• Giurisprudenza
  • Autotrasporto, trasporto ferroviario, marittimo ed aereo
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Gestione pubblica di autolinee

Consiglio di Stato VI sez.
22 maggio 2007, n. 2529

Gestione di autolinee – prolungamento linea da parte del Comune – sospensiva cautelare – ottemperanza al provvedimento – pregiudiziale amministrativa – non sussistenza – diritto al risarcimento del danno – situazione soggettiva giuridica – interesse procedimentale – risarcimento in forma specifica.

 

E’ necessario il previo annullamento del provvedimento impugnato per la concessione del risarcimento de danno.
La pregiudiziale non sussiste laddove a fronte di una pur parziale pronuncia giurisdizionale ( come nel caso della sospensiva cautelare ) la p.a. nel concreto orienti la sua attività sostanziale in senso conformativo al giudicato.
A fronte di tale spontaneo adeguamento  ( che nel caso di specie si traduce nel rinnovamento da parte del Comune del procedimento per l’attribuzione del servizio di autolinee) si configura in capo al ricorrente un interesse procedimentale, il quale risulta in tal senso reintegrato in forma specifica.
Diversamente non rileva alcun altro danno, diverso da quello procedimentale, posto che non risulta accertata, in sede cautelare, la spettanza del bene della vita che si pretende lesa ( nel caso de qua la sottrazione di traffico  e la lesione all’immagine dell’azienda per attribuzione del prolungamento del percorso di linee in favore di altra società).

 

Con la sentenza in epigrafe il Tar ha dichiarato improcedibile il ricorso  proposto dalla s.r.l. Autolinee Gaspari avverso la deliberazione G.M. 29 dicembre 1999, n.639, autorizzativa del prolungamento del percorso di linea in favore della s.r.l. STAUR, rilevando come, nelle more del giudizio, il Comune aveva emanato un nuovo provvedimento in data 8 agosto 2000, che ha di fatto travolto la precedente deliberazione oggetto di impugnativa.
Appella la società originaria ricorrente deducendo che, con la memoria del 23.3.2001, aveva fatto presente che era in prospettiva ultronea l’indagine sui motivi di ricorso, avendo il Comune prestato acquiescenza alla sospensiva adottata dal Tar il 22.3.2000, avendo, perlomeno con specifico riguardo alle censure recepite in sede cautelare, l’Amministrazione condiviso l’assunto della ricorrente, comunque con comportamenti concludenti in tal senso. Affermava però il perdurante interesse all’accoglimento del ricorso sul rilievo che la delibera impugnata non era stata espressamente revocata, né potevano configurarsi atti di ritiro impliciti, perché il rinnovo delle operazioni procedimentali non valeva ad invalidare quelle precedentemente compiute (una cosa è esprimere il riconoscimento di pregresse lacune, altro è eliminarle con atto idoneo). Peraltro la sottoposizione della rinnovata deliberazione al vaglio giurisdizionale e la possibilità del suo annullamento, avrebbero potuto far rivivere quella ripudiata, ma mai revocata. Soprattutto, argomento dimostrativo della conservazione di interesse all’azione, anche indipendentemente dall’annullamento del provvedimento impugnato, stava nella collaterale richiesta risarcitoria.
Nella specie, per l’appellante, anche indipendentemente dall’annullamento giurisdizionale, è agevole rilevare tutti gli elementi che abilitano la pronuncia risarcitoria. La colpa dell’Amministrazione è stata sostanzialmente riconosciuta ed ammessa attraverso un comportamento univoco e concludente, all’esito dell’emanazione del provvedimento cautelare 138\00 del Tar, cui si è totalmente conformata, consentendo la rinnovazione del procedimento e la partecipazione allo stesso della ricorrente, previa interruzione dell’espletamento del prolungamento del servizio urbano nel frattempo intrapreso dalla controinteressata.
