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Brevi note sull’azione comunitaria in materia di sicurezza stradale

Atti del Convegno delle Commissioni Giuridiche della Federazione ACI 2007 di Carlo Curti Gialdino

 

Brevi note sull’azione comunitaria in materia di sicurezza stradale  
di CARLO CURTI GIALDINO      
SOMMARIO: 1. La competenza comunitaria in tema di sicurezza stradale: dal silenzio del trattato di Roma alla base giuridica prevista dal trattato di Maastricht.- 2. La strategia comunitaria in materia di sicurezza stradale. – 3. Le difficoltà connesse all’applicazione (erronea) del principio di sussidiarietà.- 4. Un diverso principio-guida in materia di sicurezza stradale: il diritto ad un livello elevato di sicurezza stradale ed il ruolo “attivo”del cittadino consapevole.    
La competenza comunitaria in tema di sicurezza stradale: dal silenzio del trattato di Roma alla base giuridica prevista dal trattato di Maastricht.     Il trattato di Roma del 1957 (di seguito TCE) non attribuiva alla Comunità economica europea alcuna competenza esplicita in materia di sicurezza nei trasporti e, tanto meno, di sicurezza stradale[1].   Come è ben noto, la stessa politica comune nel settore dei trasporti - nonostante condivida il carattere di “comune”, con quella agricola e con quella commerciale e sia menzionata nell’art. 3 del TCE, cioè nella disposizione in cui sono indicati gli obiettivi dell’azione comunitaria - ha conosciuto una prima fase caratterizzata per la sua difficoltà di attuazione, dovuta alle posizioni di numerosi Stati membri quanto alla asserita portata limitata nonché all’assenza di precettività delle disposizioni ontenute nel titolo del TCE dedicato ai trasporti. L’attuazione effettiva  del TCE in tema di trasporti, segnatamente sotto il profilo della liberalizzazione e dell’armonizzazione, è infatti successiva alle reiterate prese di posizione del Parlamento europeo, specie dopo la sua elezione a suffragio universale diretto nel 1979, e segue le precisazioni interpretative fornite dalla Corte di giustizia con la sentenza del 22 maggio 1985 (causa 13/83, Parlamento/Consiglio)[2] in cui venne accertata l’inazione del Consiglio nel settore dei trasporti e fissato allo stesso un termine ragionevole per provvedere.   Nonostante le segnalate difficolta di démarrage della politica dei trasporti, le prime misure comunitarie che - peraltro indirettamente - si riferiscono alla sicurezza stradale hanno addirittura anticipato l’impulso dovuto alla detta sentenza sulla carenza del Consiglio. La Comunità, infatti, ha disciplinato taluni aspetti del settore utilizzando le proprie competenze in materia di politica dei trasporti in generale e, segnatamente, in tema di tutela della concorrenza in questo ambito, di libertà di circolazione delle merci e dei prodotti, soprattutto sotto il profilo della normalizzazione tecnica delle dotazioni e delle componenti delle automobili, di tutela dell’ambiente, nonché di armonizzazione delle legislazioni nel quadro del mercato interno. Più di 50 direttive hanno interessato, per fare soltanto qualche esempio, l’uso obbligatorio delle cinture di sicurezza, la regolamentazione del trasporto di merci pericolose, l’applicazione di limitatori di velocità per autocarri, l’unificazione della tipologia delle patenti e il controllo tecnico per tutti i veicoli.   E’ opportuno rammentare al riguardo che a dare insieme legittimità ed impulso a quest’azione è stata di nuovo la Corte di giustizia che, pronunciandosi nel 1978 sulla validità del regolamento n. 543/69 del Consiglio relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada (ora abrogato e sostituito dal regolamento n. 3820/85) statuì, per un verso, che il Consiglio, disciplinando materie riguardanti la politica sociale e, nel contempo, la sicurezza stradale, non aveva superato i limiti della propria competenza e, per altro verso, che le disposizioni comuni le quali garantiscono, oltre alla protezione sociale del conducente, il miglioramento della sicurezza stradale non possono non contribuire all’abolizione delle disparità atte a falsare in misura sostanziale le condizioni di concorrenza nei trasporti e risultano quindi “utili”, ai sensi del TCE,  per l’attuazione della politica dei trasporti, corrispondendo altresì agli imperativi del mercato comune (sentenza 28 novembre 1978, causa 97/78, Schumalla, punti 4 e 6)[3].   