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Il contesto storico dei reati previsti dal Codice della Strada

Fabio Piccioni

 

IL CONTESTO STORICO DEI REATI PREVISTI DAL CODICE DELLA STRADA

In questa sede, senza alcuna pretesa di completezza, si procederà ad un esperimento di pura speculazione giuridica che, nel tentativo di analizzare la normativa vigente e la revisione proposta al sistema penale del codice della strada, ne evidenzierà i numerosi punti critici, nonché le difficoltà pratico-operative in cui si trovano gli organi di polizia stradale.
E ciò anche grazie alle schiette circolari mediante le quali i vari Ministeri si lasciano andare a ricostruzioni ermeneutiche ed eterointegrazioni adeguatrici della normativa non sempre condivisibile comunque non consentite dal principio di legalità, che si articola nel sottocorollario principio di tassatività delle norme, recato dall’art. 1 c.p. e, per quanto qui rileva, ribadito anche dall’art. 1 L. 689/81 - altri tempi, altro legislatore.
Ci si interrogherà sulla natura dei singoli istituti, tentando un’interpretazione metalinguistica delle norme che si amplifica a dismisura, includendo in sé ogni forma di lettura, comprensione o analisi, fino a dirigersi non già all’interpretazione ed alla corrispondente teoria, quanto piuttosto all’interpretabilità delle singole disposizioni ed alla loro funzione nell’equilibrio globale del sistema giuridico.
Nell’operazione verrà anche evidenziato il gergo, particolarmente ricercato nella ineleganza, utilizzato dal legislatore, il quale, per disprezzo dell’arte volgare del discorso, lasciando all’interprete la cura di lavorare la materia bruta dei concetti soltanto abbozzati della scienza sottintesa e la ricerca dei costrutti corretti corrispondenti a quelli erronei, finisce per rendere lo studio degli istituti giuridici proposti una camicia di forza di cui liberarsi al più presto.
Il continuo alternarsi di sanzioni penali a sanzioni amministrative, infatti, oltre a manifestare la mancanza di una meditata valutazione politico-criminale sottesa alle scelte punitive, evidenzia la logica di un intervento assolutamente sperimentale, degno di chi girovaga ramingo nel grande mondo del diritto sanzionatorio.
E’ pur vero che non c’è da fidarsi d’un perdigiorno fiorentino, pedante ed intollerante, che vive del godimento intellettuale derivante dal degenerato culto della bellezza della parola che si trova nel guardaroba linguistico della letteratura italiana, tuttavia, non si può pretendere che lo stesso, da umile giurista, che non esprime pensieri propri, ma che sceglie il materiale di lingua giuridica con intento di apprendimento, faccia tacere in sé il sentimento, affatto personale, che ha di certe voci e locuzioni.
Sia consentita quindi, rispettosamente ed entro dati limiti una certa libertà di manifestazione tesa alla riaffermazione, a dispetto di coloro che mancano di naturale eloquenza, del diritto della lingua - quale parte fondante la scienza giuridica - alla vita.

