• Approfondimenti e Articoli di dottrina
  • Illeciti penali

Decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150. Riforma del rito civile e modifiche al codice della strada e alla legge 689 del 1981

Dott.ssa Maristella Giuliano - Comitato di Redazione della Rivista Giuridica ACI

 

Premessa.

In attuazione della delega contenuta all’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69 il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto legislativo n. 150 del 1 settembre 2011, per l’attuazione dell’obiettivo di razionalizzazione e semplificazione del rito civile ordinario e delle procedure speciali in esso contemplate. Il decreto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 21 settembre 2011, è entrato in vigore il 6 ottobre del 2011. Le disposizioni contenute nel provvedimento in commento sono applicate ai procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore dello stesso, mentre ai procedimenti pendenti continueranno ad applicarsi le norme modificate o abrogate dal decreto. La disciplina del processo civile viene ricondotta, dai 33 riti attualmente esistenti, a soli tre modelli fondamentali: rito del lavoro, rito sommario di cognizione (introdotto dalla legge 69 del 2009) e rito ordinario di cognizione. Per vero, restano fuori dai tre modelli principali, alcuni riti speciali, ed in particolare il rito in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché quelle contenute nel R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669 (in materia di cambiale e vaglia cambiario), nel R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (in materia di assegno bancario, assegno circolare e alcuni titoli speciali dell’Istituto di emissione, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia), nella L. 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori), nel Codice della Proprietà Industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel Codice del Consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Nel rito del lavoro sono stati fatti confluire i procedimenti caratterizzati da concentrazione e ampi poteri istruttori d’ufficio, tra i quali, in particolare, i procedimenti d’opposizione a sanzione amministrativa e d’opposizione al verbale di accertamento di violazione al codice della strada. Nel procedimento sommario di cognizione (giudizio a cognizione piena ma con procedure semplificate) sono confluiti invece i procedimenti speciali caratterizzati da semplificazione nell’istruzione e nella trattazione. Tutti i procedimenti che non hanno i caratteri ora descritti, sono ricondotti al rito ordinario di cognizione.

La modifica ai giudizi di opposizione ad ordinanza di pagamento ( artt. 22-23 legge 689 del 1981) e a verbale per violazione del codice della strada ( art. 204 bis codice della strada)

Tanto premesso, giova ricordare come la disciplina del ricorso al giudice di pace contro gli accertamenti per le infrazioni al codice della strada, previsto all’art. 204bis del codice, è ora stabilita per relationem, giacché il legislatore rimanda a quanto statuito agli artt. 22 e 23 della legge 689 del 1981, in materia di giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione di pagamento per le sanzioni amministrative. Il decreto legislativo in commento, contiene una modifica tanto degli artt. 22 e 23 della legge 689 del 1981, tanto dell’art. 204 bis del codice della strada, il cui contenuto è stato compiutamente riportato, evitando il citato rinvio per relationem alla disciplina generale sull’illecito amministrativo. Infatti, nonostante la similitudine dei due procedimenti, è stata definita la disciplina autonoma del ricorso avverso i verbali di contestazione di infrazioni al codice della strada, allo scopo di superare qualunque dubbio interpretativo. Alla luce di quanto stabilito dalla disciplina in commento l’opposizione al verbale di accertamento di violazioni del codice della strada è, pertanto, disciplinata dal preciso e puntuale iter procedimentale descritto dall’art. 7 del decreto legislativo n. 150. Tanto il giudizio d’opposizione ad ordinanza ingiunzione di pagamento, tanto il giudizio avverso il verbale per infrazione al codice della strada, vengono ricondotti nell’ambito del rito del lavoro, del quale, però, non vengono applicate quelle disposizioni incompatibili con le due tipologie di ricorso emendate. E’ il caso ad esempio delle disposizioni di cui agli artt. 413 e 433 del c.p.c. in materia di competenza territoriale ( in primo grado ed in grado di appello)[1], quelle relative all’esame dei testimoni sul luogo di lavoro, o quelle concernenti l’interpretazione dei contratti collettivi, etc. Parimenti sono escluse le norme relative alla rivalutazione dei crediti da lavoro dipendente, di cui all’art. 429 comma 3 c.p.c. ovvero quella inerente la diversa efficacia esecutiva delle sentenze di cui ai comma 1 - 4 dell’art. 431 c.p.c. Alla luce delle nuove disposizioni, il ricorso deve essere presentato all’autorità giudiziaria ordinaria (giudice di pace del luogo dove l’infrazione è stata commessa) entro 30 giorni (60 se il ricorrente risiede all’estero) dalla data di contestazione della violazione o della notifica del verbale, anche mediante il servizio postale. Ne consegue l’evidente riduzione del termine attualmente stabilito in 60 giorni, che per vero era stata contemplata in sede di precedente riforma operata con la legge 120 del 2010, nella prima stesura proposta alla Camera, e non trasfusa in quella definitiva. Va segnalato, però, come è rimasto immutato il termine di proposizione del ricorso amministrativo alternativo presentato al prefetto. Tale termine è di 60 giorni, a prescindere dal luogo ove debba essere effettuata la notifica. In tal modo sorge un problema di coordinamento tra le diverse disposizioni e in particolare con il comma 3 dell’art. 203 del codice della strada, a tenore del quale qualora nei termini previsti non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta ex art. 202 comma 1 ( entro 60 giorni dalla contestazione o notifica del verbale) o non sia stato presentato ricorso, il verbale diventa immediatamente esecutivo per una somma pari alla metà del massimo edittale. Il decreto legislativo, ha poi, introdotto espressamente la possibilità di presentazione del ricorso mediante il servizio postale. In tal senso, è di tutta evidenza il recepimento di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 98 del 2004 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 689 del 1981, per la parte in cui non prevedeva, per il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione di pagamento, la possibilità di presentare il ricorso introduttivo mediante servizio postale. In quell’occasione, la Corte definiva l’obbligo per il ricorrente di procedere personalmente al deposito presso la cancelleria del giudice, “incongruo nel formalismo e perciò lesivo del generale canone di ragionevolezza, ma anche in palese contrasto con la ratio legis - fattore di dissuasione anche di natura economica dell'utilizzo del mezzo di tutela giurisdizionale, in considerazione tra l'altro dei costi, del tutto estranei alla funzionalità del giudizio, che l'intervento personale può comportare nei casi, certamente non infrequenti, in cui il foro dell'opposizione non coincida con il luogo di residenza dell'opponente”.