Sotto il profilo della precisazione sul piano del diritto primario della competenza comunitaria nel diritto primario la svolta, com’è noto, si è avuta soltanto con le modifiche apportate al TCE dal trattato di Maastricht del 1992[4]. Invero, la lett. c) dell’art. 71 (ex art. 75 TCE) ha attribuito alla Comunità europea una specifica competenza normativa in ordine alle “misure atte a migliorare la sicurezza nei trasporti”. La previsione di questa base giuridica specifica avrebbe dovuto comportare un movimento di armonizzazione delle regolamentazioni sulla sicurezza stradale, armonizzazione del tutto logica in una Europa a 27 aperta alla libera circolazione delle persone. Tale movimento, tuttavia, finora non si è pienamente avviato, probabilmente a motivo di una lettura - a mio avviso esageratemente restrittiva - del principio di sussidiarietà.   Nonostante la esplicita menzione del miglioramento della sicurezza nei trasporti nell’art. 71, lett. c) TCE,  la Corte di giustizia è stata ulteriormente chiamata ad intervenire con riguardo al rapporto fra le misure relative all’organizzazione dell’orario di lavoro degli autotrasportatori e la sicurezza stradale, tanto su domanda pregiudiziale di giudici nazionali (sentenza 9 giugno 1994, causa C-394/92, Michielsen e GTS[5] e 18 gennaio 2001, causa C-297/99, Skills Motor Coaches e a.[6]), quanto su ricorso diretto di Spagna e Finlandia per l’annullamento della direttiva 2002/15/CE sull’orario di lavoro degli autotrasportatori (sentenza 9 settembre 2004, causa C-184/02 e C-223/02, Spagna e Finlandia/Parlamento europeo e Consiglio[7]). In quest’ultima pronuncia la Corte ha riaffermato la propria giurisprudenza in tema di competenza comunitaria in materia di sicurezza stradale, ribadendo che la regolamentazione dell’orario di lavoro degli autrotrasportatori persegue un obiettivo di sicurezza stradale e precisando che tale regolamentazione risponde altresì ad un obiettivo di interesse generale. Ne discende che i diritti dei singoli utenti della strada non devono prevalere sul diritto alla sicurezza dell’intera Comunità. La Corte di giustizia si è occupata altresì della compatibilità comunitaria di disposizioni contenute nel codice della strada italiano nella sentenza 19 marzo 2002 (causa C-224/00,Commissione/Italia)[8] rilevandone la contrarietà tanto al principio di non discriminazione in ragione della nazionalità, quanto al principio di proporzionalità[9]   Ciò premesso, non è inutile ricordare che, allo stato delle competenze materiali comunitarie, la Comunità può adottare, ai sensi del’art. 71 TCE, misure normative che consentano di migliorare la sicurezza nei trasporti, pur se nei limiti del principio di sussidiarietà. I settori in cui la Comunità ha esercitato la propria  specifiche competenza legislativa hanno riguardato: l’armonizzazione tecnica delle norme relative ai veicoli; i requisiti di sicurezza della rete stradale transeuropea (conformemente alla decisione n. 1692/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 1996 sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea di trasporti,)[10] l’uso della cintura di sicurezza nelle automobili, obbligatoria sul piano comunitario dal gennaio 1993; il controllo tecnico periodico dei veicoli a motore; i controlli stradali; i tachigrafi, i limitatori di velocità; i pesi e le dimensioni dei veicoli; il trasporto di merci pericolose; la patente di guida ed alcuni aspetti della formazione del conducente. Inoltre, la Comunità dispone di una competenza in alcuni settori, ad esempio, a norma dell’art. 95 TCE,  per procedere all’armonizzazione tecnica delle norme relative ai veicoli in cui deve garantire un livello di protezione elevato. Infine, gli artt. 152 e 153 TCE in tema di protezione della salute e dei consumatori permettono alla Comunità di prendere misure in tali materie finalizzate alla sicurezza stradale. La Comunità può pure sostenere finanziariamente proposte e iniziative per sensibilizzare le istituzioni, i professionisti ed il grande pubblico ai principali problemi della sicurezza e alle loro soluzioni (può, ad es. assegnare un aiuto finanziario a programmi di informazione dei consumatori). La Comunità ha il compito, altresì, di individuare e sintetizzare le buone pratiche e presentarle sotto forma di guide d’orientamento, elaborate da professionisti per professionisti, da utilizzare su base volontaria, accompagnandole con casi di studio dettagliati, nonché sostenere progetti di dimostrazione che mettano in pratica i metodi individuati da tali guide (ad es. la generalizzazione delle targhe di immatricolazione riflettenti o la messa a punto di barriere