- La Depenalizzazione dei Reati Minori.
In un processo evolutivo di crescita sociale, il concetto etico-giuridico del fondamento e della funzione della pena, subisce nel tempo dei cambiamenti. La storia del diritto penale ha spesso consentito l’introduzione di sanzioni amministrative quale diritto punitivo più agile, senza per questo compromettere o ridurre le difese sociali.
Il fenomeno di crescita incontrollata di norme incriminatrici, verificatosi fin dalla seconda metà del XVIII secolo, ha fatto sorgere l’esigenza di sottrarre alla sfera penale quelle figure criminose non più avvertite come tali dalla mutata coscienza sociale, o poste a salvaguardia di interessi privi di rilievo costituzionale o riguardanti comportamenti solo marginalmente devianti, al fine di arginare quel sintomo di “ipertrofia del diritto penale”.
La scelta di lasciare immutato il contenuto dei precetti - sostituendo la valenza penale con quella amministrativa - si è focalizzata sulla ricerca di sanzioni diverse, pecuniarie e accessorie, ma più adeguate in termini di efficacia, incisività e semplicità, irrogate direttamente dall’Autorità amministrativa.
Le prime esperienze di derubricazione delle ipotesi meno gravi di reato in illeciti amministrativamente rilevanti, si sono manifestate con la L. 317/1967, recante Modificazioni al sistema sanzionatorio delle norme in tema di circolazione stradale e delle norme dei regolamenti locali; L. 950/1967, recante Sanzioni per i trasgressori delle norme di polizia forestale; L. 706/1975, recante Sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l’ammenda; fino ad approdare alla L. 689/81, recante Modifiche al sistema penale, che introduce una disciplina generale e organica (tanto da costituire un vero e proprio “codice di rito”) dell’illecito di diritto pubblico.
Numerose sono state, poi, le leggi di depenalizzazione settoriale tra le quali, oltre al Nuovo Codice della Strada (D.Lgs. 285/92), si ricordano la L. 561/93, Trasformazione di reati minori in illeciti amministrativi; il D.Lgs. 480/94, Riforma della disciplina sanzionatoria contenuta nel T.U.L.P.S., in attuazione della legge delega 562/93; il D.Lgs. 758/94, Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro; il D.Lgs. 415/96, Recepimento della direttiva 93/22/CEE del 10/5/93 e n. 87/345/CEE, concernenti il coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori.
In merito si ritiene opportuno riportare un passo della circolare 19/12/1983 della Presidenza Consiglio dei Ministri, avente ad oggetto Criteri orientativi per la scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative.
« … la sanzione amministrativa presenta un grado di indefettibilità per molti aspetti superiore a quello dell’omologa sanzione penale pecuniaria; la sua applicazione effettiva all’autore della violazione riconosciuto responsabile è, cioè, più saldamente assicurata.
A) La sanzione amministrativa non è, infatti, suscettibile in nessun caso di sospensione condizionale, che può invece essere concessa - entro certi limiti - per le condanna alla pena della multa o dell’ammenda non superiori ad una certa entità.
B) Il termine per la prescrizione dell’illecito amministrativo è fissato in cinque anni, sensibilmente superiore a quello fissato dall’art. 157 del codice penale per tutte le contravvenzioni. Inoltre, mentre l’interruzione della prescrizione del reato non può in nessun caso consentire la protrazione del termine oltre la metà di quello stabilito come base, la prescrizione dell’illecito amministrativo può essere procrastinata senza alcun limite, con il mero compimento periodico di un atto interruttivo, secondo le norme del codice civile.
Da questo punto di vista, è evidente come - a parità di condizioni - la sanzione amministrativa possa risultare preferibile alla pena dell’ammenda, quando si intenda assicurare l’effettiva punizione dell’autore dell’illecito.
D’altro canto … occorre tener conto di un elemento che tende invece ad infirmare l’indefettibilità della sanzione amministrativa rispetto a quella penale. 
A differenza della multa e dell’ammenda, la sanzione amministrativa non eseguita per insolvibilità del condannato non può essere convertita in sanzione diversa, incidente sulla libertà personale. La sua efficacia è quindi inconsistente rispetto ad illeciti che normalmente si riconnettono a situazioni personali di indigenza … illeciti per i quali è efficace la sola sanzione penale (ovviamente nei casi in cui non appaia sproporzionata al disvalore del fatto)».