 Nuovo rito del ricorso al giudice di pace ( opposizione a verbale per violazione del codice della strada): fissazione dell’udienza e costituzione delle parti

 Dal combinato disposto dell’art. 415 comma 2 e 4 c.p.c. e del comma 7 dell’art. 7 del decreto legislativo 150, risulta che il giudice, entro 5 giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza di discussione, ordinando all’autorità che ha emesso il provvedimento di depositare dieci giorni prima dell’udienza copia del rapporto e degli atti relativi all’accertamento, contestazione o notificazione. In particolare, il decreto di fissazione dell’udienza ed il ricorso devono essere notificati, entro 10 giorni dalla data della pronuncia del decreto stesso, all’opponente e all’amministrazione che ha adottato il provvedimento. Da notare che, per specifica previsione del comma 6 dell’art. 7 del decreto 150 del 2011, trova applicazione una disciplina diversa rispetto a quella giuslavoristica. Infatti, com’è noto, nel processo del lavoro il ricorso deve essere notificato al convenuto dall’attore; nel procedimento avverso verbale al codice della strada (nonché ad ordinanza di pagamento) la notifica avviene ad opera della cancelleria nei confronti tanto dell’opponente, quanto dell’autorità che ha emesso il provvedimento contestato. L’udienza di discussione non può essere fissata oltre 60 giorni (80 se la notifica deve essere effettuata all’estero) dal deposito del ricorso, e non prima di 30 giorni (40 se la notifica deve essere effettuata all’estero) dalla data di notifica del decreto al convenuto. Rito precedente La legge 120 del 2010 aveva stabilito termini diversi. In primo luogo il termine per la fissazione della prima udienza era fatto decorrere dalla data di notifica del decreto di fissazione dell’udienza stessa e non già dal deposito del ricorso. A questo termine, per vero, si aveva riguardo nel caso in cui il ricorrente presentasse richiesta di sospensione dell’esecutività del provvedimento. Il termine per la fissazione dell’udienza era non superiore a 30 giorni liberi ( 60 per le notifiche all’estero). Per giurisprudenza pacifica, tali termini hanno natura ordinatoria, in quanto finalizzati ad accelerare il processo, pertanto ove non rispettati non producono decadenza o invalidità assolute degli atti compiuti. In ossequio al principio del giusto procedimento consacrato dall’art. 111 Cost. è modificata la disposizione di cui all’art. 23, comma 1, della legge n. 689 del 1981, in base alla quale il giudice, in caso di tardività nella presentazione del ricorso lo dichiara inammissibile con ordinanza inappellabile resa inaudita altera parte. La riforma impone il contraddittorio delle parti stabilendo che il giudice decida nella prima udienza attraverso una sentenza, che nel silenzio di specifiche previsioni dovrebbe, a rigore, essere sottoposta agli ordinari strumenti di gravame. Tale previsione è espressamente stabilita anche per l’opposizione a verbale del codice della strada, ai sensi del comma 9 lettera a) dell’art. 7 del decreto 150 del 2011. Come già in precedenza prevedeva l’art. 23 della legge 689 del 1981, nel caso in cui l’opponente o il suo difensore, in assenza di legittimo impedimento, non si presentino in udienza, il giudice, con ordinanza appellabile convalida il provvedimento impugnato disponendo sulle spese. Il decreto legislativo 150 del 2011 ha, però, contemplato la possibilità che lo stesso sia ugualmente caducato, allorquando l’illegittimità risulti dalla documentazione allegata dall’opponente, o quando l’amministrazione abbia omesso di depositare copia del ricorso e gli atti relativi all’avvenuto accertamento. In questi casi, pertanto, al giudice è consentita la possibilità di decidere la questione nel merito.

