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Cartelle di pagamento e maggiorazioni in caso di ritardo: un’ipotesi di sanzione sulla sanzione
Valerio Tallini
Cartelle di pagamento e maggiorazioni in caso di ritardo: un’ipotesi di sanzione sulla sanzione
SOMMARIO: 1. LE MAGGIORAZIONI PER RITARDATO PAGAMENTO EX ART. 27, COMMA 6, L. N. 689/1981. – 2. L’ASSENZA DI UN’ORDINANZA-INGIUNZIONE DI PAGAMENTO. L’ILLEGITTIMITÀ DELLA MAGGIORAZIONE: A) L’INTERPRETAZIONE LETTERALE E LA DISCIPLINA PRE-VIGENTE. – 3. SEGUE: B) IL DIVIETO DI INTERPRETAZIONE ESTENSIVA. – 4. SEGUE: C) L’ILLEGITTIMA DUPLICAZIONE DELLA SANZIONE. PROFILI DI INCOSTITUZIONALITÀ.
di VALERIO TALLINI(1)
1.Le maggiorazioni per ritardato pagamento ex art. 27, comma 6, l. n. 689/1981
Costituisce una prassi ormai costante la richiesta di maggiorazioni in caso di ritardo nel pagamento. Per cui il trasgressore, oltre all’importo della cartella [di pagamento, n.d.a.], viene altresì invitato a pagare quello derivante dalla maggiorazione, sulla scorta di un’interpretazione estensiva dell’art. 27, comma 6, l. n. 689/1981.
Ai fini di una migliore comprensione della vicenda in esame, giova offrire brevi cenni sulle sanzioni amministrative derivanti da violazioni del Codice della strada [d’ora innanzi breviter: C.d.s.] e, segnatamente, sulle fasi di riscossione delle medesime.
Di fronte ad un verbale di pagamento al trasgressore si presentano diverse possibilità:
a) può effettuare il pagamento in misura ridotta entro sessanta giorni (ex art. 202 C.d.s.) e, di conseguenza, estinguere la sanzione;
b) può impugnare il verbale: in tal caso ha sempre sessanta giorni (decorrenti dalla contestazione ovvero dalla notifica dell’accertamento) per presentare ricorso al Prefetto (così come dispone l’art. 203, comma 1, C.d.s.) ovvero innanzi al Giudice di pace (art. 204-bis C.d.s.). Il primo, se non decide per l’archiviazione, ha l'obbligo di adottare l'ordinanza-ingiunzione entro e non oltre alcuni termini perentori(2); ed, inoltre, deve notificare l’ordinanza medesima entro e non oltre centocinquanta giorni dalla sua adozione(3) (art. 204, comma 2, C.d.s.);
c) può rimanere inerte (augurandosi, nel contempo, che la cartella di pagamento non venga notificata entro il termine di prescrizione di cinque anni dalla data della violazione).
E’ evidente che l’amministrazione è in grado di soddisfare la propria pretesa creditoria solo nell’ipotesi sub a), mentre negli altri casi è costretta a rincorrere il trasgressore. Più in particolare, l’art. 206 C.d.s. stabilisce che “se il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204, salvo quanto disposto dall'ultimo comma dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria è regolata dall’art. 27 della stessa legge 24 novembre 1981, n. 689”. A sua volta, detta disposizione stabilisce che “decorso inutilmente il termine fissato per il pagamento, l’autorità che ha emesso l’ordinanza-ingiunzione procede alla riscossione delle somme dovute [attraverso la notifica di una cartella di pagamento, n.d.a.]” (comma 1); ed, inoltre, “in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il ruolo è trasmesso all'esattore” (comma 6).
2. L’assenza di un’ordinanza-ingiunzione di pagamento. L’illegittimità della maggiorazione: a) l’interpretazione letterale e la disciplina pre-vigente
Alla luce di quanto asserito è evidente che le maggiorazioni di cui al comma 6, sulla scorta di un’interpretazione letterale dell’art. 27, cit., si applicano certamente nell’ipotesi sub b).
Quid iuris nel caso sub c), cioè quando nel termine di sessanta giorni non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta? In tal caso non si applica il predetto art. 27, comma 6 (come invece fanno le amministrazioni e soprattutto, le agenzie di riscossione), bensì l’art. 203, comma 3, C.d.s.: esso prevede che “il verbale in deroga alle disposizioni di cui all’art. 17, l. 689/1981 costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese del procedimento”. In buona sostanza, in quest’ultima disposizione è già prevista una sanzione per il ritardo nel pagamento rappresentata dalla maggiorazione della somma dovuta sino alla metà del massimo previsto.
