• Giurisprudenza
  • Economia dei trasporti e della mobilità
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Compravendita di auto usate e pratiche commerciali scorrette

Tar Lazio sez. I
10 maggio 2012, n. 4212

Compravendita di veicoli usati – Manipolazione del tachimetro – Certificato di garanzia rilasciato agli acquirenti - Indicazione di un chilometraggio inferiore a quello effettivo – Enfatizzazione della convenienza dell’acquisto - D.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) artt. 20 e 21 comma 1 lett. b) e comma 3 - Pratica commerciale scorretta - Sussiste

 

Costituisce una pratica commerciale ingannevole e, quindi, scorretta, ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1, lett. b) e comma 3, d.lgs. n. 206/2005, la commercializzazione di autovetture usate indicanti nel quadro strumenti un chilometraggio inferiore rispetto a quello effettivo, con l’inserimento dello stesso dato anche nei certificati di garanzia rilasciati agli acquirenti, nonché con l’enfatizzazione della particolare convenienza del prezzo di vendita in ragione della percorrenza chilometrica.

FATTO
Con l’odierno gravame la Autosab Ar s.r.l., esposto di operare nel campo della commercializzazione delle autovetture sin dalla data di costituzione, avvenuta il 31 luglio 2007, impugna la delibera 22 dicembre 2010 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Il provvedimento in parola ha accertato la scorrettezza di una pratica commerciale posta in essere dalla società ricorrente e da altra società (Autobrand s.r.l.), ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1, lett. b) e 21, comma 3, del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, codice del consumo, ha irrogato alla ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di € 100.000,00 ed ha disposto che la medesima provvedesse a propria cura e spese alla pubblicazione di un estratto della delibera, ai sensi dell’art. 27, comma 8 del codice del consumo.
Il comportamento sanzionato consiste nella commercializzazione di autovetture usate indicanti nel quadro strumenti un chilometraggio inferiore rispetto a quello effettivo, con l’inserimento dello stesso dato anche nei certificati di garanzia rilasciati agli acquirenti, nonché con l’enfatizzazione della particolare convenienza del prezzo di vendita in ragione della percorrenza chilometrica.
Il procedimento conclusosi con l’atto impugnato è stato avviato sulla base di una segnalazione della Polizia Giudiziaria del Compartimento polizia stradale “Toscana”.
Queste le censure che la società ricorrente, asserita la sua totale estraneità alla condotta contestata, formula avverso l’atto impugnato.
1) Violazione del giusto procedimento e del principio del diritto di difesa – Falsa applicazione dell’art. 1 e 10 della l. 241/1990, dell’art. 27 del d.lgs. 206 del 2005 e dell’art. 11 della direttiva CE 29/2005 – Eccesso di potere per difetto di motivazione.
La commistione derivante dalla circostanza che il procedimento da cui è scaturito il provvedimento sanzionatorio è stato avviato, istruito e si è concluso in maniera unitaria nei confronti di due soggetti giuridici che non avrebbero tra loro alcun rapporto determinerebbe la incomprensibilità delle condotte contestate specificamente alla società.
La comunicazione di avvio del procedimento non avrebbe indicato né quali commercializzazioni oggetto di contestazione siano riferibili alla responsabilità della ricorrente, né il titolo della stessa, con ciò pregiudicando gravemente l’esercizio del diritto di difesa della società.
Difetterebbe ogni motivazione in ordine alle ragioni che giustificano l’irrogazione di una sanzione per pratiche commerciali poste in essere da un soggetto diverso.
2) Eccesso di potere per illogicità manifesta, sviamento, insussistenza delle pratiche commerciali scorrette, difetto di istruttoria – Violazione degli artt. 20, 21, 22 e 23 d.lgs. 206/2005.
L’Autorità avrebbe potuto e dovuto consultare il PRA al fine di accertare come la ricorrente non abbia avuto alcun rapporto con ben nove (su undici) delle autovetture indicate nella comunicazione di avvio del procedimento, commercializzate dall’altra società destinataria della sanzione.
L’Autorità non avrebbe individuato per ogni singola autovettura citata nel provvedimento le rispettive responsabilità di ognuna delle due società.
Andrebbe esclusa l’unitarietà del disegno in danno dei consumatori ipotizzato nel provvedimento a carico delle due società.
L’Autorità, non evidenziando l’estraneità della ricorrente alla maggior parte delle condotte contestate, avrebbe per una parte trascurato le risultanze istruttorie per altra parte condotto l’istruttoria con evidente superficialità, come attesterebbe anche la contraddittorietà tra la parte motivazionale, che fa riferimento ad un disegno collusivo unitario delle due società, e quella dispositiva, che le sanziona in misura diversa, e ciò anche in relazione alla durata della violazione, che, per la ricorrente, viene rapportata a soli due mesi, a fronte dell’anno e mezzo della condotta illecita attribuita all’altra società.
