequo, ed ammette eccezioni, quando la parte istante sia stata comunque posta in condizioni di conoscere dell’esistenza del procedimento: in specie, come risulta dal rapporto 6 settembre 1995 della polizia municipale, lo Xxxxxxxxx era presente al momento in cui gli fu elevata contravvenzione perché effettuava “su area di circa 6.000 mq., recintata, sita alla intersezione tra la via Brigata Volturno e la via Fausta … l’esercizio del parcheggio roulottes senza essere in possesso della prescritta autorizzazione”, ospitando, al momento, 96 roulottes disposte su quattro file parallele.Inoltre, poiché la licenza di cui all’ art. 86 r.d. 773/31 è prescritta per l’attività de qua (cfr. T.A.R. Veneto, 27 febbraio 2007, n. 562), e, pacificamente, l’interessato all’epoca non ne disponeva, l’ordine di chiusura costituiva atto dovuto: il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, e dunque il provvedimento non sarebbe comunque annullabile, ex art. 21 octies l. 241/90.4.1. Nel secondo motivo di ricorso si afferma l’incompetenza del direttore di settore ad emanare l’atto gravato, in luogo del sindaco, né l’eccepita incompetenza potrebbe venire sanata dalla deliberazione 28 dicembre 1993, con la quale il sindaco di Venezia aveva incaricato i dirigenti responsabili dei servizi nell’ambito della gestione amministrativa loro attribuita, di firmare gli atti per i settori di rispettiva competenza.Qust’ultimo provvedimento, infatti, si limita a trasferire la competenza alla firma, mentre l’atto in questione è stato adottato, e non solo sottoscritto, dal dirigente.4.2. Orbene, la delega di firma, distinta dalla delegazione, la quale concerne i poteri, non comporta spostamento di competenza: il delegato ha cioè solo il potere di sottoscrivere l’atto, che resta imputato al delegante, sul quale permangono le correlate responsabilità.Tuttavia, nel caso di specie si è verificata, anche se mal esternata, proprio questa evenienza.Nel provvedimento si dà infatti espressamente atto che il direttore del settore si limita, in esecuzione della citata deliberazione 1593/93, ad apporre la propria sottoscrizione all’atto, il quale resta del sindaco; nessun elemento induce invece a ritenere che il provvedimento sia stato anche adottato, nel suo contenuto dispositivo, dal dirigente stesso, come sarebbe sostenibile se non fosse stato espressamente richiamata la “delega di firma”. (conf. T.A.R. Veneto, III, 636/07).5.1. Nel terzo motivo – violazione dell’ art. 86 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773; violazione degli artt. 54 e 56 del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285; eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti; travisamento dei fatti; eccesso di potere per sviamento; carenza di motivazione – si rappresenta anzitutto che lo Xxxxxxxxx svolgerebbe in Ca’ Savio un’attività artigianale e commerciale di riparazione e vendita di tende e roulottes.Nell’ambito di tale attività sarebbe “del tutto secondaria la sosta, nell’area scoperta di cui il ricorrente stesso dispone, di roulottes di proprietà di terzi, ai quali viene concessa la possibilità di occupare precariamente l’area”, senza che egli si assuma ulteriori obblighi accessori di custodia.Sarebbe allora arbitrario affermare che lo Xxxxxxxxx esercita costì attività di rimessa: sia perché egli non gestisce un garage, dove custodisca le roulottes, sia perché queste sono rimorchi e non autoveicoli, nei cui confronti soltanto tale attività potrebbe venire esercitata.Inoltre, il legislatore avrebbe ritenuto di fissare specifiche prescrizioni per le autorimesse a tutela dell’incolumità degli utenti, che, altrimenti, “potrebbero subire conseguenze dannose da una indiscriminata gestione dell’attività”: esigenza che mancherebbe, nel caso dell’attività di sosta autorizzata svolta dal ricorrente.5.2. Orbene, l’art. 86 del r.d. 773/31, nel testo all’epoca