Legittimati passivi

 Altra novità è quella relativa all’individuazione dei soggetti legittimati passivi nel giudizio. La legge 120 del 2010 aveva inserito nel corpo dell’art. 204 bis del codice della strada un nuovo comma 4-bis nel quale era chiarito che la legittimazione passiva spetta al prefetto se l’accertamento è stato operato da funzionari, ufficiali e agenti dello Stato, delle ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tramvie in concessione e dell’ ANAS; alle regioni, province e comuni, se l’accertamento è effettuato da loro funzionari, ufficiali ed agenti. Correlativamente era abrogato il comma 3° dell’art. 205 del codice della strada che prevedeva che il Prefetto potesse delegare la rappresenta in giudizio all’amministrazione cui apparteneva l’organo accertatore qualora essa stessa fosse anche destinataria dei proventi. Con l’abrogazione di questo 3° comma dell’art. 205 del CDS, e con l’introduzione di quanto sancito dal nuovo comma 4° bis dell’art. 204 bis del CDS, è definitivamente chiarito che la legittimazione passiva nel giudizio di impugnazione di sanzioni elevate da operatori dello «Stato» spetta al Prefetto, ed esso non potrà più delegare appartenenti ad altri uffici al di fuori dei funzionari della Prefettura. La legittimazione passiva era, inoltre, attribuita a regioni, province e comuni, a prescindere dal soggetto operante l’accertamento, quando i proventi delle sanzioni erano ad essi devoluti ex art. 208 del codice della strada. In base al nuovo rito è espunto qualsiasi riferimento a quest’ultima ipotesi di legittimazione collegata alla destinazione dei proventi.