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Il D.Lgs. 30/12/1999 n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), emanato in attuazione della delega conferita al Governo dall’art. 1 della L. 205/99 ed entrato in vigore il 15 gennaio 2000, rappresenta un intervento fondamentale, collegato all’istituzione del giudice unico, teso a restituire efficienza al servizio giustizia (1). Così, i reati considerati di minore pericolosità sociale e con sanzioni penali che ormai venivano raramente applicate, sono stati “degradati” in illeciti amministrativi.
Per quanto qui rileva, incisive sono le modifiche apportate, dal Titolo III del decreto citato, alla legislazione in materia di circolazione stradale. Il taglio alle pene riguarda, infatti, molte fattispecie già costituenti reato contravvenzionale.
Il legislatore delegato, nel rinunciare alla minaccia della sanzione penale ha compensato l’efficacia deterrente, in nome dell’esigenza di tutela della collettività, con l’accentuazione delle sanzioni pecuniarie e l’introduzione di un vigoroso sistema di sanzioni accessorie - che scattano sin dalla prima violazione e che, in caso di reiterazione (recidiva amministrativa), diventano definitive: basti pensare alla confisca del veicolo - i cui contenuti interdittivi possono risultare anche più afflittivi di quelli insiti nella sanzione penale (2).
Sono state, così, individuate tre fasce sanzionatorie rapportate all’entità delle precedenti sanzioni penali: una “bassa”, una “media” e una “alta”.
Le ipotesi di reato depenalizzate, sono quelle già previste dagli articoli:
- 74 c. 6: contraffazione, asportazione, alterazione della targhetta del costruttore o del numero di identificazione del telaio;
- 83 c. 6: adibire a mezzo di trasporto ad uso proprio un veicolo non provvisto delle necessarie abilitazioni;
- 88 c. 3: adibire a mezzo di trasporto per conto terzi un veicolo non provvisto delle necessarie abilitazioni;
- 97 c. 9: abusiva fabbricazione e vendita dei contrassegni di identificazione per ciclomotori e circolazione con contrassegno contraffatto o alterato (3);
- 100 c. 12: circolazione con veicolo munito di targa non propria o contraffatta;
- 113 c. 5: circolazione su strada con macchine agricole e operatrici semoventi prive delle prescritte targhe di riconoscimento, ripetitrici e di immatricolazione;
- 114 c. 7: circolazione su strada con macchine agricole e operatrici semoventi non provviste di tutti i requisiti necessari;
- 116 c. 13: guida senza patente di veicoli;
- 124 c. 4: guida senza patente di macchine agricole o operatrici;
- 136 c. 6: guida con patente rilasciata da Stato estero, per la quale non sia stata richiesta la conversione, quando sia trascorso un anno dall’acquisizione della residenza in Italia;
- 168 c. 8: trasporto di merci pericolose senza la prescritta autorizzazione o in difformità dalle prescrizioni imposte;
- 176 c. 19: violazione del divieto, sulle carreggiate, sulle rampe, sugli svincoli delle autostrade e delle strade extraurbane principali, di invertire il senso di marcia, attraversare lo spartitraffico, e di percorrere la carreggiata nel senso opposto a quello consentito;
- 192 c. 7: violazione dell’obbligo di fermarsi ad un posto di blocco;
- 213 c. 4: abusiva circolazione con veicolo sottoposto a sequestro;
- 216 c. 6: abusiva circolazione durante il periodo in cui sia stata ritirata la carta di circolazione o la patente di guida;
- 217 c. 6: abusiva circolazione durante il periodo in cui sia stata sospesa la carta di circolazione;
- 218 c. 6: abusiva circolazione durante il periodo in cui sia stata sospesa la validità della patente. 

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La sezione penale del C.d.S. è stata, in sostanza, notevolmente alleggerita e solo ben poche previsioni hanno continuato ad avere rilevanza penale, peraltro in ambiti dove, considerata la gravità delle violazioni, la depenalizzazione si sarebbe scontrata con le esigenze di tutela minima di beni individuali e collettivi di primaria importanza.
Il decreto ha, infatti, lasciato inalterate le fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 100 c. 14, 186 cc. 2 e 6, 187 cc. 4 e 5, 189 cc. 6 e 7 (4).