3) Eccesso di potere per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, falsità dei presupposti, sviamento, insussistenza delle pratiche commerciali scorrette – Violazione degli artt. 20, 21, 22 e 23 del d.lgs. 206/2005.
Come risulterebbe dalle prove documentali, che depongono per l’esclusiva responsabilità dell’altra società nelle condotte illecite, la ricorrente, interessata dalla commercializzazione di sole due tra le autovetture contemplate nel provvedimento, si sarebbe per entrambe limitata all’acquisto ed alla vendita dei mezzi, senza alcuna responsabilità in merito alla manomissione dei contachilometri, tant’è che la stessa non è neanche coinvolta nel correlato procedimento penale.
4) Eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà, disparità di trattamento e sproporzione – Violazione dell’art. 27 del d.lgs. 206/2005.
In ogni caso il provvedimento risulterebbe sproporzionato sia per la sanzione pecuniaria comminata (inferiore di solo un terzo a quella irrogata all’altra società) sia per l’obbligo di pubblicazione posti in capo alla ricorrente.
Al più, infatti, l’unico tipo di responsabilità imputabile alla società sarebbe una eventuale scarsa diligenza nell’intrattenere rapporti con altri rivenditori, ed, in ogni caso, la condotta contestata si sarebbe protratta per soli due mesi.
Ciò che determinerebbe l’assoluta disparità di trattamento tra le sanzioni comminate alle due società e attesterebbe al contempo la sproporzione della sanzione qui avversata.
Inoltre, laddove riscontrato, la ricorrente avrebbe immediatamente provveduto a risarcire il danno al proprio cliente.
Esaurita l’illustrazione delle doglianze, parte ricorrente domanda l’annullamento dell’atto impugnato e il risarcimento del danno subito e subendo, nella misura da determinarsi in corso di causa o ritenuta di giustizia.
Costituitasi in resistenza, l’intimata Autorità domanda la reiezione del gravame, esponendo a sostegno l’infondatezza delle formulate doglianze, fatte oggetto di analitica confutazione.
Con ordinanza 7 aprile 2011, n. 1241 la Sezione ha respinto la domanda di sospensione interinale degli effetti dell’atto impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente.
L’ordinanza è stata confermata in sede di appello (C. Stato, VI, 20 luglio 2011, n. 3100).
Il ricorso è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 4 aprile 2012.
DIRITTO
1. Mediante il provvedimento oggetto dell’odierno scrutino di legittimità, l’Autorità della concorrenza e del mercato, accertata in capo alla ricorrente Autosab Ar s.r.l., esercente attività di commercio di autovetture, la scorrettezza di una pratica commerciale, ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1, lett. b) e 21, comma 3, del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, codice del consumo, ha irrogato alla ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di € 100.000,00 ed ha disposto che la medesima provvedesse a propria cura e spese alla pubblicazione di un estratto della delibera, ai sensi dell’art. 27, comma 8 del codice del consumo.
Il comportamento sanzionato consiste nella commercializzazione da parte della società di autovetture usate indicanti nel quadro strumenti un chilometraggio inferiore rispetto a quello effettivo, con l’inserimento dello stesso dato anche nei certificati di garanzia rilasciati agli acquirenti, nonché con l’enfatizzazione della particolare convenienza del prezzo di vendita in ragione della percorrenza chilometrica.
Il procedimento conclusosi con l’atto impugnato è stato avviato sulla base di segnalazione della Polizia Giudiziaria del Compartimento polizia stradale “Toscana”, che ha rappresentato di aver avviato una attività di indagine riguardante un considerevole numero di truffe perpetrate nel settore del commercio degli autoveicoli ad opera di tre professionisti, Autosab, Autosab It e Autosab Ar..
Le società interessate dal procedimento sono state Autobrand s.r.l., in qualità di società affittuaria di Autosab s.p.a. e Autosab IT s.p.a. (che ha proposto l’autonomo gravame n. 2485/2011, trattenuto contestualmente in decisione), e Autosab Ar s.r.l., odierna ricorrente.
2. Al fine della compiuta disamina della controversia, e nell’ambito di stretto interesse di questa, giova premettere che, come noto, la normativa, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza si è arricchita per effetto della direttiva n. 2005/29/CE, relativa alle “Pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”, alla quale il legislatore nazionale ha provveduto a dare attuazione adottando, nell’agosto del 2007, due distinti decreti legislativi (nn. 145 e 146), rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori.
Il d.lgs. 146/2007 è intervenuto direttamente sul codice del consumo, sostituendo gli artt. 18-27 del d.lgs. n. 206 del 2005 ed introducendo una generale normativa sulle “pratiche commerciali scorrette”.