Sulla base di tale (sacrosanto) principio, il Giudice di pace di Roma, in una recente decisione riguardante un’opposizione a cartella di pagamento, ha affermato, con molta nettezza, che “il verbale di accertamento non è equiparabile all’ordinanza-ingiunzione”e, pertanto, “esso assume valore di titolo esecutivo solo per la metà del massimo della sanzione edittale e solo nel caso di ritardo nel pagamento della cartella sono dovute maggiorazioni(4)”. Ergo: quando nessuna ordinanza-ingiunzione è stata emessa non si possono richiedere anche le maggiorazioni ex art. 27, comma 6, che di conseguenza sono state annullate.
L’inapplicabilità delle suddette maggiorazioni (in assenza di ordinanza-ingiunzione) si deduce anche attraverso una ricostruzione della disciplina pre-vigente. La legge n. 689/1981 fu emanata in un epoca in cui, vigendo ancora il D.P.R. n. 393/1959 (il vecchio C.d.s.), la contravvenzione non oblata nei termini non aveva valore di titolo esecutivo e pertanto, affinché l’ente creditore potesse procedere alla riscossione della medesima, doveva instaurarsi un procedimento consistente nella presentazione da parte della autorità irrogante la contravvenzione di un rapporto al Pretore (art. 142 vecchio C.d.s.) e nella successiva inflizione da parte del Pretore medesimo della ammenda mediante emissione di decreto penale di condanna (art. 143 vecchio C.d.s.).
Tale disciplina è stata in seguito modificata proprio dalla entrata in vigore della legge n. 689/81: l’art. 17, comma 1 prevede la presentazione da parte del funzionario o dell’agente accertatore del rapporto al Prefetto; il quale, a sua volta, può emettere, eventualmente, l’ordinanza-ingiunzione (art. 18, comma 2). Siffatta ordinanza costituisce titolo esecutivo per la somma ingiunta (art. 18, ultimo comma) sulla quale, in mancanza di pagamento nei termini, è dovuta la maggiorazione prevista dall’art. 27, comma 6. Appare quindi evidente che la ragione della rivisitazione del procedimento deputato alla riscossione delle contravvenzioni operata dalla legge n. 689/81, oltre ovviamente alla depenalizzazione delle contravvenzioni medesime, era proprio quella di rendere più snella la procedura per la riscossione (che, in ogni caso, si concludeva con l’applicazione della maggiorazione di cui all’art. 27).
Il suddetto procedimento è poi stato ulteriormente semplificato dal d.lgs. n. 285/1992 (nuovo C.d.s.): esso – entrato in vigore il 1 gennaio 1993 – ha derogato alle disposizioni di cui all’art. 17 della legge n. 689/81, attribuendo automaticamente (come visto) valore di titolo esecutivo al verbale di accertamento di violazione non contestato e non pagato nei termini (art. 203, comma 3 C.d.s., ipotesi sub c), supra n. 1). Il tutto, senza fare alcun riferimento alla maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6.
Peraltro, se il legislatore avesse ritenuto di estendere la applicabilità della maggiorazione anche ai verbali di accertamento lo avrebbe potuto tranquillamente esplicitare, visto che l’entrata in vigore del nuovo codice della strada è ben successiva a quella della l. n. 689/1981.
3. Segue: b) il divieto di interpretazione estensiva
Per giustificare l’applicabilità anche ai verbali della maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6, le amministrazioni fanno leva sull’art. 206 C.d.s., il quale richiama esplicitamente la suddetta disposizione (supra n. 1).
Tale interpretazione estensiva non può essere condivisa: l’art. 27, l. n. 689/1981 si riferisce expressis verbis al mancato pagamento nei termini di una somma comminata con ordinanza-ingiunzione e non di certo alla notifica di un verbale di accertamento di violazione.
E’ ragionevole ritenere che l’equivoco in cui cadono le amministrazioni derivi dalla (non condivisibile) equiparazione tra i verbali di accertamento e le ordinanze-ingiunzioni. Viceversa, si tratta di atti ben distinti: il verbale rappresenta soltanto l’accertamento di una violazione di una norma ed è elevato da un soggetto privo del potere di imporre il pagamento di qualsivoglia maggiorazione, potere che è infatti prerogativa di un organo della autorità pubblica quale è il Prefetto; diversamente l’ordinanza-ingiunzione consiste per l’appunto in un provvedimento emanato da una autorità pubblica, quale il Prefetto. Ma se si tratta di atti distinti, allora anche le conseguenze non possono essere che diverse, per cui (come già asserito) nel primo caso si applica l’art. 203, comma 3 C.d.s., mentre nel secondo la maggiorazione prevista dall’art. 27, comma 6, l. n. 689/1981.