di protezione lungo le strade, che siano meno pericolose per i motociclisti). La Comunità può promuovere la raccolta e l’analisi dei dati relativi agli incidenti ed ai danni fisici delle persone come già fatto con il progetto di ricerca Stairs e con il database Care (decisione 93/704/CE del Consiglio del 30 novembre 1993, relativa alla creazione di una banca dati comunitaria sugli incidenti stradali,)[11]. La Comunità può rafforzare le attività di ricerca, in particolare nell’ambito del Settimo programma quadro di ricerca, approvato nel dicembre 2006. La Comunità può definire un sistema armonizzato per l’introduzione negli Stati membri di agevolazioni fiscali, volte ad incoraggiare, nel rispetto del mercato interno,  l’investimento dei privati e delle imprese nella sicurezza e promuovere la diffusione di infrastrutture e di veicoli più sicuri (apparecchiaure la cui efficacia sulla sicurezza è provata che troverebbero difficilmente sbocchi in mancanza di agevolazioni). La Comunità, inoltre, può proporre l’introduzione di criteri armonizzati di sicurezza stradale nell’ambito degli appalti pubblici destinati alle infrastrutture di trasporto. La Comunità, infine, può studiare con il settore europeo delle assicurazioni, le misure supplementari che gli assicuratori possono adottare per imputare più direttamente ai responsabili il costo degli incidenti, con l’adeguamento dei premi di assicurazione.   Ma ciò non è tutto. va tenuto presente, altresì, che la guida pericolosa è un flagello assimilabile alla criminalità e che la Commissione europea ha opportunamente annunciato di voler prendere iniziative nel quadro della politica dell’Unione in materia di libertà, sicurezza e giustizia non soltanto per gli autotrasportatori ma anche per tutti gli automobilisti. Invero, le misure volte a ridurre gli incidenti stradali non devono conoscere frontiere. C’è un sufficiente consenso per rafforzare la cooperazione internazionale e rendere effettivamente applicabili le sanzioni emanate per reati e crimini commessi sul territorio di uno Stato membro da parte di cittadini di altri Stati membri o di Paesi terzi.      La strategia comunitaria in  materia di sicurezza stradale.     Passando dal quadro d’insieme all’analisi della strategia comunitaria in materia di sicurezza stradale conviene ricordare che una risoluzione del Consiglio del 19 dicembre 1984 sollecitò la Commissione a presentare proposte in materia di sicurezza stradale e proclamò il 1986 come Anno europeo della sicurezza stradale[12]. In adempimento a questa risoluzione la Commissione annunciò la propria strategia utilizzando lo strumento della comunicazione. Una prima comunicazione fu presentata nel 1984 (Mise en oeuvre d’un programme communautaire en matière de securité routière,[13]) cui ne seguì una seconda nel 1989 (Sicurezza stradale una priorità per la Comunità). Dopo aver discusso questa strategia con gli esperti degli Stati membri all’inizio degli anni ‘90 la Commissione europea si è mossa anzitutto precisando i propri intendimenti in materia ed esplicitandoli in appositi programmi d’azione. Il primo programma d’azione fu presentato nel 1993[14]. Esso copre il periodo 1993-1997 e fa seguito alla risoluzione del Consiglio del 21 giugno 1991: E’ peraltro nel secondo programma d’azione (“Promuovere la sicurezza stradale nell’Unione europea”)[15], adottato nel 1997 e relativo al periodo 1997-2002, che la Commissione ha posto l’obiettivo la diminuzione del numero delle vittime degli incidenti stradali fissandolo al 40% entro il 2010 rispetto al 2000. Tale obiettivo faceva seguito ad un leggero miglioramento della dinamica evolutiva degli incidenti stradali verificatisi nel complesso dei Paesi dell’Unione europea nella prima metà degli anni ‘90. Il 17 marzo 2000 la Commissione ha presentato una nuova comunicazione (Priorità della sicurezza stradale nell’Unione europea)  Il Consiglio, nella risoluzione del 26 giugno 2000 sul rafforzamento della sicurezza stradale[16], ed il Parlamento europeo nella risoluzione del 18 gennaio 2001 sulla sicurezza stradale[17] hanno convenuto sull’importanza di adottare misure ambiziose sul piano europeo per lottare contro il flagello degli incidenti stradali.   A tale iniziativa è seguito il Libro bianco del 2001 “La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”[18]. La Commissione si è riservata, sulla base di un bilancio da effettuare nel 2005 di proporre nuove misure regolamentari nel settore dell’armonizzazione delle sanzioni e la messa in opera di nuove tecnologie a servizio della sicurezza stradale. Inoltre, sulla base dei risultati registrati in molti Paesi in materia di sicurezza stradale l’Unione ha modificato nel 2001 il proprio obiettivo fissando per il 2010 una riduzione del 50% dei morti in incidenti stradali rispetto al 2000.   