Dunque la responsabilità comunale sarebbe accertata quantomeno con riguardo al condiviso aspetto violativo che l’Ente ha inteso sanare con la rinnovazione del procedimento; altrettanto, può dirsi per l’esistenza di un pregiudizio, sussistente per il solo fatto di essere rimasta frustrata, per la ricorrente, ogni sua aspettativa in ordine all’affidamento del servizio dalla sua illegittima pretermissione dal procedimento volto alla scelta dei candidati, ovvero di averle impedito di far valere la propria opposizione alla stessa effettuazione della scelta ed alla istituzione di un nuovo servizio, a tutela dei diritti e protezione delle posizioni raggiunte con l’autolinea extraurbana gestita.
“A latere” del configurato pregiudizio c’è poi quello derivante dalla prodotta sottrazione di traffico per sovrapposizione ed interferenza delle percorrenze e quello alla immagine aziendale, lesa, anche agli occhi di una disorientata utenza, dall’ingerenza del servizio urbano su un percorso da sempre di propria competenza. Ovviamente, la perdita di clientela condizionata dai prezzi più favorevoli, imposti ex lege, dei biglietti dell’urbano rispetto all’extraurbano e della serie di vantaggi offerti dall’abbonamento alle linee urbane, andrebbe circoscritta al solo iato temporale decorrente dall’inizio del disposto arretramento del capolinea alla sua interruzione, appartenendo la ripresa ed il successivo periodo all’ambito del secondo ricorso, il che rende la voce danno traducibile in termini economici modesti, col ricorso opportuno a semplici parametri valutativi ispirati ad equità. Per i danni complessivamente sofferti in dipendenza della vicenda la ricorrente indica la propria richiesta risarcitoria in Euro 10.000,00, salva diversa determinazione di giustizia (potrebbe disporsi acquisizione di relazione peritale sul punto). Allo stesso modo, vanno addossati a controparte gli oneri processuali, riflettendo gli stessi null’altro se non uno degli esiti esiziali riconducibili al comportamento colposo dell’Ente.
Si è costituito il Comune di Teramo deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello.
DIRITTO
1. Nel caso in esame, è, in primo luogo, contestato che possa pronunciarsi l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto avverso un provvedimento, (si tratta della delibera G.M. n.639 del 29 dicembre 1999), che sia stata  seguito da successiva delibera (G.M. n.465 dell’8 agosto 2000), la quale, sia pure adottata a seguito di sospensione cautelare di tipo “propulsivo” concessa, in data 22 marzo 2000, dal Tribunale di primo grado, abbia regolato la stessa materia, previa integrazione dei momenti procedimentali ritenuti carenti dalla ordinanza cautelare, pervenendo peraltro alle stesse conclusioni preclusive delle aspirazioni dell’originaria ricorrente.
2. Quest’ultima, in sede di appello, sostiene che l’interesse alla decisione del ricorso, e in definitiva, allo stesso accertamento della illegittimità della prima delibera, sussisteva sia perché quest’ultima non era stata espressamente revocata o fatta oggetto di atti di ritiro espliciti, e poteva comunque rivivere in pieno in caso di annullamento giurisdizionale della successiva delibera, (anch’essa oggetto di separato ricorso); sia perché, “anche indipendentemente dall’annullamento del provvedimento impugnato”, la ricorrente conservava il suo interesse “all’azione” in relazione alla “propria collaterale richiesta risarcitoria”. Sostiene così come sia agevole rilevare, “anche indipendentemente dall’annullamento giurisdizionale”, la ricorrenza di tutti gli elementi che abilitano la pronuncia risarcitoria.
3. Il motivo di appello proposto in questi termini è condivisibile.
Non quanto al primo profilo, poiché la successiva delibera comunale sopra citata non si richiama espressamente alla ordinanza cautelare emanata nel giudizio di primo grado, ma appare attivarsi autonomamente e porre in essere un comportamento concludente di acquiescenza, quantomeno, al rilievo dei profili di illegittimità operato in sede di sospensiva.
4. Tale acquiescenza risulta dunque integrata dal regolare la materia con una nuova determinazione procedimentalmente incompatibile con quella fatta oggetto di impugnazione in prime cure, -che deve considerarsi, appunto, abrogata per incompatibilità con la delibera sopravvenuta-, e al tempo stesso, dalla mancata impugnazione della pronuncia cautelare e, comunque, alla cessata contestazione, in sede di merito, della sussistenza dei vizi di legittimità (di ordine procedimentale) che sempre l’ordinanza aveva posto a sua base, pur trattandosi di pronuncia per sua natura basata su una “sommaria cognitio” e ad effetti temporanei, destinati cioè ad essere riassorbiti nella decisione di merito.