- LA “RIPENALIZZAZIONE” DEGLI ILLECITI AMMINISTRATIVI
Con L. 22/3/2001 n. 85, pubblicata sulla G.U. del 31/3/01 n. 76, il Parlamento conferiva delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo recante «disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada … nonché della legislazione vigente concernente la disciplina della motorizzazione e della circolazione stradale» e di separati decreti legislativi, recanti disposizioni per «integrare, coordinare e armonizzare il nuovo codice della strada con le altre norme legislative comunque rilevanti in materia» e «norme integrative e modificative del regolamento di esecuzione». Nel successivo termine di 3 anni è stata data facoltà al Governo di adottare ulteriori decreti legislativi recanti «disposizioni integrative e correttive» dei decreti legislativi “integrativi e correttivi” (sic!) del nuovo codice della strada.
Gli obiettivi che la legge persegue consistono nella «tutela della sicurezza stradale; riduzione dei costi economici, sociali ed ambientali derivanti dal traffico veicolare; fluidità della circolazione anche mediante utilizzo di nuove tecnologie».
Innanzitutto, sono previsti interventi diretti a coordinare e armonizzare le “norme stradali” con le altre norme legislative, con le norme comunitarie e con gli impegni assunti dal Paese con la ratifica di accordi internazionali. Si ricorda, infatti, che la Commissione europea, con la redazione del Piano di sicurezza stradale 1997/2001, ha posto come principale obiettivo per gli Stati membri, la riduzione entro il 2010 del 50% dei decessi a seguito di incidenti stradali. 
Nel dicembre 2001 la Commissione interministeriale incaricata, elaborava un primo schema di decreto, contenente oltre 140 articoli, con il quale veniva proposta un’ampia modifica all’intero impianto del Codice della Strada.    
In data 11 gennaio 2002, il Governo presentava un testo ridotto a 82 articoli, sul quale la IX Commissione Trasporti espresse parere favorevole a condizione di un ulteriore ridimensionamento del contenuto ai profili essenziali della riforma, rinviando ad ulteriori decreti l’attuazione degli altri aspetti della delega.
Dopo soli 4 giorni (entro il limite del termine previsto dall’art. 1 L. 85/01) è stato emanato il D.Lgs. 15/1/2002 n. 9, recante “Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’art. 1 c. 1 della L. 22/3/2001 n. 85”, ridotto a 19 articoli. L’intervento non segue un filo logico per materia, ma affronta quei temi sui quali la comunicazione di massa aveva già creato notevole risonanza sociale.
Tra le principali (delle molte) novità richieste dal legislatore delegante, balza evidente la richiesta introductio criminis di cui all’art. 2 lett. t) L.85/01. Si tratta di un’operazione che ci si permette di definire di “ripenalizzazione”, perché antitetica a quella di depenalizzazione. A tale pretesa il legislatore delegato ha dovuto rispondere con una trasposizione sul piano penale di fattispecie comportamentali già costituenti illecito amministrativo. E ciò in piena controtendenza sia con il D.Lgs. 507/99 che - con l’obiettivo di restituire efficienza alla macchina dei procedimenti penali - aveva provveduto a derubricare in illeciti amministrativi la maggior parte dei reati stradali, sia con il D.Lgs. 274/00 (5) che - in nome di quel tanto agognato effetto deflativo del sistema penale - aveva attribuito la competenza per i “reati minori” al Giudice Penale di Pace prevedendo la modifica delle pene detentive con pene pecuniarie e, nei casi più gravi, con sanzioni alternative alla detenzione.
Ne sono scaturite le ipotesi contravvenzionali (non oblabili) previste e punite dagli artt. 9 c. 8-bis - introdotta dall’art. 2 c. 1 lett. l) D.Lgs. 9/02 - e 141 c. 9 II periodo - introdotta dall’art. 8 D.Lgs. 9/02.
Interessanti modifiche vengono anche apportate agli artt. 186 e 187. 
L’entrata in vigore del decreto legislativo era prevista per il 1 gennaio 2003; tuttavia, la L. 6/8/02 n. 168, di conversione con modifiche del D.L. 20/6/02 n. 121 - che potremmo definire una sorta di “codice della strada per l’estate” - anticipa la decorrenza al 7 agosto 2002 delle contravvenzioni di “Competizioni sportive senza autorizzazione” e “Gareggiare in velocità” e della riduzione del tasso alcolemico consentito a 0,5 g/l (6).
L’entrata in vigore delle altre modifiche, è stata poi ulteriormente prorogata al 30 giugno 2003 dalla L. 27/12/02 n. 284 - Conversione in legge, con modificazioni del decreto legge 25/10/02 n. 236, recante disposizioni urgenti in materia di termini legislativi in scadenza.