A ciò va aggiunto che l’illegittimità della equiparazione (tra verbale e ordinanza) si deduce anche da un ulteriore motivo: la contestazione dell’infrazione, se non effettuata immediatamente al trasgressore, viene eseguita attraverso la notifica del verbale, nel quale viene recata l’indicazione soltanto dell’importo della somma ridotta; tutto ciò senza fare alcun riferimento alla somma dovuta in caso di mancato pagamento nei termini della sanzione ridotta, né tanto meno alla maggiorazione ex art. 27, comma 6. Quindi, atteso che il verbale non reca l’indicazione dell’esatto importo per il pagamento del quale può diventare automaticamente titolo esecutivo e considerato che la maggiorazione è dovuta solo sulle somme indicate nel titolo medesimo, ne consegue che non sussistendo nel titolo stesso l’esatta indicazione delle somme dovute, poiché la riscossione del titolo medesimo ha inizio con l’iscrizione a ruolo, il termine del pagamento decorre dal giorno della notifica della cartella esattoriale. Ergo: solo in caso di ritardo del pagamento della cartella sarebbero dovute le maggiorazioni di cui all’art. 27.
Diverso invece è il caso della ordinanza-ingiunzione emanata dal Prefetto a seguito di ricorso: questa infatti indica esattamente sia l’ammontare effettivo della sanzione da pagare, sia il termine entro cui pagarla; e, pertanto, essa è facilmente calcolabile ed applicabile. Viceversa, dalla notifica di un verbale che non contiene l’indicazione della effettiva somma che dovrà essere iscritta a ruolo (peraltro già sanzionato, secondo quanto stabilisce l’art. 203, comma 3, C.d.s.) non si può addivenire alla applicazione di una maggiorazione pari al 20% annuo.
4. Segue: c) l’illegittima duplicazione della sanzione. Profili di incostituzionalità
In ogni caso, l’assimilazione tra verbale e ordinanza-ingiunzione presenta dei dubbi di legittimità costituzionale.
Anzitutto le sanzioni amministrative (anche pecuniarie) dovrebbero essere sempre caratterizzate dal divieto di interpretazione analogica(5), principio del tutto pacifico con riguardo alla analogia in malam partem(6): ciò implica che non si dovrebbe mai ampliare il senso ed il contenuto dei precetti e delle sanzioni neppure con interpretazione. E, dunque, nonostante le richieste dalle amministrazioni, le maggiorazioni di cui all’art. 27, comma 6 non dovrebbero mai trovare applicazione in caso di mancato pagamento del verbale, giacchè esse sono exspressis verbis riferite al mancato pagamento dell’ordinanza-ingiunzione.
Inoltre, in caso contrario, si estenderebbe in maniera del tutto ingiustificata e, dunque, irragionevole(7) – con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. – la sanzione prevista per una determinata fattispecie ad un’altra del tutto diversa(8).
A ciò va aggiunto che, anche a voler ritenere che il divieto di analogia non riguardi le sanzioni amministrative pecuniarie, comunque, nel caso di specie, non si può applicare la maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6: non si può – e non si deve – infatti irrogare una sanzione ulteriore – la maggiorazione appunto – quando la seconda fattispecie preveda già una determinata sanzione (quella di cui all’art. 203, comma 3). In caso contrario si determina una illegittima duplicazione della sanzione, una sorta di sanzione sulla sanzione; con evidenti profili di incostituzionalità.
Infine, l’applicazione della maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6 in assenza di una previa ordinanza-ingiunzione contrasterebbe col principio di buon andamento dell’amministrazione e, segnatamente, con quello di trasparenza ex art. 97 Cost.: in non poche occasioni infatti i ruoli vengono consegnati in ritardo o meglio, la deprecabile prassi di alcune amministrazioni fa sì che la loro consegna venga procrastinata in maniera illegittima. Con la conseguenza di produrre ingiustificate maggiorazioni da ritardato pagamento – che aumentano di sei mesi in sei mesi – a carico di soggetti che ne permangono inconsapevoli fino al ricevimento della cartella.
(1) Avvocato del foro di Roma e dottorando di ricerca in diritto pubblico nell’Università LUISS Guido Carli di Roma.