5. In realtà, come emerge anche dalla posizione difensiva assunta dal Comune in vista della decisione di merito, la nuova delibera appare il frutto di un procedimento rinnovato con diverse modalità, derivanti dalle indicazioni cautelari del Tribunale, ma destinata a regolare con stabilità l’assetto degli interessi sostanziali, in quanto espressamente non condizionata all’accoglimento dei profili di vizio procedimentali avuti di mira in sede cautelare da parte della decisione di merito.
6. In siffatta situazione processuale e procedimentale, dunque, (sebbene ragioni di economia processuale e di concentrazione dei giudizi inerenti alla medesima vicenda di amministrazione attiva, consigliassero di proporre, all’interno del giudizio di primo grado, motivi aggiunti avverso la nuova delibera), rimaneva tuttavia in piedi l’esigenza di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria avanzata in relazione agli effetti della delibera originariamente impugnata, in quanto lesivi della posizione di interesse legittimo della ricorrente per il periodo in cui questa aveva avuto esecuzione (vale a dire, dal momento, non precisato e comprovato, di effettiva attivazione del servizio di autolinea per il tratto in contestazione, comunque necessariamente successivo all’adozione della delibera stessa, datata 29 dicembre 1999, fino al momento dell’intervenuta sospensione ad opera dell’ordinanza cautelare del 22 marzo 2000).
7. Ora, accertato che la nuova delibera aveva una operatività definitiva, e non condizionata, nella stessa prospettazione del Comune, all’accoglimento nel merito del ricorso in primo grado, e che quindi la stessa aveva “sostituito” la precedente con effetto abrogativo a partire dall’8 agosto 2000, e che, comunque, quest’ultima aveva avuto un’efficacia delimitata al più tardi fino al 22 marzo 2000, era peraltro concepibile una pronuncia caducatoria “virtuale” adottata dal primo giudice in relazione all’esame della  totalità censure dedotte in ricorso, trattandosi dell’accertamento della legittimità di un provvedimento che, sebbene al momento della decisione, non poteva più considerarsi vigente, rivestiva comunque il ben noto carattere “pregiudiziale” ai fini del riconoscimento della fondatezza della pretesa risarcitoria.
L’esame del Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto comunque estendersi alla richiesta risarcitoria, rispetto alla quale, peraltro, sarebbe stato utile verificare ogni possibile vizio di illegittimità dedotto in ricorso in relazione alla delibera non più vigente.
8. Tuttavia, mentre con la memoria, nel giudizio di primo grado, del 22 marzo 2001, la ricorrente, da un lato, deduceva che apparisse “ultronea la verifica dei singoli motivi di opposizione, alla luce dell’atteggiamento assunto dal Comune…improntato alla piena acquiescenza”, dall’altro riaffermava il perdurante interesse della ricorrente all’accoglimento del ricorso, qualificato come “interesse all’annullamento del provvedimento impugnato,…quale presupposto della collaterale richiesta risarcitoria” , viceversa, con l’atto di appello, tale prospettazione appare sostanzialmente mutata.
9. L’appellante, infatti, si muove ora nell’ottica di ancorare il perdurante interesse all’annullamento solo alla prospettiva della potenziale reviviscenza della delibera originaria, eventualmente conseguente all’annullamento giurisdizionale della delibera successiva, -evenienza escludibile alla luce delle precisazioni sopra compiute circa l’intervenuta abrogazione sostanziale della prima-, mentre tende a collegare più decisamente la possibile condanna risarcitoria non più all’annullamento, ma  alla semplice sussistenza dei vizi che l’Amministrazione ha emendato con la rinnovata delibera, anche indipendentemente dall’annullamento del provvedimento impugnato (cfr; pagg. 6, infine, e 7 dell’appello).