Il terzo programma d’azione europeo per la sicurezza stradale 2003-2008,  “Dimezzare il numero di vittime della strada entro il 2010: una responsabilità condivisa”, è stato adottato dalla Commissione nel 2003 ed ha ricevuto il 6 giugno 2003 l’apprezzamento dei ministri dei trasporti dei Quindici. La novità di questo programma è l’introduzione del concetto di “responsabilità condivisa”. Migliorare la sicurezza stradale è infatti il risultato di interventi a vari livelli che coinvolgono soggetti diversi: gli enti territoriali chiamati a realizzare reti viarie più sicure, i singoli utenti con il loro comportamento responsabile, l’industria con veicoli dalle tecnologie sempre più avanzate sotto il profilo della sicurezza.   Il programma  ha individuato sei principali settori di intervento di competenza sia dell’Unione, sia degli Stati membri e di enti privati. Ad avviso della Commissione europea tre sono gli assi su cui si deve muovere una politica della sicurezza stradale: la formazione, la qualità del parco automobilistico e lo stato delle infrastrutture stradali, da gestire con approccio integrato. La sicurezza stradale riveste una dimensione orizzontale cosicché richiede che sia data priorità assoluta all’insieme delle politiche basate su una applicazione più efficace della legislazione, sul miglioramento del livello di guida, sul miglioramento delle infrastrutture e sul perfezionamento dei veicoli. Occorre un approccio integrato che associ l’insieme degli utenti della strada ed i principali responsabili    Conseguentemente si tratta:  a) di incoraggiare gli utenti a tenere un miglior comportamento (mediante il rispetto più rigoroso della normativa esistente, armonizzando le sanzioni a livello europeo, ricorrendo alla formazione continua dei conducenti privati e professionali, migliorando i controlli di polizia e incoraggiando campagne di sensibilizzazione.  In questo contesto si pone la direttiva che istituisce un modello unico europeo di patente di guida, il cui procedimento di codecisione si è concluso nel dicembre 2006 con l’adozione da parte del Parlamento europeo. La direttiva contiene delle disposizioni volte a contrastare il cd. “turismo delle patenti di guida”, ossia il fenomeno di chi, obbligato a restituire la patente nel proprio paese a causa di una violazione grave, riesce a conseguirne una nuova in un altro Stato membro, patente di guida che il proprio paese è costretto a riconoscere. Accogliendo un emendamento del Parlamento europeo, la direttiva impone a uno Stato membro di rifiutare il rilascio di una patente di guida a un richiedente la cui patente sia limitata, sospesa o ritirata in un altro Stato membro; inoltre,  per agevolare la cooperazione fra Stati membri è istituita una rete europea delle patenti di guida. La direttiva, colmando una lacuna della regolamentazione comune, disciplina altresì i requisiti richiesti agli esaminatori di guida, definendo in tal modo i principi fondamentali quali la formazione iniziale e i requisiti necessari in termini di garanzia di qualità e di formazione continua[19];   b) di sfruttare il progresso tecnico per rendere i veicoli più sicuri (armonizzando le misure di sicurezza passive, come l’obbligo dell’installazione delle cinture di sicurezza e l’eliminazione del cd. “angolo morto” per i mezzi pesanti);   c) di  incoraggiare il miglioramento delle infrastrutture stradali (per la Commissione europea l’infrastruttura stradale costituisce il terzo pilastro della politica di sicurezza stradale, dopo il conducente ed il veicolo; sviluppo della “strada intelligente”, proposta di direttiva su un sistema di gestione armonizzato di punti pericolosi e di audit della sicurezza stradale a cominciare dalle strade che fanno parte della rete transeuropea);   d) di incrementare la sicurezza del trasporto professionale di merci e passeggeri (rafforzare la normativa sulle condizioni di lavoro dei conducenti professionali, introdurre il tachigrafo digitale nei veicoli ad uso commerciale, trasporto merci pericolose) ;   e) di  migliorare il soccorso e le cure alle vittime della strada (realizzazione di progetti dimostrativi e studio delle migliori pratiche post-incidente;   f) di  ottimizzare la raccolta, l’analisi e la diffusione dei dati sugli incidenti (base di dati CARE, alimentata a partire dai rapporti di polizia, Osservatorio europeo della sicurezza stradale).   