- LE ULTERIORI TAPPE VERSO LA COMPLETA ATTUAZIONE DELLA RIFORMA PENALE.
L’allarme sociale determinato dai fatti di crescente pirateria stradale (7), ha portato il legislatore a ridefinire l’intero impianto sanzionatorio dell’omissione di soccorso, anche a seguito di incidente con danno alle persone, mediante l’adozione della L. 9/4/03 n. 72. La riforma, inoltre, ritrasferisce la cognitio causae degli art. 189 c. 6 cod. strad. e 593 c.p. - a meno di 15 mesi dalla precedente assegnazione - dal Giudice penale di Pace, al Tribunale in composizione monocratica.

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Con un provvedimento recante Modifiche ed integrazioni al C.d.S., il Governo - «ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di integrare le norme ... con l’obiettivo di pervenire a un più elevato livello di sicurezza già nei prossimi esodi estivi, caratterizzati da un massiccio incremento della circolazione delle strade» - ha varato un secondo  “codice della strada per l’estate”. Così il 30 giugno 2003, in contemporanea con l’altra parte della riforma disciplinata dal D.Lgs. 9/02, è entrato in vigore il D.L. 27/6/03 n. 151, contenente 7 maxi articoli. La riforma, che viaggia su due binari (il D.Lgs. 9/02 e il D.L. 151/03) tra loro intersecanti, risulta di difficile consultazione: i numerosi rinvii operati, richiedono un lavoro di “taglia e incolla” per tentare di leggere, prima ancor che di interpretare, le “modifiche alle modifiche”. Per quanto qui rileva, disposta l’abrogazione della versione degli articoli 186 e 187, già proposta dagli artt. 13 e 14 D.Lgs. 9/02 (mai entrati in vigore), vengono completamente riscritte le contravvenzioni di guida in stato di ebbrezza da alcool e da stupefacenti.
Ancora una volta, si è utilizzato l’irrituale strumento del decreto legge come un procedimento aperto - una sorta di disegno di legge rinforzato ad urgenza garantita - che ha consentito rivisitazioni senza limiti. La L. 1/8/03 n. 214, di ratifica del provvedimento, infatti, ha poco a che vedere con il contenuto originario del decreto per effetto delle numerose modifiche, aggiunte e soppressioni, sia sostanziali che procedurali, apportate ed entrate in vigore il 13 agosto 2003. Nel tralasciare l’ozioso problema concernente la emendabilità di un decreto legge che modifica un decreto legislativo adottato sulla base di apposita legge delega - microfilologia di diritto pubblico - si deve prendere atto dell’ulteriore stravolgimento dell’intero sistema “penale stradale” entrato in vigore solo un anno prima.
Infatti, il comma 8-bis dell’art. 9 è abrogato, al suo posto è inserito l’art. 9-bis che ridefinisce ex novo la materia. Allo stesso modo, l’art. 9-ter sostituisce il secondo e terzo periodo del comma 9 dell’art. 141 (tuttavia, nella tabella allegata all’art. 126-bis, è rimasta la decurtazione di 10 punti in caso di violazione dell’art. 141 c. 9, III periodo!).
L’opera di “ripenalizzazione” raggiunge il grado massimo di sublimazione.
Le norme eliminate, entrate in vigore solo lo scorso 7/8/02, qualificavano le violazioni de quo come reati contravvenzionali. Oggi, invece, gli stessi fatti costituiscono ipotesi di reato a matrice delittuosa (8), corredate di specifiche circostanze aggravanti (con pene che aumentano in progressione geometrica) laddove siano derivate lesioni personali o la morte di qualcuno.
Ennesima modifica anche per la guida sotto l’influenza dell’alcool. Il reato torna, dopo solo un anno e 7 mesi di cognizione da parte del Giudice Penale di Pace (dal 2/1/02), nella competenza del Tribunale monocratico. Si esaurisce così, definitivamente, la competenza penale del giudice di pace per i reati stradali. Il legislatore non si è, però, occupato di apportare le opportune modifiche all’art. 4 c. 2 lett. q) D.Lgs. 274/00, che continua, quindi, ad attribuire l’autorità al giudice onorario.
Il divieto di somministrazione di bevande superalcoliche (con gradazione superiore al 21% di alcol in volume) in autostrada, già previsto dalle 22 alle 6, dall’art. 14 c. 1 L. 125/01, è esteso alle 24 ore; resta, tuttavia, consentito il consumo di alcolici e la vendita di superalcolici in bottiglia!

