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Gli articoli 213 comma 8 e 219 comma 2 del Codice della Strada sono costituzionalmente legittimi?

Avv. Giovanni Samuele Foderà
17 agosto 2020

 

GLI ARTICOLI 213 COMMA 8 E 219 COMMA 2 DEL CODICE DELLA STRADA SONO COSTITUZIONALMENTE LEGITTIMI?

A cura dell’Avv. Giovanni Samuele Foderà

SOMMARIO: 1. PREMESSA. 2. PROFILI CRITICI SUGLI ARTT. 218 C.D.S., COMMA 8, E 219 C.D.S., COMMA 2: STESSO FATTO DUE PENE. 2.1. (SEGUE) LA (S)PROPORZIONALITÀ E LE DIVERSITÀ STRUTTURALI. 3. POSSIBILI MODIFICHE NORMATIVE E CONSEGUENZE SISTEMATICHE. 4. CONCLUSIONI.

 

PREMESSA

1.Recenti prese di posizione della Corte costituzionale inducono a una riflessione su alcune disposizioni di dubbia compatibilità costituzionale del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada, c.d. C.d.S.) e ss. modifiche ed integrazioni . Il dubbio stilla sul comma 8 dell’art. 213 e, di concerto, sul comma 2 dell’art. 219 del C.d.S. nella parte in cui dispongono per un effetto automatico dell’applicazione della revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che hanno violato l’obbligo custodiale.

 

2. PROFILI CRITICI SUGLI ARTT. 218 C.D.S., COMMA 8 E 219 C.D.S., COMMA 2: STESSO FATTO DUE PENE

Circa le disposizioni citate, i dubbi di costituzionalità paiono emergere sotto diversi profili, sicché i paragrafi che seguono tendono a darne atto.

Giova, innanzi tutto, evidenziare il dubbio che perora la prima disposizione nella parte in cui dispone in capo al custode dell’autovettura oggetto di sequestro l’assoggettamento a due sanzioni/pene, entrambe connotate dal requisito della gravità, ma riferite al medesimo fatto. Dispone, a tal proposito, la norma che “il soggetto che ha assunto la custodia il quale, durante il periodo in cui il veicolo è sottoposto al sequestro, circola abusivamente con il veicolo stesso o consente che altri vi circoli abusivamente è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.988 a euro 7.953. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente […]”.

La norma, infatti, contempla per lo stesso fatto storico (il circolare abusivamente con un veicolo sequestrato), il cui accertamento si svolge in contestualità o comunque in apparente vicinanza cronologica, due sanzioni parimenti gravi, che paiono violare il principio del ne bis in idem sostanziale, il quale rappresentando un “principio di civiltà giuridica” consente o dovrebbe consentire la maggiore tutela possibile per i singoli individui. Il principio infatti vieta di punire più volte un soggetto per lo stesso fatto storico, a meno che, forse, le sanzioni non rispondano a ratio diverse ; diversità, nel caso di specie invero che pare insussistente, perché la norma prevede un “effetto automatico” in conseguenza della medesima condotta ritenuta abusiva e avente la stessa ratio punitiva da violazione dell’obbligo custodiale, laddove in prima battuta sia stata pure comminata una multa al trasgressore.

A fronte del medesimo fatto storico (o della medesima condotta), la prima sanzione – contenuta nel primo periodo del comma 8 – è formalmente definita amministrativa “principale” ed è di natura pecuniaria, caratterizzata cioè per la comminatoria di una sanzione oscillante da euro 1.988 a 7.953. La seconda sanzione – parimenti prevista per lo stesso fatto storico/condotta e contenuta nel secondo periodo della norma citata – è sempre ritenuta “amministrativa”, ma di carattere formalmente accessorio. Però, la natura e/o il carattere dell’accessorietà (dal lat. mediev. accessorius, der. di accessum, supino di acced?re «accedere») comporta che trattasi di ciò che “si accompagna” a qualcosa considerato principale. Il concetto di accessorietà in generale e di sanzione accessoria in particolare postula, quindi, che deve trattarsi similmente a un “effetto/conseguenza” secondaria, marginale, complementare, rispetto al presupposto principale, rispetto cioè alla sanzione principale, che nel caso di specie è quella pecuniaria.