Per quanto riguarda il raggiungimento del risultato numerico della diminuzione entro il 2010 del 50% dei morti in incidenti stradali rispetto al 2000 esso pare, allo stato, assai ambizioso. Si pensi, che il numero dei decessi per incidenti stradali è diminuito del 50% negli ultimi 30 anni e si tenga altresì  conto dell’allargamento dell’Unione europea a 27 Stati membri nel frattempo intervenuto e dello stato vetusto dei veicoli e delle carenti ed anche vetuste infrastrutture stradali nei nuovi Stati membri. Il bilancio non è dei migliori: infatti la riduzione finora è stata del 17,5% in quattro anni.   L’obiettivo di riduzione del numero di vittime ha peraltro un chiaro significato mobilitatore. All’evidenza tale obiettivo costituisce un impegno collettivo e non un obbligo giuridico. Ciò nonostante questo obiettivo è stato approvato prima dal solo  Parlamento europeo, poi anche dal Consiglio, mentre un appoggio significativo hanno fornito sia il Comitato economico e sociale (parere del 10 dicembre 2003)[20] sia il Comitato delle Regioni (parere 11 febbraio 2004)[21]. Si sta formando, pertanto una chiara consapevolezza dell’urgenza di intervenire in questo settore    Un bilancio a metà percorso  è stato effettuato con la comunicazione della Commissione del 22 febbraio 2006[22]. Al riguardo il Parlamento europeo ha adottato il 18 gennaio 2007 una serie di emendamenti alle proposte che la Commissione ha inserito nella propria valutazione a metà percorso, sulla base della relazione di iniziativa dell’on. Hedkvist Petersen. In particolare la proposta forte è il tasso zero di alcolemia per tutti i giovani conducenti e per gli autotrasportatori. Infine, merita di essere ricordato che, per impulso della Presidenza italiana dell’Unione europea, è stata organizzata a Verona il 25-26 ottobre 2003 una riunione informale dei ministri dei trasporti dell’Unione nel corso della quale è stata adottata una dichiarazione sulla sicurezza stradale, poi  ripresa nelle conclusioni del Consiglio Trasporti del dicembre 2003. L’appuntamento di Verona si è istituzionalizzato e siamo arrivati alla Quarta Conferenza ministeriale. Nel 2008 c’è la proposta di accoppiare alla riunione una conferenza internazionale promossa sotto l’egida della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite. Infine, il  27 aprile 2007 è stata celebrata la Giornata europea per la sicurezza stradale, un altro appuntamento che la Commissione propone di istituzionalizzare.       Le difficoltà connesse  all’applicazione (erronea) del principio di sussidiarietà.   A fronte delle comunicazioni, dei programmi, delle dichiarazioni e delle risoluzioni sulla strategia da perseguire è tuttavia necessario rilevare le difficoltà incontrate dall’azione normativa conesse all’applicazione, a mio avviso erronea, del principio di sussidiarietà. Fino ad oggi, infatti,  i tentativi di armonizzazione si sono scontrati con la posizione di gran parte degli Stati membri i quali hanno fatto valere che le proposte in materia della Commissione europea non risultano giustificate sotto il profilo del principio di sussidiarietà.[23] Il caso veramente emblematico di tale situazione è rappresentato dalla  proposta relativa al tasso ammissibile di alcool nel sangue[24], che, nonostante l’aperto sostegno del Parlamento europeo[25]  è stata iscritta per 13 anni  ben 24 volte all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri senza essere mai discussa fino al suo ritiro da parte della Commissione che l’ha trasformata nella raccomandazione del 17 gennaio 2001 concernente il tasso massimo di alcool nel sangue autorizzato per i conducenti dei veicoli a motore[26]. E ciò, nonostante che l’uso di alcool sia un fattore che interviene nel 25% degli incidenti stradali. Vale la pena di aggiungere al riguardo che anche gli stessi organi comunitari hanno invocato il principio di susidiarietà a mio parere in modo “inadeguato”[27] Ad esempio, il Comitato economico e sociale, nel parere reso sul Libro bianco della Commissione[28] ha affermato  che il principio di sussidiarietà si oppone ad una armonizzazione di aspetti quali il tasso alcolemico o i limiti di velocità ed ha suggerito di ricorrere ad una raccomandazione adottata congiuntamente da Consiglio e Parlamento, dunque ad un atto atipico, in modo da conferire ulteriori margini di manovra agli Stati membri. Tale