Il codice del consumo, per come modificato alla stregua dell’indicata sopravvenienza normativa, ha abbandonato il precedente specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per approdare ad una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, “ivi compresa la pubblicità”, posta in essere da un professionista “prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto” (artt. 18 e 19 del codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.
Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori: rimanendo, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo d.lgs. n. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.
Come più volte affermato dalla Sezione, il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE ha indubbiamente rafforzato il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola ben più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza, limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.
Proprio in vista di tale finalità, del resto, il d.lgs. 146/2007 ha, contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.
Tanto osservato in via generale, l’art. 18 del d.lgs. n. 206 del 2005 (come modificato dall’appena citato d.lgs. 146/2007), per le finalità considerate dal Titolo III (“Pratiche commerciali, pubblicità ed altre informazioni commerciali”), dispone che si intende per:
- “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;
- “prodotto”: qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;
- “pratiche commerciali tra professionisti e consumatori”: qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;
- “falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori”: l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Il successivo art. 19 puntualizza che le disposizioni contenute nel Titolo anzidetto trovano applicazione alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.
L’art. 20, posto il divieto delle pratiche commerciali scorrette, stabilisce al comma 2 che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”; mentre il successivo comma 4 individua come scorrette le pratiche commerciali ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23.
In particolare:
- ai sensi dell’art. 21, comma 1, è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo a gli elementi ivi elencati, e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Tra gli elementi elencati si rinvengono, sub b), le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto.
Ai sensi dell’art. 21, comma 3, è considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza.
3. Alla stregua del paradigma normativo di riferimento, come sopra sinteticamente illustrato per quanto qui di interesse, è bene anticipare che il Collegio non può che dare atto della fondatezza delle argomentazioni con le quali l’Autorità resistente ha ravvisato a carico della ricorrente, con il provvedimento oggetto di scrutinio, una fattispecie di pratica commerciale scorretta.
Né il Collegio rinviene nel relativo procedimento i vizi lamentati dalla società.
4. Con il primo motivo di ricorso lamenta la ricorrente Autosab Ar che l’Autorità, a fronte della sussistenza di due soggetti giuridici non aventi tra loro alcun rapporto (Autobrand s.r.l. e Autosab Ar s.r.l.), abbia avviato e condotto un unico procedimento, ciò che non avrebbe permesso alla società di comprendere le condotte a lei specificamente contestate.
In particolare, espone la ricorrente come la comunicazione di avvio del procedimento non abbia indicato né quali commercializzazioni oggetto di contestazione fossero riferibili alla specifica responsabilità della ricorrente, né il titolo della stessa, determinando un grave pregiudizio del suo diritto di difesa.
Conseguente a siffatta lettura è la conclusione della ricorrente che la società si sia vista irrogare una sanzione per pratiche commerciali scorrette poste in essere da un diverso soggetto.
4.1. La censura si rivela manifestamente infondata.
Va innanzitutto tenuta in disparte ogni questione, evocata nello sfondo della doglianza, attinente alla correttezza dell’accertamento operato dall’Autorità in ordine alla riferibilità anche alla ricorrente della condotta illecita in parola.
Essa, infatti, forma oggetto di successive, specifiche censure, nell’ambito del cui esame l’appena detta problematica trova il suo corretto inquadramento.
Ciò posto, si osserva che l’atto di avvio del procedimento si presenta immune da tutte le censure dedotte con il mezzo in esame.
Come già sopra accennato, tale atto di avvio, del 9 settembre 2010, ha trovato causa nella segnalazione della Squadra di Polizia Giudiziaria del Compartimento di polizia stradale “Toscana”, in atti, pervenuta all’Autorità il 29 luglio 2010 (e successivamente integrata con note datate 9 e 10 agosto 2010).
Tale segnalazione, pur contemplando l’attività di più professionisti, aveva ad oggetto una unica condotta, consistente nel ribasso del chilometraggio indicato dal tachimetro delle autovetture usate da questi commercializzate, ipotizzata idonea a produrre in capo ai medesimi un duplice e contestuale vantaggio: innalzare il valore commerciale delle autovetture stesse e renderle più appetibili sul mercato.
Dal descritto contesto discende che, al fine di assicurare le difese procedimentali delle due società destinatarie della contestazione, l’atto di avvio del procedimento non aveva che l’onere di indicare e circostanziare gli estremi della condotta sospetta di illecito e le norme che dalla stessa si ipotizzavano violate.
Ciò che ha fatto più che esaurientemente l’Autorità con la comunicazione del 9 settembre 2010 indirizzata alla società.