Tuttavia, un attento esame della portata della disposizione in parola, in uno con le altre norme (caratterizzate da una peculiarità di ratio) che si legano alla necessità dell’applicazione della revoca (e di cui si dirà), induce a sostenere che la norma de qua sia sostanzialmente anche una sanzione appartenente al più ampio sistema punitivo (sia esso lato sensu penale “principale” ovvero amministrativo “principale”) , di gravità se non superiore, almeno pari, a quella pecuniaria di cui al primo periodo dell’art. 213 C.d.s., comma 8. Essa consiste nella revoca della patente di guida, la quale limita grandemente la situazione giuridica soggettiva del soggetto, in quanto impedisce allo stesso di circolare con un automezzo e, più in generale, comprime uno dei fasci in cui la libertà fondamentali dell’uomo si esplica, ossia il diritto di circolare con un mezzo di automazione, onde esplicare la propria attività personale o patrimoniale. Per questa via occorrerebbe, forse, valutare la ragionevolezza di siffatta ulteriore misura valorizzando il dato normativo alla luce della Costituzione italiana nel suo “nuovo” volto proattivo, espellendo dal sistema disposizioni tendenti al mero castigo.

Per effetto di questa pregnante sanzione (quella formalmente ritenuta accessoria della revoca della partente di guida per l’inosservanza dell’obbligo custodiale), il soggetto ritenuto colpevole perde la possibilità di circolare liberamente e di svolgere la propria attività, ex artt. 13, 16 Cost., 41, 117 Cost. 8 Cedu, 45 e 56 TFUE, con un mezzo su ruote e per un periodo che, ai sensi dell’art. 219 C.d.S., comma 3-bis, è almeno due anni dal momento in cui è divenuto definitivo il provvedimento di cui al comma 2 ex art. 219 C.d.S. Dunque, per un periodo alquanto lungo se si considera che il soggetto ritenuto trasgressore può, in ipotesi, esperire i mezzi giustiziali e giurisdizionali costituzionalmente garantiti (art. 24 Cost.).

 

2.1. (SEGUE) LA (S)PROPORZIONALITÀ E LE DIVERSITÀ STRUTTURALI

Oltre a quanto detto, sorgono dubbi perché, per un verso, la norma pare violativa del principio di proporzionalità tra l’inosservanza potenzialmente commessa (quella dell’obbligo custodiale oggetto di sequestro) e la sanzione formalmente definita accessoria (la revoca della patente di guida del custode del veicolo già sequestrato). Senza tralasciare che assoggetta fatti astrattamente diversi, anche sul piano dell’intensità e ratio, alla medesima sanzione della revoca della patente; per l’altro verso, essa è distonica rispetto anche al trattamento sanzionatorio previgente.

Circa la sproporzionalità sopra detta si osserva che a fronte di una condotta violativa di una regola “civilistica” dell’obbligo custodiale del veicolo sequestrato si finisce per condannare il custode alla revoca della patente di guida. Ciò indipendentemente se tale inosservanza sia stata commessa in buona o mala fede, con ignoranza o con coscienza e se il soggetto custode sia o meno anche il trasgressore ex art. 213 C.d.S., comma 8 (sancendo così una responsabilità da posizione).

Tuttavia, se il sistema punitivo asseconda o dovrebbe assecondare una matrice garantista, allora una soluzione del genere appare ingiusta, perché la sanzione interdittiva viene fatta discendere da un accertamento poco rigoroso attuato non già sul piano della valutazione descrittiva, quanto piuttosto su quello prescrittivo rispetto alle legge: ai sensi dell’art. 219 C.d.S., comma 2, infatti, il Prefetto si limita ad accertare preventivamente le condizioni richieste dalla legge, non procedendo ad alcuna valuta discrezionalmente in ordine alle condizioni ambientali e personali del potenziale trasgressore.

A ciò bisogna aggiungere che, come ricorda la migliore dottrina, le pene accessorie sono caratterizzate da una penetrante incidenza sulla sfera giuridica del condannato e che esse hanno avuto una proliferazione disordinata nelle varie leggi speciali e talvolta nello stesso corpus normativo. Infatti, come si evince per quanto sinora detto sulle norme del Codice della Strada oggetto d’interesse, a fronte di una condotta violativa di una regola “civilistica” si finisce per condannare alla revoca della patente di guida il custode di bene amministrativamente sequestrato, ciò indipendentemente dallo stato soggettivo dell’agente e dalle condizioni ambientali in cui è maturata la violazione.

La sanzione in parola poi appare sproporzionata considerato che la misura pure colpisce condotte eterogenee e differenti sul piano della gravità e della ratio. Occorre a tal proposito ricordare che la revoca è disposta in ragione delle condotte previste dagli artt. 186, 186-bis e 187 C.d.S. e, più in generale, di quelle poste in essere dai soggetti privi, con carattere permanente, dei requisiti psichici e fisici (art. 130 C.d.S.). Per queste categorie soggettive risulta certamente meritevole la revoca della patente vista la loro gravità, essendo violative dell’incolumità dei cittadini e dell’ordine pubblico.

