- Giurisprudenza
- Assicurazioni e responsabilità civile, Illeciti penali
- Dott.ssa Maristella Giuliano
Colpa della vittima in sinistro stradale
Tribunale penale di Nola
2 ottobre 2007
Ai fini della integrazione del fatto di reato di omicidio colposo, che si realizzi per violazione delle norme sulla circolazione stradale, non è sufficiente a fondare la responsabilità penale dell’agente la mera verifica della violazione della norma cautelare (nel caso di specie violazione del limite di velocità).
Qualora, infatti, il fatto colposo della vittima sia tale da determinare l’interruzione del nesso di causalità tra la condotta dell’agente e l’evento verificatosi, nel senso che anche se le regole cautelari fossero state rispettate l’evento si sarebbe comunque verificato, è esclusa la configurabilità del reato.
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DISPOSITIVO - All’esito della udienza preliminare osserva questo giudice quanto segue.
Il P.M. ha richiesto il rinvio a giudizio dell’imputato Tizio in ordine al reato di omicidio colposo ai danni di tale Caio, i cui familiari si sono costituiti parte civile alla odierna udienza.
Il decesso del Caio si verificava a seguito di incidente stradale tra la autovettura Seat Ibiza guidata dal Tizio ed il motociclo Vespa Piaggio guidato dal Caio (il quale non indossava il casco), verificatosi in kkkk attorno alle ore 23:45 del giorno …...
I primi accertamenti esperiti nella immediatezza dei fatti dai carabinieri della stazione di kkkk permettevano di acclarare che il Caio, alla guida del suo motociclo, si immetteva sulla Via …. senza rispettare il segnale di stop del quale era gravata la strada secondaria da cui egli proveniva, ed andava così a collidere contro la autovettura condotta dal Tizio, che stava per l’appunto percorrendo la …….: a seguito della collisione il Caio veniva sbalzato in terra e decedeva (cfr. informativa dell’ ……, fogli 7 e ss del fascicolo del P.M.).
La dinamica dell’incidente veniva ulteriormente approfondita mediante consulenza tecnica disposta dal P.M. (fogli 95 e ss del fascicolo).
Ebbene, il consulente non si è limitato ad individuare un concorso di colpa della vittima (che non aveva rispettato lo stop e che guidava senza casco), ma, pur calcolando che il Tizio dovesse procedere ad una velocità non inferiore ai 65 Km/h su di una strada gravata, invece, dal limite massimo dei 50 Km/h (cfr. fogli 120 e 121 del fascicolo del P.M.), ha concluso nel senso (fogli 129 e 130 del fascicolo del P.M.) che “le cause dell’incidente, che procurarono la morte del Caio, sono da ascriversi ad una colpa esclusiva da parte del signor Caio. Gli stessi dati hanno permesso di accertare la irrilevanza della velocità tenuta dal Tizio (65 Km/h contro i 50 Km/h vigenti) in quanto anche se lo stesso Tizio avesse proceduto alla velocità di 50 Km/h la collisione si sarebbe comunque verificata tra i due veicoli atteso che il tempo necessario a giungere all’impatto e necessario a percorrere lo spazio di 6 mt (spazio di separazione) sarebbe stato di soli 43/100 di secondi, del tutto insufficiente al Tizio di mettere in essere alcun tipo di azione frenante atta ad evitare la collisione e che molto verosimilmente si sarebbe concretizzata a mò di tamponamento”.
Anche se il P.M., nonostante tali conclusioni, si è determinato per la richiesta di rinvio a giudizio, non si può, invece, che rilevare come esse impongano un proscioglimento dell’imputato, e ciò alla luce del principio di diritto secondo il quale per determinare la responsabilità di un soggetto non basta individuare la violazione da parte sua di una qualche regola cautelare di condotta, ma è altresì necessario che sia rinvenibile un rapporto di causalità tra tale violazione e l’evento in concreto verificatosi (vedi ad esempio, Cass., sez. 4, n° 3094/98, Bruzzo; Cass., 2.5.1988, Manuzzi; Cass., 4.6.1987, D’Agostino; Cass., 13.10.1986, Lombardo; Cass. Civile, sez. 3, 9.7.91, n° 7575).
Ebbene, nel caso che qui ci occupa, in applicazione del detto principio, l’avere individuato in capo al C. la violazione di una regola di condotta (ed in particolare la violazione dell’art. 141 del codice della strada, avendo egli proceduto ad una velocità superiore al limite massimo prescritto di 50 Km/h) è assolutamente irrilevante per fondare la sua penale responsabilità, essendo stato accertato anche che se pure egli si fosse attenuto alla prescritta velocità massima di 50 Km/h la collisione si sarebbe verificata lo stesso: il che non significa altro che non sussiste rapporto di causalità tra violazione della regola cautelare ed evento.
In sede di udienza preliminare le parti civili hanno prodotto delle note critiche alla consulenza del P.M., le quali, però, non colgono assolutamente nel segno e dimostrano che non si è per nulla compreso il senso giuridico delle conclusioni del consulente del P.M. .
Invero, nelle suddette note di parte si contesta la asserzione del consulente secondo la quale l’imputato procedeva ad una velocità di 65 Km/h, e si afferma che, invece, la velocità tenuta dall’imputato dovesse essere superiore.
Ma, a parte la considerazione che il consulente del P.M. non ha detto che l’imputato viaggiava alla velocità di 65 Km/h, bensì ha detto che egli viaggiava ad una velocità non inferiore ai 65 Km/h (il che è, all’evidenza, ben diverso), va ribadito che nel momento in cui si accerta che la collisione si sarebbe verificata anche se si fosse tenuta la velocità consentita di 50 Km/h (e tale conclusione non è contestata nelle note critiche presentate dalle parti civili), diviene assolutamente irrilevante verificare di quanto l’imputato avesse superato il detto limite.
Piuttosto, l’unica osservazione che si potrebbe fare è che non è detto che se la collisione fosse avvenuta ad una velocità inferiore, ed in particolare ad una velocità della autovettura rispettosa del limite dei 50 Km/h, la vittima sarebbe deceduta lo stesso e non avesse invece subito, per ipotesi, conseguenze meno gravi: ma ciò è di impossibile accertamento, rientrando nell’ambito del totalmente ipotetico (comunque, anche uno scontro a 50 Km/h può avere effetti letali, in particolare allorquando il veicolo investito è un motociclo), e può, al più, giustificare che il proscioglimento avvenga ai sensi del comma 3 – e non del comma 1 – dell’art. 425 c.p.p. .
P.Q.M.
Letto l’art. 425 c.p.p. comma 3, dichiara il non luogo a procedere nei confronti di Tizio in ordine al reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste
Rubrica e massima a cura del Comitato di Redazione testo della sentenza da www.iussit.it
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