vigente, stabiliva che, senza licenza di pubblica sicurezza non possono esercitarsi, oltre ad attività di pubblico esercizio e sale giuochi, “esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture, ovvero locali di stallaggio e simili”.Come si è visto, secondo il ricorrente la roulotte non rientrerebbe nella nozione di “autoveicolo”, ex art. 54 cod. strada, ma piuttosto in quella di rimorchio, ai sensi del successivo art. 56, e non troverebbe dunque ad essa applicazione quanto stabilito dal citato art. 86.5.3. Invero, lo Xxxxxxxxx sembra ignorare che quest’ultima disposizione agli “autoveicoli” – cioè ai veicoli che si spostano da soli - accomuna “le vetture”: e non v’è dubbio che, soprattutto nell’accezione dell’epoca, queste siano i veicoli su ruote, pattini ed equivalenti, destinati al trasporto di cose e persone  ma non semoventi, come le carrozze a cavalli o, appunto, le roulottes.In ogni caso, poi, è da soggiungere come lo stesso art. 86 sia suscettibile d’interpretazione estensiva – cfr. C.d.S., V, 29 novembre 2005, n. 6726 e id. 8 gennaio 1998, n. 60 – e certamente il servizio commerciale di ricovero per mezzi mobili, adibiti al trasporto di persone, non presenta caratteristiche diverse, siano essi semoventi o meno, ed esige dunque le stesse cautele e la stessa vigilanza amministrativa.5.4. Quanto poi all’affermazione che lo Xxxxxxxxx non si assumerebbe la custodia dei veicoli, si tratta di affermazione assolutamente indimostrata.Ora, data la situazione di fatto accertata (uno spazio cintato che conteneva al suo interno svariate decine di veicoli, ordinatamente disposti), è da ritenere che l’onere di fornire la prova del tipo di contratto, stipulato con i proprietari (segnatamente deposito o locazione), e delle connesse obbligazioni, gravasse sul ricorrente, il quale ne aveva la piena disponibilità, riferendosi ai rapporti privatistici da lui costituiti con i soggetti che parcheggiano le roulottes sul suo fondo: e nessun elemento di prova in tal senso è stato fornito (per una fattispecie analoga cfr. T.A.R. Veneto, III, 6 marzo 2007, n. 636).5.5. È infine pressoché superfluo rilevare che, in nessun punto, la legge dispone che l’attività di rimessaggio si debba svolgere in locali chiusi.6. Il successivo motivo viene compendiato nella carenza di istruttoria, nell’eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, nella violazione dell’ art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, nonché nell’eccesso di potere per travisamento.Anzitutto, non sarebbe stata fornita un’adeguata descrizione dell’attività svolta: ma, sul punto, pare al Collegio sufficiente rinviare al verbale della polizia municipale, prima in parte riprodotto e richiamato anche nel provvedimento impugnato.Inoltre, il ricorrente si duole di una perplessità del provvedimento il quale, in un certo passaggio, definisce l’attività da lui esercitata come di “parcheggio” e non di “rimessaggio”: ma, dall’esame dell’intero provvedimento, non residuano dubbi che si tratta di una mera imprecisione – o variante - lessicale, che non mette in dubbio l’oggetto ed il contenuto del provvedimento.7. Da ultimo, si duole lo Xxxxxxxxx che il provvedimento non abbia concesso un termine dilatorio per dare esecuzione all’ordine di cessazione dell’attività.La censura non si riferisce evidentemente all’ordine per tale, ed è comunque attualmente ormai priva di qualsiasi rilevanza, essendo stata disposta una proroga all’esecuzione attraverso le due ordinanze del T.A.R. Veneto (fino al 30 giugno 1996) e del Consiglio di Stato (fino al 30 settembre 1996): ma non è chiaro se il provvedimento impugnato sia mai stato attuato.8. In conclusione, il ricorso va respinto, ma le spese di giudizio, come per gli analoghi ricorsi già decisi, possono essere compensate.P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta..

 

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