Per l’ipotesi di cui all’art. 218, C.d.S. comma 2, invece, detta grave sanzione accessoria appare irragionevole perché inerisce colui il quale abbia, seppur abusivamente, circolato con un automezzo sequestrato o permesso ad altri di farlo. Qui, insomma, non pare che venga in gioco la stessa ratio che ispira le condotte di cui agli artt. 186 e ss. C.d.S., essendo piuttosto incentrata sull’obbligo di custodia e controllo del bene.

Per questa via forse sarebbe opportuno che il Prefetto valuti la necessità o opportunità della misura e non provveda in modo automatico alla sua applicazione. Circostanza quest’ultima che emerge sia dalla lettura dell’art. 213 C.d.S., comma 8, ove si prevede che “si applica la sanzione amministrativa” della revoca della patente di guida, sia dall’art. 219 C.d.S., comma 2. In quest’ultima disposizione solo apparentemente si assegna al Prefetto un potere di valutazione nella parte in cui fa riferimento al “previo accertamento”, ma si tratta di una tecnica legislativa di tipo prescrittivo, sicché l’accertamento risulta essere de plano e ad esso segue sempre l’emissione dell’ordinanza di revoca e consegna immediata della patente alla prefettura.

L’art. 213, nel testo modificato dall’art. 5-bis della L. 17 agosto 2005 n. 168, tra l’altro, consapevole della rilevanza della potenziale inosservanza data dal circolare abusivamente del un veicolo sottoposto a sequestro, al comma 4 prevedeva che “chiunque” durante il periodo in cui il veicolo è sequestrato abusivamente lo utilizza è punito con una sanzione pecuniaria e si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni .

In quell’impianto normativo, dunque, veniva irrogata una sanzione che nel caso di specie poteva ritenersi effettivamente complementare rispetto alla pena pecuniaria principale, posto che essa si limitava a comprimere per un periodo alquanto ristretto (da 1 a 3 mesi) la libertà di locomozione su veicolo con ruote e, conseguentemente, appariva maggiormente rispettosa rispetto alla violazione compiuta dal trasgressore. Questo schema normativo è vero che dava adito a una doppia sanzione (quella pecuniaria e quella della sospensione della partente di guida), ma è anche vero che la sospensione in luogo della revoca aveva una minore pregnanza, che come tale “compensava” il rigore della norma .

 

3. POSSIBILI MODIFICHE NORMATIVE E CONSEGUENZE SISTEMATICHE

Per le superiori considerazioni, forse, occorrerebbe investire il Giudice delle leggi affinché lo stesso valuti la costituzionalità della norma nella parte in un cui non prevede la congiunzione “anche” (ovvero “eventualmente anche”) tra il “Si applica …” e “la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente”, ovvero si preveda l’inciso “Si può applicare”.

In altri termini, la formulazione dell’art. 213 C.d.S., comma 8, dovrebbe essere di questo tenore: “Si applica [“anche” oppure “eventualmente anche”] la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente” non abbia per così dire “effetto diretto”. Altra formula, come anticipato può essere la seguente: “Si [può applicare] la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente” e, correlativamente, l’art. 219 C.d.S., comma 2, nella parte in cui prevede “…emette l’ordinanza di revoca…” anziché “può emettere l’ordinanza di revoca...”. Così prevedendo la “nuova” norma, si potrebbe ovviare al deficit strutturale del precetto. Il potrebbe avvenire dunque solo attraverso una sentenza manipolativa additiva, ovvero in ipotesi mediante un intervento legislativo.

In questo modo poi si assegnerebbe all’Autorità amministrativa (alla prefettura) un potere discrezionale e non vincolato con effetto automatico e/o obbligatorio come ricorre nel caso normativo oggetto di dubbia legittimità costituzionale.

Così formulato il precetto normativo, inoltre, il Prefetto andrà di volta in volta a valutare la necessità o meno della revoca della patente di guida. Laddove, peraltro, il suo giudizio non sarà un nuovo giudizio fondato sulla sola violazione ex art. 213 C.d.S., ma un giudizio che dovrà verificare la necessità o opportunità della revoca della partente di guida. In definitiva, favorendo una lettura compatibile del disposto de qua da leggere anche in combinato con l’art. 219 C.d.S., comma 2, nella parte in cui prevede che il Prefetto prima di irrogare l’ordinanza di revoca della patente di guida effettui un “previo accertamento delle condizioni” di legge e del fatto concreto e quindi valuti discrezionalmente e non in modo vincolato tutte le condizioni ambientali che hanno portato l’organo, l’ufficio o il comando a formulare l’istanza di revoca della patente di guida, tra cui a titolo esemplificativo la condotta tenuta e mantenuta dal potenziale trasgressore.