Sospensione dell’esecutività del provvedimento

 Importanti novità anche per quanto attiene la sospensione dell’esecutività del provvedimento. La legge 120 del 2010, introducendo il comma 3ter nell’art. 204bis del codice della strada, stabiliva che l’opposizione al verbale del codice della strada non produceva l’immediata sospensione della sua esecutività, essendo, al contrario, onere del ricorrente domandarla in sede di presentazione del ricorso. Il giudice, nel corso della prima udienza, poteva concederla, sussistendo gravi e documentati motivi, con ordinanza emessa in contraddittorio tra le parti ed impugnabile con ricorso al tribunale. Ai sensi del nuovo comma 6 dell’art. 7 del decreto 150 la sospensiva è disciplinata dall’art. 5 dello stesso decreto, secondo un procedimento unico da applicarsi in tutti i casi si proceda alla concessione del provvedimento inibitorio. E’ in ogni caso confermato, in linea di massima, il principio generale in base al quale, se la legge non dispone diversamente – la proposizione dell’opposizione non sospende automaticamente l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. La sospensiva, ove richiesta dal ricorrente, può essere concessa dal giudice solo quando ricorrano gravi e circostanziate ragioni, di cui il giudice deve dare esplicitamente conto nella motivazione del provvedimento di sospensione. Rigoroso, è pertanto, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la sospensione (ragionevole fondatezza dei motivi su cui si fonda l’opposizione; pericolo di un grave pregiudizio derivante dal tempo necessario per l’adozione della decisione dell’opposizione), di cui il giudice dovrà dare conto in modo chiaro ed esauriente nel provvedimento con cui sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento. L’ordinanza deve essere adottata nel contraddittorio tra le parti, salvo il caso in cui, nelle more del procedimento, le ragioni dell’opponente siano nel pericolo di subire un pregiudizio irreparabile. In questo caso il giudice può disporre la sospensione inaudita altera parte, con decreto pronunciato fuori udienza e confermato alla prima udienza successiva - pena la sua inefficacia – con ordinanza non impugnabile. Si segnala peraltro che mentre nella previsione normativa della legge 120 del 2010 l’ordinanza era suscettibile di gravame dinnanzi al tribunale, l’ordinanza adottata a seguito del nuovo rito è inappellabile. In sede di rigetto del ricorso, il giudice di pace determina l’importo della sanzione entro il minimo e massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata. Questa espressa disposizione era assente nel precedente art. 204 bis, il quale era stato modificato in parte qua dalla legge 120 del 2010, che aveva riscritto il comma 5, secondo le indicazioni derivanti dalla pronuncia di illegittimità costituzionale del 2004, nel punto in cui era previsto il versamento di una cauzione, quale condizione necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale. Per chiarezza espositiva e per la delicatezza della questione giova effettuare una ricostruzione delle modifiche subite dalla norma in commento. Con la legge 214 del 2003 il legislatore introdusse nel procedimento dinanzi al giudice di pace per violazioni al codice della strada, l’obbligo di versamento di una cauzione, quale condizione necessaria di procedibilità. Tale strumento, nell’intenzione del legislatore, avrebbe dovuto svolgere un duplice ruolo: deflativo rispetto soprattutto a pretese temerarie, e dall’altro di certezza di incameramento della sanzione da parte dell’amministrazione creditrice. La norma venne dichiarata incostituzionale con sentenza n. 114 del 2004. Nella pronuncia la Corte costituzionale riaffermò il principio secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e, pertanto, “deve trovare attuazione uguale per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali”.[2] Alla luce di tale principio la consulta ha stabilito che l’imposizione dell’onere economico di cui all’art. 204-bis pregiudicava l’esercizio di diritti che l’art. 24 della Costituzione proclama inviolabili, considerato che il mancato versamento comportava un effetto preclusivo dello svolgimento del giudizio, incidendo direttamente sull’ammissibilità dell’azione esperita. Pertanto la norma è stata dichiarata incostituzionale sia sotto l’aspetto della lesione del diritto di difesa del ricorrente, sia sotto l’aspetto della palese irragionevolezza. Nel corpo dell’art. 204 bis non venne espunto, però, il riferimento alla cauzione presente al comma 5 dello stesso. Secondo la norma, il giudice di pace nella determinazione dell’importo della sanzione, avrebbe dovuto assegnare all’amministrazione, con la sentenza di rigetto, la somma determinata. Con la riforma del luglio scorso il legislatore ha definitivamente eliminato il riferimento a tale versamento, nell’attuale comma 5 dell’art 204 non è infatti previsto alcun richiamo alla cauzione. Il comma in questione, dopo la legge 120 del 2010, prevede semplicemente che il giudice di pace determina l’importo della sanzione imponendone con sentenza il pagamento. Questo essendo il quadro normativo di riferimento, nel dicembre del 2010 la cassazione, come anticipato, è stata chiamata a risolvere la questione del se’nel giudizio di opposizione al verbale di accertamento di infrazione al codice della strada il giudice di pace abbia il potere di determinare, anche in assenza di una richiesta in tal senso della Pubblica Amministrazione, l’importo della sanzione pecuniaria da infliggersi al trasgressore (o al responsabile in solido), entro la misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale, secondo il suo libero convincimento. Come è, noto, infatti, il verbale di accertamento di violazioni al codice della strada, a differenza dell’ordinanza ingiunzione, non contiene la determinazione di alcuna sanzione, ma vi è, piuttosto, riportato un meccanismo di determinazione ex lege nel caso che il trasgressore opti per l'oblazione e nel caso in cui lo stesso non proponga ricorso nei termini (e non provveda al pagamento in misura ridotta). Tanto premesso, il supremo consesso, facendo riferimento a principi costanti affermatisi, peraltro, per il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione, ha ritenuto conforme a diritto che il giudice di pace, in base al proprio libero convincimento, possa determinare la sanzione in misura compresa tra il minimo ed il massimo edittale. Inoltre, il collegio, ha ritenuto che il richiamo al libero convincimento del giudice nella determinazione della sanzione, comporti che, rigettata l'opposizione e in assenza di una predeterminazione normativa, questi possa anche d'ufficio applicare una sanzione superiore a quella prevista, ovviamente, nei limiti edittali. Il decreto legislativo 150, proprio tenendo conto del diritto vivente, ha specificato, al comma 11 dell’art. 7, che il giudice deve determinare l’importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata, quando il ricorso è rigettato.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------

La competenza in caso di ricorso per violazioni al codice della strada è del giudice di pace del luogo ove la violazione è stata commessa. [2] Cfr. sentenza n. 67 del 1960.

 

Documenti allegati