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Dopo una pausa nel 2004, il 30 giugno 2005, a due anni esatti dalla “rivoluzione stradale” del 2003, il Governo ha varato il D.L. 115/2005 (9) che, in sede di conversione con modifiche nella L. 168/05, ha consentito al legislatore di inserire ulteriori importanti modifiche al codice della strada (10).
Per quanto qui rileva, il nuovo art. 130-bis prevede la revoca della patente in caso di violazioni commesse “in stato di ebbrezza” che abbiano provocato la morte di “altre persone”.
Nella concreta speranza che il nuovo disposto normativo, sia in grado di determinare un sostanziale e permanente contributo alla sicurezza stradale, in una prospettiva che abbraccia la prevenzione nel suo complesso, non si può fare a meno di sottolineare che restano, tuttavia, numerosi problemi che influiscono sul rendimento della previsione volta a tutelare il bene dell’incolumità individuale, dovuti alla formulazione legislativa confusa e contraddittoria.  
Inoltre, il nuovo comma 2-sexies dell’art. 213 dispone la confisca amministrativa del ciclomotore e del motoveicolo che sia stato adoperato per “commettere un reato”.

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In data 21/2/2006, il Parlamento ha approvato la L. 102/06 (11), recante Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali.
I lavori preparatori del provvedimento, prendono le mosse dal disegno di legge della Camera dei deputati n. 521, presentato il 6/6/01. Assegnato alla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 28/6/2001 con pareri delle commissioni I e IX.

Esaminato dalla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 23, 30/1/2002; il 12/2/2002; il 23/1/2003; il 13/2/2003; il 14/10/2003; il 13/11/2003; il 2, 3/12/2003; il 14/1/2004; l'11/2/2004; l'11/3/2004; il 6/5/2004. Esaminato in aula il 7/3/2005, veniva approvato il 9/3/2005 in un Testo unificato con atti n. 866; n. 1857 e n. 4125.
Passato in Senato, è diventato l’atto n. 3337. Assegnato alla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 15 marzo 2005 con pareri delle commissioni I, V, VIII, X e XI. Esaminato dalla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 10 maggio 2005; il 14 giugno 2005; il 19, 27 luglio 2005; il 20 settembre 2005; l'11 gennaio 2006. Esaminato in aula, veniva definitivamente approvato il 9 febbraio 2006.
A fronte di cotanta analisi, ricerca, riflessione e verifica, ci si sarebbe potuti legittimamente aspettare una legge prudente ed attenta.
Ed invece, non possiamo fare altro che prendere atto della circostanza che si tratta di una disciplina difettosa nell’impostazione di fondo oltre che nella formulazione delle singole disposizioni in quanto, riducendosi ad un intervento angustamente novellistico, si limita a rimaneggiare il passato senza saper delineare il futuro. L’asserzione risulta sperimentalmente verificabile tramite un rigoroso procedimento di analisi logico-giuridica che si avvale di quei criteri di ermeneutica legale stabiliti dall’art. 12 delle preleggi e risulta aderente al tenore letterale di cosa è stato scritto e di cosa, invece, si è omesso di scrivere.
Tutte le previsioni contenute nella L. 102/06 recano, infatti, problemi giuridico-applicativi. E ciò perché il legislatore, ancora una volta, ha dimenticato di armonizzare le singole modifiche con il contesto all’interno del quale le stesse andranno ad operare, cagionando un testo normativo strabico e di difficile attuazione prima ancora che di interpretazione.
In conclusione, la L. 102/2006, entrata in vigore il 1/4/2006, costituisce un bel pesce d’aprile per l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada - le sue disposizioni appaiono, infatti, infelicemente non coordinate con le singole leggi di riforma che hanno toccato i singoli campi di intervento. Conseguentemente, il 22 marzo 2006, a soli 5 giorni dalla pubblicazione della legge, l’Associazione non ha potuto fare altro che adottare una mozione al fine di valorizzare la “cultura della protezione delle vittime dei reati derivanti dalla circolazione stradale” e, nel prevenire uno spasmodico impegno degli operatori del processo in questioni di rito anziché di merito, perseguire, veramente, la tutela dell’essere umano.
E’ necessario, urgente ed ormai improcrastinabile l’esigenza che la “Giustizia stradale” ritrovi credibilità innanzitutto nella coscienza sociale. Per far ciò basterebbe recuperare il vecchio brocardo secondo il quale le norme devono essere “poche, chiare e precise”.     