Invero, la predetta comunicazione, in atti:
- ha individuato separatamente le due società oggetto del procedimento in corso;
- ha descritto con la dovuta specificazione la condotta, unitaria, oggetto di contestazione – consistente nella commercializzazione dal 21 settembre 2007 e almeno sino al luglio 2009, di numerose autovetture usate che indicavano nel quadro strumenti un chilometraggio inferiore rispetto a quello effettivo, con inserimento del relativo dato anche nei libretti di garanzia post-vendita rilasciati agli acquirenti e, in alcuni casi, senza consegnare loro i libretti d’uso, manutenzione e tagliandi delle vetture – provvedendo, altresì, a indicare il luogo della supposta alterazione (“Casa del Contachilometri”), il titolo delle possibili responsabilità ipotizzate a carico delle società (alterazione su indicazione delle concessionarie ovvero mancata diligenza di queste nel rilevare l’alterazione), la sorte delle autovetture (collocate negli spazi espositivi e vendute ad un prezzo superiore alla loro effettiva quotazione di mercato);
– ha indicato i possibili profili di scorrettezza della pratica commerciale in relazione al codice del consumo [violazione dell’art. 21, comma 1, lett. b), in quanto pratica idonea ad indurre in errore i consumatori sulle caratteristiche principali delle vetture e, in particolare, sull’effettivo chilometraggio delle vetture e a fargli assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso; violazione dell’art.21, comma 3, in quanto pratica idonea, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, ad indurre i consumatori a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza relative alla tempestiva esecuzione dei controlli e degli interventi tecnici di manutenzione periodica necessari a garantire l’efficienza e la sicurezza dei veicoli acquistati; violazione dell’art. 22 (poi non sanzionata nei confronti della società), in quanto in alcuni casi i professionisti hanno omesso di consegnare agli acquirenti i libretti di uso, manutenzione e tagliandi delle vetture che avrebbero potuto rendere edotti i consumatori in merito all’effettiva percorrenza dei veicoli, determinando così il proprio comportamento economico, in relazione al prodotto, nella piena consapevolezza del reale chilometraggio delle vetture];
- ha rappresentato le modalità ed i termini del procedimento;
- ha provveduto a precipue richieste di informazioni, attinenti sia all’assetto e alle vicende societarie dei singoli professionisti ed ai rapporti, giuridici e fattuali, tra loro esistenti, sia alle vicende relative alla commercializzazione di specifiche autovetture, di cui è stata indicata la targa;
- ha rammentato la possibilità del professionista di richiedere la salvaguardare della riservatezza e della segretezza delle informazioni sensibili da fornire;
- ha rammentato le sanzioni previste dal codice del consumo per il rifiuto o l’omissione senza giustificato motivo delle informazioni e dei documenti richiesti;
- ha richiesto la documentazione fiscale preordinata all’eventuale comminatoria della sanzione;
- ha indicato gli uffici dell’Autorità competenti per il procedimento nonché il responsabile dello stesso.
Non è chi non veda, quindi, che la comunicazione di avvio del procedimento non risulta in nulla generica od oscura, poiché espone con ogni chiarezza il contenuto dell’istruttoria in fieri attraverso la precisazione della pratica commerciale che ne formava oggetto, i profili di illecito oggetto di valutazione, con la specifica indicazione degli stessi, anche in correlazione con i vari aspetti della pratica commerciale, le doverose informazioni sul procedimento.
Vieppiù, la chiarezza della comunicazione risulta ulteriormente implementata dalle analitiche richieste di informazioni contestualmente avanzate dall’Autorità, le quali, attenendo anche ai rapporti giuridici e fattuali tra i professionisti contemplati dalla segnalazione di polizia giudiziaria ed alle vicende relative alla commercializzazione delle specifiche autovetture ivi considerate, risultava idonea a circoscrivere con ogni puntualità l’ambito dell’indagine aperta dalla medesima Autorità.
Tenuto, quindi, conto del complesso di tali elementi, il Collegio può agevolmente concludere che la circostanza che l’atto di avvio del procedimento non specificasse sin dall’origine la commercializzazione di quali, tra le autovetture ivi partitamente considerate, fosse ascrivibile alla società ricorrente non può aver leso in alcun modo le prerogative difensive della medesima, la quale era sicuramente posta in grado di ravvisare gli aspetti della contestazione inerenti la propria attività mediante una semplice operazione di confronto tra le autovetture indicate nell’atto di avvio del procedimento e quelle da essa commercializzate, risultanti dalle scritture contabili.
Anzi, a ben vedere, siffatto riscontro costituiva per la società non solo un onere finalizzato all’eventuale esercizio delle sue prerogative difensive nel corso del procedimento (che la società non ha peraltro esercitato), ma anche un comportamento dalla medesima addirittura dovuto proprio in conseguenza dell’atto di avvio del procedimento.
Che, alla lett. e), chiedeva, infatti, alle due società destinatarie della comunicazione di indicare il “ruolo svolto dai professionisti nella commercializzazione di ciascuna delle vetture indicate al punto precedente”.