atteggiamento è spiegabile con la predominanza in seno al Comitato di rappresentanti delle categorie economiche interessate (imprese di trasporto) rispetto ad altri interessi quali quelli di cui sono portatori le associazioni dei consumatori e quelle ambientaliste. Ritengo che la segnalata posizione di taluni Stati membri e di talune istituzioni ed organi comunitari sia fondata su di una interpretazione non corretta del principio di sussidiarietà. Certo, non contesto che il richiamo del principio di sussidiarietà possa apparire giustificato, dal momento che la sicurezza tocca competenze (penso a quelle di polizia e giustizia) sensibili per gli Stati membri. Tuttavia ciò non esclude che, per armonizzare talune  regole (ad esempio quelle in materia di sanzioni), non sia l’azione comunitaria a dover essere preferita. Invero, il principio di sussidiarietà, correttamente inteso, non si oppone all’esercizio della competenza comunitaria: Siamo in presenza, infatti, di una materia, quella dei trasporti, che ricade nell’ambito delle competenze concorrenti[29]. Inoltre, i requisiti di applicazione, quali si ritrovano tanto nell’art. 5 TCE che nel protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità allegato al TCE dal trattato di Amsterdam del 1997, sono soddisfatti. Considerata la dimensione trasnazionale o internazionale del fenomeno (lo stesso Libro bianco rammenta che la normativa sui trasporti è per sua esssenza internazionale), non sono sufficienti le misure nazionali (come dimostra il fatto che in Stati con la stessa popolazione ed un parco veicoli equivalente il numero degli incidenti stradali e delle vittime varia anche in maniera sensibile); sono evidenti, infine, le ripercussioni internazionali. In un mercato unico del trasporto, con spostamenti stradali in piena espansione occorre un approccio “sistematico” per ridure i costi elevati inerenti agli incidenti stradali e le diseguaglianze fra Stati membri. Questo approccio implica un’azione coordinata, orientata verso obiettivi comuni, a livello locale, regionale, nazionale e comunitario. Un’azione concertata è giustificata per trattare i problemi di sicurezza stradale comuni, ottenere una migliore sensibilizzazione e attuare le misure più efficaci ai vari livelli. Migliorare la sicurezza degli spostamenti delle persone (oltre che dei beni) è una delle missioni essenziali dell’Unione europea. Una coerente azione comunitaria in materia di sicurezza stradale europea, rispettosa del principio di sussidiarietà, offrirà un quadro di azione chiaro per tutti i partners (imprese di trasporti, produttori di veicoli, e produttori di sistemi elettrici, società di asicurazione e esercenti di infrastrutture, comunità locali e regionali) e orienterà l’azione dell’Unione europea in settori cui essa può apportare un forte valore aggiunto.   Ritenuto giustificato l’esercizio della competenza comunitaria a stregua del principio di sussidiarietà occorre tuttavia che la normativa europea  rispetti anche il principio di proporzionalità. Applicato al settore in esame (ed in particolare alle infrastrutture stradali)  ciò significa trovare un giusto equilibrio fra due aspetti: da un lato, proporre metodi efficaci per migliorare la sicurezza delle infrastrutture stradali e limitare i costi amministrativi e gli altri costi di messa in opera, dall’altro rispettare i diversi usi e strumenti utilizzati negli Stati membri. Occorre, pertanto, limitare le esigenze ad un insieme minimo di elementi necessari a rafforzare la sicurezza e generalizzare le misure più efficaci, senza dettare inutilmente nuove norme tecniche ma lasciando gli Stati membri liberi di mantenere le procedure esistenti, se compatibili. Quanto all’argomento, sovente avanzto, che fa leva sull’aumento di costi rilevo che esso appare privo di base dato che i costi risultano ampiamente compensati dalla diminuzione del numero e del costo degli incidenti. Di converso una completa armonizzazione legislativa si scontra con ostacoli e difficoltà: imporrebbe agli Stati membri di riorganizzare le loro pratiche e la loro legislazioni; si evidenzierebbero le profonde divergenze di approccio che potrebbero innescare conflitti politici tra gli Stati membri e tra gli Stati membri e la Commissione; non si terrebbe conto adeguato, infine, delle differenze organizzative e socio-cuturali tra Stati membri. Quanto agli strumenti per realizzare una disciplina comunitaria della sicurezza stradale va rilevato che l’art. 71 TCE parla di “misure”; pertanto lascia libere le