10. All’esame di una richiesta risarcitoria in questi termini, non ostano la note ragioni che hanno condotto la giurisprudenza, sia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che delle SS.UU. della Corte di Cassazione (anche se con le note oscillazioni contrarie di cui alle ordinanze nn.13659, 13660 e 13911 del 2006), a ritenere, in linea di principio, la sussistenza della sopra accennata “pregiudiziale amministrativa” (nel senso della necessità ineludibile che il risarcimento del danno sia concesso solo in caso di previo annullamento della determinazione amministrativa impugnata).
In un caso come quello in esame, infatti, non si pone questione di elusione dei termini per l’impugnazione e quindi di proporre un diritto al risarcimento svincolato dalla stessa sopravvivenza dell’interesse legittimo (il cui “aspetto sostanziale”, bene della vita sottostante, si intende reintegrare per equivalente), ai termini perentori di vitalità dei poteri impugnatori che ne vincolano e ne concretano, in via assolutamente prioritaria, la tutela.
11. Nel caso in esame, - anomalo, ma non necessariamente insolito in relazione a frequenti analoghe vicende verificabili nei processi amministrativi a seguito dell’emanazione di pronunce cautelari-, sarebbe stridente con la logica e con le istanze di tutela apprestate dal sistema, non considerare il combinato disposto della “ottemperanza”, autonoma e  sostanziale apprestata dalla p.a. alla pronuncia cautelare, (quindi non ad una mera esecuzione del provvedimento giurisdizionale condizionata all’esito del giudizio di merito) e della sua correlazione con l’ambito dei vizi rilevati dal provvedimento stesso; detti vizi risultano, infatti, utilizzati dall’Amministrazione per un’attività novativa delle proprie determinazioni che, però, non può non riflettersi in una riconosciuta impraticabilità\illegittimità dell’azione amministrativa, ove detti vizi perdurassero nel contraddistinguere il modo di emersione e valutazione degli interessi sostanziali regolati.
12. In altri termini, laddove, rispetto ad un certo ambito di vizi, pur a fronte della provvisorietà della pronuncia giurisdizionale che li segnala (accertandoli con il carattere della sommarietà), la p.a. muova, nel concreto della sua attività sostanziale, verso un’area che corrisponde a quella dell’ottemperanza, in termini di adeguamento all’effetto conformativo della pronuncia, entrando spontaneamente in una fase corrispondente a quella di attuazione del giudicato, non avrebbe senso imporre quel previo annullamento dell’atto che è solo una misura parziale e prodromica rispetto all’ottemperanza e al pieno dispiegarsi dell’effetto conformativo che in tale fase si verifica.
13. Sulla scorta di tale rilievo, dunque, appare logico che la richiesta risarcitoria sia esaminabile al di fuori di una pronuncia di annullamento, formulata, secondo i casi che possono presentarsi in concreto, in termini ipotetici e virtuali, e quindi processualmente incidentali, laddove si ritenga non suscettibile di ulteriore vigenza il provvedimento in origine impugnato, ovvero formulata in via di statuizione principale, laddove l’effetto demolitorio sia in concreto ancora utilmente incisivo sull’assetto sostanziale.
Nel caso che ci occupa, data l’evidenziata prospettiva adottata dall’appello, né l’una né l’altra ipotesi, da ultimo indicate, per una statuizione di annullamento appare ricorrere, sicché la domanda risarcitoria appare esaminabile in relazione all’ambito della pronuncia cautelare di primo grado.
14. Per delineare peraltro correttamente i presupposti per concedere l’instato risarcimento, preliminarmente a qualunque esame relativo al concreto ambito dei danni eventualmente risarcibili in relazione alla portata di tale “decisum”, occorre verificare la natura della posizione che, a seguito del segnalato effetto conformativo spontaneamente recepito dall’Amministrazione, risulta in concreto riconosciuta alla parte ricorrente.
Tale posizione, nel caso, si concreta però in un mero interesse di tipo “procedimentale”, come emerge dal contenuto del provvedimento cautelare favorevole alla ricorrente medesima che, riconosciuta la sussistenza dei presupposti “previsti dall’art.21 L.n.1034/71”, chiariva la propria portata accogliendo la domanda incidentale di sospensione “al fine della rinnovazione del procedimento e della valutazione, in quella sede, della proposta della Società ricorrente”.