Anche sotto tale profilo, la mancata indicazione delle autovetture commercializzate dall’una e dall’altra società da parte della comunicazione di avvio del procedimento si profila del tutto scevra da vizi di legittimità.
Ciò in quanto – per pacifica e notoria giurisprudenza – nell’ambito del consueto impianto procedimentale, e segnatamente dell’ordinario rapporto esistente tra l’atto di avvio e l’atto conclusivo del procedimento, è quest’ultimo, e non il primo, a dover contenere il più elevato ed analitico possibile grado di dettaglio, che non sempre evidentemente può caratterizzare la fase di avvio del procedimento.
Nell’escludere, per tutto quanto sopra, che la censura in trattazione possa formare oggetto di favorevole valutazione, può rilevarsi, infine, in punto di fatto, che, come già sopra accennato, la società non risulta neanche aver formulato nel corso del procedimento argomentazione difensive, come dà atto il provvedimento impugnato al paragrafo 33.
5. Con il secondo mezzo la ricorrente Autosab formula varie critiche all’operato dell’Autorità, nessuna delle quali, però, coglie nel segno.
5.1. La ricorrente sostiene innanzitutto che l’Autorità avrebbe potuto e dovuto consultare il PRA al fine di accertare che la società non ha avuto alcun rapporto con nove (su undici) delle autovetture indicate nella comunicazione di avvio del procedimento, commercializzate dall’altra società destinataria della sanzione.
Il rilievo, nella sua parte sostanziale, è inconferente, poiché attesta una circostanza che depone contro, anziché a favore, della ricorrente, ovvero evidenzia che l’Autorità non ha errato sostenendo che la società ha commercializzato due tra le vetture manomesse.
Neanche sotto il profilo procedimentale l’argomentazione risulta vincente.
È già stato infatti sopra chiarito che l’Autorità aveva formulato richieste istruttorie volte alle due società proprio per conoscere tra le vetture individuate come sicuramente manomesse quali fossero state commercializzate da Autosab Ar s.r.l. e quali da Autobrand s.r.l..
Ad avanzare siffatte richieste l’Autorità era senz’altro legittimata dall’art. 27, comma 3 del codice del consumo, che dispone, tra altro, che l’Autorità può richiedere a imprese, enti o persone che ne siano in possesso le informazioni ed i documenti rilevanti al fine dell’accertamento dell’infrazione, e rende al riguardo applicabili le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287.
Il comma 2 dell’appena citato art. 14 prevede che l’Autorità può in ogni momento dell’istruttoria richiedere alle imprese, enti o persone che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili ai fini dell’istruttoria, disporre ispezioni al fine di controllare i documenti aziendali e di prenderne copia, anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato, disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell’istruttoria.
Ne deriva che la scelta dell’Autorità di acquisire documenti mediante la collaborazione del soggetto interessato dall’istruttoria o mediante autonoma attività d’ufficio è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Autorità, discrezionalità che, nel caso di specie, risulta correttamente esercitata, tenuto conto che appare congruente con l’economia generale del procedimento di accertamento della sussistenza di un pratica commerciale scorretta rivolgere la richiesta di dati ed informazioni, in primis, al soggetto interessato dalla relativa istruttoria.
La doglianza va, pertanto, respinta.
5.2. Lamenta ancora la ricorrente che l’Autorità non avrebbe individuato per ogni singola autovettura citata nel provvedimento le rispettive responsabilità di ognuna delle due società.
Per escludere la fondatezza della censura non occorrono molte parole, atteso che la stessa ricorrente riconosce in gravame che il provvedimento impugnato le imputa la commercializzazione di due autovetture manomesse (trattasi in particolare, come dà conto il paragrafo 28, di una BMW 320 Touring, venduta ad un consumatore nel febbraio 2008, e di una Mercedes ML venduta ad un consumatore nel marzo 2008).
Può, quindi, solo aggiungersi, in punto di fatto, che il provvedimento gravato dedica ampi paragrafi sia alla descrizione delle modalità con le quali è stata accertata la manomissione del contachilometri delle autovetture prese in esame dal provvedimento presso una officina denominata “Casa del Contachilometri” sia alle vicende delle autovetture stesse successive alla manomissione.
5.3. La ricorrente sostiene che il provvedimento avrebbe erroneamente imputato alle due società l’unitarietà del disegno in danno dei consumatori.
Sul punto, deve osservarsi che non è seriamente dubitabile che le condotte illecite dei professionisti considerate dall’atto gravato si presentino connotate da similarità e da contestualità, come emerge chiaramente in ogni passaggio del provvedimento.