- LE MODIFICHE AI REATI DI “GUIDA IN STATO DI EBBREZZA” E LA NUOVA “RIPENALIZZAZIONE”.
In attesa dell’annunciato scardinamento definitivo dell’attuale formulazione del C.d.S. - ad oggi molto malato, ma non ancora in coma - il Governo ha approvato un piano transitorio di modifica, teso a perseguire il tanto agognato obiettivo della sicurezza stradale. Così, nell’ultima seduta prima della pausa estiva 2007, l’Esecutivo ha varato il D.L. 3/8/07 n. 117, poi convertito con modifiche nella L. 160/07.
C’era da aspettarselo: è ormai nota la diabolica iconologia mediante la quale, fin dai tempi della delega 85/01, il legislatore ci ha abituato a studiare le riforme al codice della strada sotto l’ombrellone. Ancora una volta, come ormai di consueto, Palazzo Chigi è ricorso alla decretazione d’urgenza, ma, ciò che è più grave, questa volta la scelta è stata dettata dal lento procedere dell’iter parlamentare sul d.d.l. in discussione.
Non si comprende, tuttavia, ubi fuit la straordinaria necessità e urgenza - limite giuridico-sostanziale imposto dall’art. 77 Cost. - di provvedere a colmare una lacuna che esiste da sempre. Il fatto che il preambolo del provvedimento - nel dar conto del presupposto costituzionale relativo all’indicazione delle motivazioni sottese alla scelta del Governo di adottare provvedimenti provvisori con forza di legge - reciti testualmente: “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre norme modificative del codice della strada, al fine di contenere il crescente tasso di incidentalità sulle strade”, si risolve, allora, in una mera operazione di facciata.

sulla GUIDA SENZA PATENTE
La nostalgia per il passato porta alla “ripenalizzazione” della violazione di cui all’art. 116 c. 13 che, nata come reato, è già stata oggetto di derubricazione in illecito amministrativo, da parte del D.Lgs. 507/99.
Mediante un’operazione di mera ortopedia giuridica che, nel lasciare pressoché inalterato il quantum monetario, si limita a sostituire la qualificazione punitiva della “sanzione amministrativa” con quella dell’“ammenda”, la guida senza patente torna ad essere un reato contravvenzionale, presidiato dalla pena pecuniaria “da 2.257 a 9.032 euro”. Ne deriva che, essendo stabilita la sola pena dell’ammenda, al contravventore è consentito estinguere il reato mediante ricorso all’oblazione ai sensi dell’art. 162 c.p., previo pagamento di una somma corrispondente alla terza parte del massimo edittale. Poiché il giudice deve limitarsi ad essere la bouche qui prononce les paroles de la loi, una questione resta da risolvere: che senso logico, prima ancora che giuridico, ha, in termini di politica criminale-giudiziaria, da un lato, ripenalizzare un illecito, se poi si prevede, dall’altro, un regime punitivo che consente la deprocessualizzazione dell’intervento penale su richiesta dell’interessato?
Nel caso di recidiva specifica biennale - che la norma definisce, con inconsapevole ignoranza, “reiterazione” - è previsto “altresì” l’arresto “fino a 1 anno” (12).
L’ultimo periodo del nuovo comma 13 dell’art. 116 attribuisce, poi, la competenza a conoscere il reato al Tribunale in composizione monocratica. Nel rilevare l’insidiosa e ingannevole presenza di una previsione di carattere processuale all’interno di una norma di diritto sostanziale, se ne deve evidenziare anche l’inutilità stante che i criteri generali di cui al combinato disposto degli artt. 6, 33-bis e 33-ter codice di rito, avrebbero consentito di assegnare comunque tale competenza.
La novella si è, invece, dimenticata di occuparsi delle fattispecie complementari a quella in esame che continuano a sanzionare in via amministrativa “chiunque guida macchine agricole o macchine operatrici senza essere munito della patente” (art. 124 c. 4) e “coloro che, trascorso più di un anno dal giorno dell’acquisizione della residenza in Italia, guidano con patente … rilasciata da uno stato estero, non più in corso di validità” (art. 136 c. 6).