Se è vero ciò, si ritiene che quante volte sia stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria, essa sia condizione necessaria al fine di punire l’eventuale trasgressore custodiale, laddove l’applicazione della misura accessoria della revoca deve essere valutata caso per caso.

 

4. CONCLUSIONI

Come detto in premessa, recenti prese di posizione della Corte Costituzionale hanno ispirato queste brevi riflessioni. Il Giudice delle leggi, infatti, con una serie di pronunce ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120 C.d.S., comma 2 (norma che qui invero esula) accogliendo le censure promosse dai giudici remittenti sul c.d. meccanismo automatico/obbligatorio dell’applicazione della revoca della patente di guida. Essa, come noto, è disposta automaticamente dal Prefetto, il quale per bocca della legge sempre «provvede» – invece che «può provvedere» – nei confronti di talune categorie di soggetti: quelli che dopo aver ottenuto la patente di guida vengano condannati per reati di cui agli artt. 73 e 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ; quelli nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale  e quelli che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del D.L.vo 6 settembre 2011, n.159. In tutte queste pronunce la Corte Costituzionale ha censurato l’effetto automatico e/o obbligatorio della revoca della patente di guida. Più in particolare, con la sentenza n. 22 del 2018 è stato messo in evidenza che «la disposizione denunciata [nel caso in questione, l’art. 120 comma 2 C.d.S.] – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega […] in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, a una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità». A ciò aggiungendosi la contraddizione insita nel fatto che «agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto invece ha il “dovere” di disporne la revoca».

La sentenza n. 24 del 2020, dal canto suo, perché ha ritenuto che l’automatismo della revoca della patente da parte del Prefetto sia contrario a principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, attesa la varietà (per contenuto, durata e prescrizioni) delle misure di sicurezza irrogabili, oltre ad essere contradditorio rispetto al potere riconosciuto al magistrato di sorveglianza, il quale nel disporre la misura di sicurezza “può” consentire al soggetto che vi è sottoposto di continuare – in presenza di determinate condizioni ? a fare uso della patente di guida. Analogamente, con al sentenza n. 99 del 2020 è stata censurata la disposizione sopra detta per irragionevolezza, perché commina la misura interdittiva nonostante «la varietà e diversa gravità di ipotesi di pericolosità sociale», discrimen che deve invece essere apprezzato concretamente.

Nelle citate fattispecie, analogamente al caso de qua, in termini generali viene all’attenzione il meccanismo automatico della revoca della parte di guida, a fronte di condotte che, come detto, sono disomogenee e aventi pure gravità diversa (v. § 2.1. e nota n. 10). Perciò, attraverso una lettura sistematica, così per come sopra tracciata, si ritiene di poter cogliere quel disordine del corpus normativo di cui al Codice della Strada e segnatamente delle disposizioni in parola (art. 213, comma 8 e art. 219, comma 2), possibilmente ritenute illegittime nei termini detti.

È opportuno, pure, aggiungere che recentemente la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 C.d.S., comma 2, quarto periodo nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p. il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 C.d.S. nel momento in cui non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis c.p.

Va, inoltre, rammentato che ai sensi dell’art. 222 C.d.S., comma 3, nel caso «di recidiva reiterata specifica verificatasi entro il periodo di cinque anni a decorrere dalla data della condanna definitiva per la prima violazione», è pure previsto che il giudice possa (e non debba) disporre la revoca.

Da questa pronuncia e da quest’ultima disposizioni è possibile cogliere la seguente conseguenza. Mentre nel caso di fatti penalmente rilevanti (quelli di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p.) al giudice è assegnato non solo un potere discrezionale su “quale” misura applicare (sospensione o revoca), ma anche “se” applicare la revoca della patente di guida in caso di recidiva, nel caso in cui la violazione abbia ad oggetto un obbligo di custodia il soggetto si vede necessariamente ed automaticamente applicata ad opera del Prefetto la revoca della patente di guida.

In altri termini, mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre ove lo ritenga opportuno il ritiro della patente, il Prefetto invece ha il “dovere” di disporre la revoca, senza che quest’ultimo possa valutare la sopravvenienza di condizioni volte al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida.

Invero si potrebbe tentare il salvataggio costituzionale della norma attraverso un valutazione e valorizzazione della condotta abusiva; sicché sarebbe opportuno che l’amministrazione, prima, e il giudice, dopo, valutino le condizioni ambientali e personali che caratterizzano la fattispecie concreta, onde così procedere o meno con la revoca del titolo abilitativo alla circolazione. Tuttavia, il comma 8 dell’art. 213 C.d.S. pare accogliere una lettura insensibile alle citate condizioni e incline, piuttosto, a legare la citata condotta alla mera circolazione dell’automezzo.

 

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