A tacer d’altro, tali caratteristiche emergono sol che si consideri che, ai fini perseguiti con le condotte stesse, ognuno di essi si avvaleva delle prestazioni di un unico soggetto, la “Casa del Contachilometri”.
Del resto, la suddetta qualifica si profila anche coerente con l’unitarietà dell’indagine di p.g. da cui è scaturito il procedimento, e che determina anche la coerenza dell’unitarietà dell’azione posta in essere dall’Autorità al fine del ripristino della legalità violata.
Né la società può dolersi di una carenza di accertamento della sua diretta e personale responsabilità.
Infatti, il paragrafo 40 del provvedimento impugnato è chiaro, previamente esposti i fatti salienti nei quali l’accertamento si è dipanato, nell’affermare, al riguardo (e l’affermazione, come appena sopra rilevato, non risulta smentita nel presente giudizio), che “Si considera altresì destinataria del presente procedimento Autosab AR per aver direttamente posto in essere le condotte contestate”.
Di talchè il rilievo in esame, che si traduce più che altro in una mera asserzione, priva di qualsiasi sostegno probatorio volto a corroborare la critica rivolta all’operato dell’Autorità, non risulta conducente.
5.4. Sempre con lo stesso mezzo, la ricorrente sostiene che l’Autorità, non evidenziando l’estraneità della ricorrente alla maggior parte delle condotte contestate, avrebbe per una parte trascurato le risultanze istruttorie, per altra parte condotto l’istruttoria con evidente superficialità, come attesterebbe anche la contraddittorietà tra la parte motivazionale, che fa riferimento ad un disegno collusivo unitario delle due società, e quella dispositiva, che le sanziona in misura diversa, e ciò anche in relazione alla durata della violazione, che, per la ricorrente, viene rapportata a soli due mesi, a fronte dell’anno e mezzo della condotta illecita attribuita all’altra società.
La censura è infondata.
Il gravato provvedimento ha accertato nei sensi sin qui esposti la personale e diretta responsabilità della ricorrente nelle individuate condotte illecite, ed è pervenuto, coerentemente con il detto accertamento (che non implicava certo la necessità di sottolineare nei confronti della medesima l’estraneità alle condotte illecite di altri soggetti), alla determinazione di comminare alla società una sanzione pecuniaria ed una sanzione accessoria, ai sensi dell’art. 27, commi 8 e 9, del codice del consumo e dell’art. 11 della l. 689/1981, che il comma 13 del citato art. 27 richiama espressamente.
In tale ultimo ambito, ed ai fini della valutazione della gravità della violazione, contrariamente a quanto sembra ritenere la ricorrente, l’Autorità ha tenuto anche conto della comunanza della strategia adottata dai due professionisti sanzionati (par. 66).
Secondo quanto già sopra precisato, la considerazione di tale elemento nella parte motiva del provvedimento non si profila erroneo.
Può qui aggiungersi che l’apprezzamento dello stesso elemento nell’ambito della determinazione del quantum della sanzione non è, poi, neanche illogico, tenuto conto della maggior suscettibilità della condotta illecita perpetrata contestualmente da più professionisti di aggravare il danno a carico dei consumatori.
Tanto chiarito, si osserva che l’accertamento della ascrivibilità delle condotte delle due società ad una comune strategia non doveva necessariamente ovvero automaticamente riverberare effetti anche sull’accertamento della durata dei rispettivi illeciti, come pure sembrerebbe ritenere la ricorrente.
La durata dell’illecito, infatti, non può essere apprezzata che esclusivamente in ragione del periodo di tempo per il quale la condotta contra legem risulta essersi protratta.
Nel caso in esame, la durata dell’illecito è stata diversamente parametrata dall’Autorità per le due società sanzionate (Autobrand: febbraio 2008-luglio 2009; Autosab febbraio 2008-marzo 2008), in conformità alle risultanze istruttorie acquisite al procedimento.
Tale diversificazione, indi, lungi dal manifestare una qualche contraddittorietà con la parte del provvedimento che rimanda all’unitarietà del disegno illecito, come sostiene la ricorrente, testimonia, invece, l’accuratezza e la specificità con la quale i vari elementi della condotta sanzionata sono stati ponderati nei confronti dei due soggetti destinatari della sanzione ai fini della determinazione della stessa in conformità a legge.
6. Con il terzo mezzo la società afferma che le prove documentali deporrebbero per l’esclusiva responsabilità dell’altra società nelle condotte illecite.
L’affermazione è priva di qualsiasi rilievo, trattandosi, anche qui, di una mera asserzione, non assistita da alcuna base probatoria, vieppiù contraddittoria con la successiva affermazione contenuta in più parti del gravame e nella stessa censura qui in trattazione, ovvero che la ricorrente è stata interessata dalla commercializzazione di sole due tra le autovetture contemplate nel provvedimento.