(2) In particolare, l’ordinanza-ingiunzione va adottata entro:
a) il termine indicato al comma 1 dell’art. 204 C.d.s (più volte modificato ed allungato al fine di permettere al Prefetto di provvedere con più facilità), più 90 giorni in caso di trasmissione del ricorso direttamente al Prefetto;
b) il termine indicato al comma 1 dell'art. 204 C.d.s., più 60 giorni in caso di invio del ricorso all'indirizzo dell’organo accertatore.
(3) Per completezza occorre rilevare che il pagamento della somma ingiunta (pari al doppio di quella prevista per il verbale) e delle relative spese deve essere effettuato, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione (art. 204, comma 2, C.d.s.). In caso contrario, il trasgressore può, nel medesimo arco temporale, proporre ricorso innanzi al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione (art. 205 C.d.s. in combinato disposto con l’art. 22, l. n. 689/1981).
(4) Così Giudice di pace di Roma, Dott.ssa Condò, 05/11/2007, n. 41766.
(5) Non sempre è agevole distinguere tra interpretazione estensiva e analogia, la quale consiste, come noto, in un processo d’integrazione dell’ordinamento attuato tramite una regola di giudizio ricavata dall’applicazione all’ipotesi di specie, non regolata espressamente da alcuna norma, di disposizioni regolanti casi o materie simili: il presupposto di tale procedimento integrativo è costituito dal ricorrere dell’identità di ratio in virtù del noto brocardo ubi eadem legis ratio, ubi eadem legis dispositivo). A dire della giurisprudenza di legittimità (Cass. 3 luglio 1991, in For. it., 1992, II, c. 146) “l’interpretazione estensiva mantiene il campo di validità della norma entro l’area di significanza dei segni linguistici coi quali essa si esprime, mentre l’analogia estende tale validità all’area di similarità della fattispecie considerata dalla norma. L’interpretazione estensiva è perciò pur sempre legata al testo della norma esistente; il procedimento analogico è invece creativo di una norma nuova che prima non esisteva”. Sull’interpretazione della legge si v. per tutti G. CIAN, Commento gli articoli 12-14, disposizioni preliminari del Codice civile, in Commentario breve al codice civile (a cura di G. CIAN e A. TRABUCCHI), Cedam, Padova, 2004, p. 35 s., mentre sul divieto di analogia in materia penale (in quanto incompatibile col principio di legalità, sancito legislativamente dall’art. 1 c.p. e costituzionalmente garantito dal 2° comma dell’art. 25 Cost.) si permetta di rinviare a G. FIANDACA e E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, IV° ed., Zanichelli, Bologna, 2001, p. 93 s.
(6) Su cui si v. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2003, p. 314. Sulle garanzie che caratterizzano le sanzioni amministrative e, segnatamente, sul divieto di analogia si v. per approfondimenti C.E. PALIERO-A. TRAVI, voce Sanzioni amministrative, in Enc. dir., vol. XLI, Giuffrè, Milano, 1989, p. 371 s.; ID., La sanzione amministrativa. Profili sistematici, Giuffrè, Milano, 1988, p. 135 s.; G. BERLIRI, Sanzioni amministrative e principi costituzionali della potestà punitiva penale, in AA. VV., Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1982, p. 291 s.
(7) Sul principio di ragionevolezza si v. per tutti G. SCACCIA, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Giuffrè, Milano, 2000.
(8) Su cui si v. il mio La Corte costituzionale non può introdurre una sanzione amministrativa: è necessario l’intervento del legislatore, in questa rivista, 2007, fasc. n. 4, in cui tuttavia ho criticato il rinvio operato dall’art. 126 C.d.s., giungendo ad affermare che esso “non si riferisce all’art. 180, comma 8, bensì direttamente alla sanzione prevista da tale disposizione. In sostanza, si estende in maniera del tutto ingiustificata e irragionevole – con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. – la sanzione prevista per un determinato comportamento ad un altro del tutto diverso: ed, infatti, secondo il predetto art. 180, cit. il presupposto per comminare la sanzione è costituito dal rifiuto, espresso o tacito, di presentarsi ad uffici di polizia o comunque di fornire informazioni o di esibire documenti ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative; ma tuttavia la sanzione potrebbe non esser irrogata atteso che l’art. citato prevede l’esimente del “giustificato motivo”. Viceversa, la fattispecie ex art. 126-bis è del tutto diversa, giacchè il presupposto per applicare la sanzione pecuniaria non è, in tal caso, il rifiuto, bensì una mera omissione; il tutto senza poter far valere alcuna giustificazione al riguardo!”.
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