15. L’obiettivo fissato dalla pronuncia cautelare, dunque, si definisce, con riferimento all’applicazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990, nonché, a quanto è dato di ricavare dal complessivo esame delle censure dedotte nel ricorso di primo grado, alla esigenza di disporre una riunione istruttoria di tipo c.d.”compartimentale”, con la partecipazione delle imprese interessate al futuro svolgimento del servizio.
Non è invece possibile estendere la portata della decisione cautelare e della conseguente acquiescenza in relazione alla quale, come s’è più sopra chiarito, muove le sue pretese risarcitorie la ricorrente in sede di appello, ad altri vizi escludenti la stessa possibilità dell’Amministrazione di adottare la determinazione impugnata, rispetto alla quale l’indicazione di rinnovazione del procedimento è chiaramente incompatibile, ovvero, implicanti un’attribuzione preferenziale del servizio alla stessa ricorrente, vizi rispetto ai quali nessun riscontro può rinvenirsi nella statuizione di rinnovazione del procedimento.
16. Quest’ultima, invero, si caratterizza, ed appunto con essa l’acquiescenza prestata dall’Amministrazione, per il riconoscimento di un effetto partecipativo, cioè per un effetto conformativo che si muove tutto sul piano della tutela dell’interesse procedimentale della ricorrente medesima.
Va allora rammentato che l’interesse procedimentale è bensì una situazione pretensiva, ma esso è del tutto svincolato dal riconoscimento della spettanza del bene della vita, oggetto mediato del potere amministrativo esercitato e fondante l’aspetto sostanziale dell’interesse legittimo.
17. Sulla base di tale presupposto, la tutela dell’interesse procedimentale si sviluppa nello svolgersi del procedimento, appunto, nelle forme partecipative che la ricorrente ritiene mancate e la cui omissione fondava l’interesse a dedurre le relative censure. La tutela, dunque, si realizza nell’adozione di tali momenti procedimentali in sede di rinnovazione e quindi nella reintegrazione in forma specifica.
Nel caso, il Comune, di fronte alla possibile utilizzazione di strumenti procedimentali partecipativi (peraltro di incerta applicabilità), quale scaturente dalle indicazioni derivanti dalla sommaria cognizione propria della sede cautelare, si è prontamente attivato per conformarsi a quanto indicato dalla ordinanza cautelare qui in rilievo, delimitando il possibile prolungarsi di situazioni di incerta legittimità procedimentale segnalati nella fase cautelare, e fornendo, in definitiva, come deduce nel presente grado di giudizio, una sostanziale reintegrazione in forma specifica delle posizioni procedimentali che la ricorrente assumeva sacrificate dalla lamentata violazione delle forme istruttorie partecipate.
18. Si badi che, nella fattispecie, non deve neanche verificarsi la potenziale irrilevanza della violazione procedimentale ai sensi dell’art.21 octies della legge n.241 del 1990, essendosi al di fuori dell’ipotesi di atto di natura vincolata. D’altra parte, neppure rileva, rispetto ad una lesione arrecata ad un interesse procedimentale, il danno lamentato dall’appellante in termini di sottrazione di traffico e di lesione all’immagine aziendale, che presuppongono l’accertamento della spettanza alla medesima del servizio di autolinea ovvero l’illegittimità della stessa istituzione del prolungamento in questione, profili non accertati dalla pronunzia cautelare e comunque, allo stato, smentiti dall’esito della rinnovazione del procedimento.
Il relativo danno potrebbe attualizzarsi solo se fosse riconosciuta, nel giudizio pendente avverso la successiva delibera, l’illegittimità sostanziale della stessa estesa ai suddetti profili, ma, in mancanza di tale accertamento, non può configurarsi una lesione ad un interesse sostanziale, al bene della vita, la cui spettanza non può ritenersi allo stato deducibile.
Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va respinto.
L’incertezza della materia e la peculiarità della fattispecie giustificano la compensazione delle spese, tra le parti costituite, per entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso in appello indicato in epigrafe.                        
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

 

Documenti allegati