Ovvero esattamente ciò che il provvedimento le imputa.
La ricorrente sostiene poi che per entrambe tali autovetture la società si sarebbe limitata all’acquisto ed alla vendita dei mezzi, ovvero senza alcuna diretta responsabilità in merito alla manomissione dei contachilometri, tant’è che la stessa non è neanche coinvolta nel correlato procedimento penale.
Anche tale affermazione non è assistita da alcun elemento probatorio.
Vieppiù, sul punto, deve rammentarsi che nella comunicazione di avvio del procedimento, come già sopra illustrato, l’Autorità ha ipotizzato due diversi titoli di responsabilità a carico delle società destinatarie del procedimento sanzionatorio, derivanti o da una specifica condotta commissiva, consistente nella richiesta di alterazione del contachilometri delle autovetture alla sopra nominata officina meccanica, o da una condotta omissiva, consistente nella mancata diligenza nel rilevare l’alterazione.
Entrambe tali tipologie di condotta sono contemplate anche nel provvedimento impugnato, che, al paragrafo 48, osserva che gli elementi istruttori raccolti dimostrano la sussistenza di un vero e proprio disegno atto alla manomissione dell’effettiva percorrenza chilometrica delle vetture oggetto di indagine, e che, al paragrafo 49, rileva che, in ogni caso, le autovetture risultano “aver subito una riduzione dei chilometri percorsi dopo essere state cedute ai concessionari e prima della rivendita ai consumatori, e, dunque, nel periodo in cui risultavano detenute o nella responsabilità dei professionisti”.
Il provvedimento evoca, indi, anche la nozione di diligenza professionale, che ritiene in ogni caso violata nella fattispecie.
Tale diligenza assume un rilievo specifico nell’ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette.
In tale ambito, i professionisti sono infatti tenuti a rispettare uno standard di diligenza tale da consentire al consumatore di determinarsi consapevolmente in un mercato concorrenziale, e che viene definito dall’art. 18, comma 1, lett. h), del codice del consumo, come il “normale grado della specifica competenza che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività dei professionisti”.
Standard di diligenza che non può ritenersi rispettato dalla ricorrente atteso che, in ogni caso, la società non ha dato alcuna prova, né nel corso del procedimento né nella presente sede giudiziale, di aver adottato una qualche cautela atta ad evitare di trattare la commercializzazione di automobili con un chilometraggio inferiore rispetto a quello effettivo.
Quanto, infine, alla circostanza che la società non sarebbe coinvolta nel processo penale, basti rammentare la diversità delle responsabilità fatte valere nella detta sede ed in quella amministrativa, e rilevare che né nelle difese procedimentali né nel presente giudizio la ricorrente ha contestato l’erroneità dell’accertamento effettuato in sede amministrativa in relazione alle due autovetture sopra menzionate.
Può anche aggiungersi che, come già precedentemente accennato, il provvedimento impugnato è stato preceduto da una autonoma istruttoria dell’Autorità sugli elementi acquisiti, fatta oggetto di puntuale descrizione, che delinea una serie di evidenze fattuali caratterizzate da gravità, univocità e concordanza.
Anche la terza censura risulta, per quanto sopra, non meritevole di accoglimento.
7. La quarta ed ultima censura del ricorso in trattazione presenta la particolarità consistente che con le connesse doglianze, che pure si indirizzano avverso la determinazione della sanzione pecuniaria irrogata alla società, la medesima mira non a compulsare il potere giudiziale di cognizione di merito e di rideterminazione della sanzione [ex artt. 7, comma 6 e 134, comma 1, lett. c) del c.p.a.] bensì a dimostrare la totale illegittimità del provvedimento gravato, ai fini dell’accoglimento della domanda principale di annullamento integrale dell’atto stesso.
Ciò ritenendo che non vi sia la “possibilità di rideterminazione in questa sede dell’eventuale importo modificato della sanzione” (pag. 21 del ricorso).
L’intento espressamente perseguito dalla censura non può però essere oggetto di favorevole valutazione, atteso che nessuna delle doglianze contenute nel mezzo in trattazione consente di ritenere che il provvedimento impugnato, nella parte in cui accerta la scorrettezza della pratica commerciale posta in essere dalla ricorrente, sia affetto dai vizi di legittimità denunziati dalla ricorrente.
Inoltre, ed in ogni caso, tali doglianze neppure non si profilano condivisibili neppure laddove rivolte al quantum della sanzione pecuniaria e a quella accessoria per l’effetto comminate.
In particolare, la ricorrente espone che la sanzione pecuniaria sarebbe sproporzionata sia nella determinazione della sanzione pecuniaria comminata (inferiore di solo un terzo a quella irrogata all’altra società) sia per l’obbligo di pubblicazione posti in capo alla ricorrente. Ciò in quanto l’unico tipo di responsabilità imputabile alla società sarebbe una eventuale scarsa diligenza nell’intrattenere rapporti con altri rivenditori, ed, in ogni caso, la condotta contestata si sarebbe protratta per soli due mesi.