istituzioni quanto alla scelta dell’atto giuridico ritenuto più appropriato. Al riguardo, tuttavia, lo strumento della direttiva pare imporsi per tutta una serie di ragioni. In primo luogo si tratta dell’atto tipico per il ravvicinamento delle legislazioni; in secondo luogo, pur essendo obbligatorio per gli Stati membri è allo stesso tempo  dotato del carattere della flessibilità (di cui, invece, il regolamento è privo); in terzo luogo è anche l’atto più utilizzato nel settore in esame, in quarto luogo,  il richiamato protocollo sul principio di sussidiarietà lo preferisce esplicitamente al regolamento; in quinto luogo , il suo impiego appare in ogni caso più realistico rispetto all’uso del regolamento (se, infatti,  la Commissione ha ritenuto di ritirare la proposta di direttiva sul tasso alcolemico sostituendola con una raccomandazione, appare utopico prospettare che essa avanzi in materia proposte di regolamento). E’ comune osservazione, tuttavia, che la sicurezza stradale è anche (e forse soprattutto) una questione di comportamenti. Occorre modificare i comportamenti. Tutti gli Stati membri sono confrontati con gli stessi problemi di sicurezza stradale. Buona parte dell’obiettivo di miglioramento della sicurezza stradale potrebbe essere raggiunto semplicemente rispettando le regole esistenti. Sanzionare e controllare è primordiale; la ricerca, inoltre, è un altro elemento importante perché essa permette sul piano tecnico di migliorare la sicurezza.     4. Un diverso principio-guida in materia di sicurezza stradale: il diritto ad un livello elevato di sicurezza stradale ed il ruolo “attivo”del cittadino consapevole.   Occorre chiedersi, peraltro, se non sia arrivato il momento di ripensare taluni dei principi-guida dell’azione comunitaria, passando dalla prospettiva della realizzazione del mercato interno (liberalizzazione, armonizzazione) all’azione positiva, ispirata a valori ed obiettivi più alti. Fra di essi ritengo sicuramente prioritario il concetto di sicurezza correlato al rispetto della vita umana, che, come tutti sanno,  è un diritto fondamentale. Quando un utente della strada si sposta nell’Unione, esercitando uno dei diritti di libertà sanciti dal TCE, ha diritto ad un medesimo livello di sicurezza elevato. Senza una metodologia vincolante ed un impegno giuridico in tutta l’Unione gli Stati membri da soli non sono in grado di garantire questo livello elevato di sicurezza, come è attestato dalla situazione disparata che si ritrova nei diversi Stati. Ad esempio, per quanto attiene alle infrastrutture stradali (a cominciare dalle reti transeuropee) solo un sistema globale fondato sull’analisi approfondita degli incidenti, sull’identificazione delle concezioni pericolose, sulla revisione degli orientamenti e dei programmi di formazione e sulla messa in opera di misure correttive efficaci può essere utile a perseguire l’obiettivo della riduzione massiccia del numero di vittime della strada.   E’ necessario un approccio che combini al giusto, da un lato, i controlli di polizia (che devono essere sistematici) e le sanzioni, (dettate secondo criteri uniformi a livello europeo, con riguardo, per cominciare, al tasso di alcolemia e ai limiti di velocità) che siano veramente efficaci e dissuasive e, dall’altro, accrescere l’educazione e la sensibilizzazione degli utenti. Se si acquisisce la consapevolezza di quanto il comportamento attivo di cittadini consapevoli può contribuire alla diminuzione dell’incidentalità stradale, l’obiettivo 2010 non sarà più un’utopia. Ma per realizzare questo obiettivo è non solo necessario investire nella sicurezza ma è assolutamente indispensabile creare un reale effetto mobilitatore, assumendo davvero il tema della sicurezza stradale come una priorità politica nazionale. E’ auspicabile che dalla combinazione di iniziative internazionali ed europee (settimana delle Nazioni Unite e giornata europea) nascano le condizioni perché maturi la consapevolezza dell’urgenza di adottare misure comunitarie efficaci in ordine alla sicurezza stradale. [1] L’argomento non ha finora particolarmente interessato la dottrina. Si vedano, peraltro, LINAN NOGUERAS, D.J., Normativa de la Union europea sobre Trafico Y Seguridad Vial. Su applicación y transposición al Derecho espanol, in XII Journadas sobre Trafico y derecho, Granada 1996, p. 129 ss.; PIODI, F., La Communauté européenne et la sécurité routière,  Parlement européen, Direction générale des études, Documents de travail, Série Transports, TRAN 103, Lussemburgo, maggio 