Nessuna delle due argomentazioni è convincente.
Si è già sopra rilevato che la scarsa diligenza, ai sensi del codice del consumo, ed in considerazione dei precipui beni che le relative norme mirano a tutelare, costituisce un ben preciso titolo della responsabilità ravvisabile a carico del professionista.
Ciò posto, ed acclarato che secondo quanto sin qui osservato tale titolo di responsabilità è stato sicuramente ravvisato a carico della società con il procedimento per cui è causa, si osserva che l’Autorità ha determinato le sanzione pecuniaria tenendo conto dell’art. 27, comma 9, del codice del consumo, che prevede che con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione pecuniaria da 5.000 a 500.000 euro, tenuto conto della gravità e durata della violazione.
La disposizione precisa anche che nel caso di pratiche commerciali scorrette ai sensi dell’articolo 21, commi 3 e 4 (e nel caso di specie il provvedimento ha imputato alla società anche la violazione dell’art. 21, comma 3 del codice), la sanzione non può essere inferiore a 50.000 euro.
L’Autorità ha poi tenuto anche conto dei criteri di cui all’art. 11 della l. 689/1981 (che dispone che nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche), norma richiamata dallo stesso art. 27, comma 13 del codice.
In applicazione dei predetti canoni, il provvedimento, oltre a rapportare per la società la durata della violazione, come già sopra accennato, a due mesi, ha rilevato quanto alla gravità della condotta illecita posta in essere dalla medesima:
- la dimensione economica della società, che ha realizzato nel 2009 l’elevato fatturato di circa 6,2 milioni di euro;
- l’idoneità della condotta della società ad arrecare un elevato pregiudizio economico per i consumatori sia sotto il profilo del rilevante impegno economico conseguente all’acquisto di un’auto benché usata, sia sotto l’aspetto della possibilità che i consumatori, ove informati dell’effettivo chilometraggio delle vetture, non solo avrebbero pagato un prezzo notevolmente inferiore a quello corrisposto ma, verosimilmente, avrebbero rinunciato del tutto al loro acquisto;
- la riconducibilità della condotta ad una precisa strategia commerciale dei professionisti coinvolti nell’istruttoria, tenuto anche conto del numero delle autovetture manomesse.
Si tratta di tutti elementi caratterizzati da oggettività oltre che da congruenza con le acquisizioni istruttorie.
Di talché non appare censurabile che l’Autorità, tenuto ulteriormente conto della necessaria deterrenza che deve connotare la sanzione, specie riguardo a condotte così gravi, abbia determinato per Autosab Ar la sanzione nella misura pecuniaria pari ad euro 100.000, e, valutato che la condotta in esame è idonea a generare effetti pregiudizievoli per i consumatori anche dopo la sua interruzione, posto che coloro che hanno acquistato le vetture interessate dal procedimento dispongono di beni che non solo hanno un valore inferiore rispetto al prezzo corrisposto ma possono presentare necessità di manutenzione, frequenza di controlli e tagliandi diverse rispetto a quelle prospettate, abbia disposto anche la pubblicazione per estratto del provvedimento, a cura e spese dei professionisti, ai sensi dell’art. 27, comma 8, del cosice del consumo.
Né, sul punto, possono essere valorizzate le difese della società che vi sarebbe stata disparità di trattamento tra le sanzioni comminate ai due professionisti e che il provvedimento avrebbe dovuto tener conto del fatto che la ricorrente ha risarcito il danno ad un cliente.
Ed infatti, quanto alla asserita sproporzione tra le sanzioni, può osservarsi, da un lato, che, al di là dello specifico numero delle autovetture commercializzate dalle due società destinatarie della sanzione, unica è la condotta illecita, dall’altro che la Autobrand si è vista ridurre la sanzione base da 160.000 a 150.000 euro a causa del bilancio in perdita.
Quanto, invece, all’avvenuto risarcimento del danno al consumatore da parte della ricorrente, esso non è evidentemente suscettibile di ripristinare la legalità violata, sia perché unico, sia tenuto conto della natura dell’illecito (di pericolo) derivante dalla violazione delle norme del codice del consumo e della circostanza che, nel caso di specie, come correttamente rilevato dall’Autorità, l’illecito presentava carattere di pervasività.
8. Alla rilevata infondatezza, per tutto quanto precede, delle censure formulate con il gravame consegue la reiezione della domanda demolitoria e di quella risarcitoria alla prima connessa.
In definitiva, il ricorso va integralmente respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente alle spese di lite in favore della parte resistente, che liquida in complessivi € 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

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