1998 (doc. PE. 167.287); CANO CAMPOS, T., Por una norma vial europea de armonizacion, in Revista española de derecho europeo, 2003, p. 665 ss. [2] Raccolta della giurisprudenza della Corte (di seguito Racc.), 1985, p. 1513. [3] Racc., 1978, p.2311. [4] PIODI, F., op. cit., p. 13, ricorda che nel 1972, un anno nero per la sicurezza stradale, uno Stato membro aveva proposto di iscrivere nel trattato una competenza comunitaria in materia ma la proposta non ebbe seguito essendosi altri Stati dimostrati al riguardo reticenti per ragioni di politica industriale. [5] Racc., 1994, p. I-2497. [6] Racc., 2001, p. I-573. [7] Non ancora pubbl. in Racc. [8] Racc., 2002, p. I-2965. [9] Nella specie l’art. 207 c.s. prevedeva differenti termini per il pagamento dell’importo delle sanzioni (60 giorni per i veicoli immatricolati in Italia, immediatamente per i veicoli immatricolati all’estero nonché la prestazione di cauzione parial doppio dell’importo della sanzione pena il ritiro della patente o il sequestro del veicolo, il che concretava una  chiara discriminazione indiretta considerato che la maggioranza dei veicoli non immatricolati in Italia sono condotti da cittadini dell’Unione. V., peraltro, la sentenza della Corte del 23 gennaio 1997, (causa C-29/95, Pastoors e Trans. Cap, Racc., 1997, p. I-285) nella quale, in mancanza di uno strumento che garantisca l’esecuzione delle sentenze penali tra gli Stati membri la Corte ha ritenuto oggettivamente giustificate le eventuali disparità di trattamento tra contravventori residenti e contravventori non residenti, in particolare, l’obbligo, imposto a questi ultimi, di versare una somma di denaro a titolo di cauzione, può essere idoneo ad impedire che essi possano sottrarsi ad una sanzione effettiva, sempre che il principio di proporzionalità risulti rispettato. [10] GUCE, L 228 del 9 settembre 1996, p. 1. In questo settore la Commissione ha presentato nell’ottobre 2006 al Parlamento europeo ed al Consiglio una specifica proposta di direttiva (COM (2006) 569 fin.). [11] GUCE L 329 del 30 dicembre 1993, p. 63. [12] GUCE, C 341 del 21 dicembre 1984. [13] COM (84) 170. [14] COM (93) 246. [15] COM (97)131 fin. [16] GUCE C 218 del 31 luglio 2000, p. 1. [17] GUCE C 262 del 18 settembre 2001, p. 236. [18] COM (2001) 370 def. del 12 settembre 2001. [19] Nel settore dei veicoli commerciali la sicurezza stradale è intimamente legata al mercato interno. La Comunità si è mossa su due fronti: quello delle norme sociali e quello delle norme tecniche. Sotto il primo profilo vanno apprezzate le misure relative alla formazione iniziale e continua dei guidatori professionali (direttiva adottata nel luglio 2003) e quelle relative al tempo di guida . di riposo e di lavoro. Sotto il secondo profilo un importante contributo alla sicurezza è venuto dalla direttiva dell’aprile 2003 che rende obbligatoria la cintura di sicurezza per tutti i passeggeri negli autocarri che ne sono provvisti e non più soltanto nelle automobili. Nel settore delle norme tecniche si affrontano due filosofie: l’una privilegia le norme vincolanti, l’altra favorisce gli accordi e le iniziative volontarie. La stessa Commissione europea ha riconosciuto l’utilità degli accordi volontari approvando il 9 gennaio 2004  la Carta europea della sicurezza stradale, che traduce il concetto di responsabilità condivisa implicando amministratori pubblici e privati nella strategia per la sicurezza stradale.  Gli accordi volontari, tuttavia, trovano il loro limite nel loro carattere non vincolante. Lo scambio di buone pratiche, gli accordi volontari, infatti, sono presenti da molti anni sia a livello internazionale che europeo ma non si sono registrati dei miglioramenti generali dei risultati in tema di sicurezza stradale: Tale strumento si è dimostrato pertanto palesemente insufficiente.     [20] GUUE, C  80 del 30 marzo 2004, p. 77. [21] GUUE, C 109 del 30 aprile 2004, p. 70. [22] COM (2006) 74. [23] CANO CAMPOS, op. cit., p. 669 afferma che la Comunità non ha portato avanti una vera e propria politica di sicurezza stradale. [24] COM (88) 707. [25] Risoluzione legislativa 23 maggio 1989, GUCE C 158 del 26 giugno 1989, p. 54. [26] GUCE L 43 del 14.02.2001. [27] Lo rileva sempre CANO CAMPOS, op. cit., p. 677. [28] GUCE C241, 2002, p. 168. [29] In tal senso la dottrina è praticamente unanime; contra, peraltro, LINAN NOGUERAS, op. cit., p. 131, a giudizio del  quale potrebbe invece trattarsi di competenza esclusiva. 

 

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