sulla GUIDA IN STATO DI EBBREZZA ALCOLICA O SOTTO L’EFFETTO DI SOSTANZE STUPEFACENTI
Ma arriviamo alla parte del provvedimento che rappresenta una delle più importanti modifiche apportate all’impianto del C.d.S. che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto attuare una rivoluzione culturale in grado di influenzare il codice di autoresponsabilità dei conducenti.
Come noto, gli illeciti di cui agli artt. 186 e 187 costituiscono reato (nella specie, contravvenzione) comune di pericolo astratto - rectius, reato di pura condotta che prescinde dall’indagine sull’effettiva pericolosità della condotta - teso ad evitare situazioni di intralcio per la circolazione, in guisa da salvaguardare l’incolumità degli utenti della strada.
Come già visto, l’excursus storico-normativo di quest’ultimo lustro, dimostra come tali reati siano stati più volte oggetto di riflessione a livello di diritto sostanziale, processuale e sopranazionale, nonché di interpretazione ministeriale, la qual cosa ha consentito l’apporto di ben 10 tra modifiche, aggiunte e soppressioni all’impianto normativo originario.
Tali continui ripensamenti uniti allo stratificarsi delle formulazioni, hanno prodotto una tale baldoria giuridica che rende il dettato normativo così problematico, da rischiare di mettere in serio pericolo la realizzazione degli obiettivi, dando luogo a difficoltà interpretative e applicative.

Pene ed istituti processuali
Il reato di cui al comma 2 dell’art. 186 esplode in 3 gradi di intensità di ebbrezza riferiti al tasso alcolemico accertato,

cui corrispondono 3 livelli sanzionatori gradualmente afflittivi:
a) lieve - da 0,51 a 0,8 g/l - ammenda da 500 a 2.000 euro (sparita, invece, in sede di conversione, la pena dell’arresto

fino a 1mese);
b) intermedia - da 0,81 a 1,5 g/l - arresto fino a 3 mesi e ammenda da 800 a 3.200 euro;
c) grave - oltre 1,51 g/l - arresto fino a 6 mesi e ammenda da 1.500 a 6.000 euro.
Preso atto dell’anarchia filologico-giuridica nella formulazione della norma, laddove il nostro oratore forense antepone la

pena dell’ammenda a quella dell’arresto, non ci resta che verificare - mediante una semplice operazione di matematica

giudiziaria - se l’aumento delle pene, risulti effettivamente adeguato “alla reale gravità del fenomeno”, come vorrebbe la

circolare ministeriale.
Innanzi tutto, balza all’evidenza come, per la pena detentiva, sia stata mantenuta l’individuazione del solo limite massimo,

la qual cosa consente l’applicazione del minimo pari a 5 giorni di arresto (art. 25 c.p.).
Così, laddove il Pubblico Ministero opti per il procedimento speciale di cui all’art. 459 c.p.p., in sede di presentazione al

Giudice per le Indagini Preliminari della richiesta di emissione di decreto penale di condanna (ad una pena diminuibile sino

alla metà rispetto al minimo edittale):
- se ante modifica, poteva proporre l’ammenda complessivamente contenibile in euro 319 (5 gg. di arresto e € 129 di ammenda,

convertita la pena detentiva ex art. 53 L. 689/81 in € 190);
- a seguito della modifica,
•   per il primo livello di ebbrezza, il contravventore potrà estinguere il reato, avvalendosi dell’oblazione, ai sensi

dell’art. 162 c.p., mediante il pagamento della somma di euro 666,67;
•   per il secondo livello di ebbrezza, il P.M. potrà proporre l’ammenda contenibile in euro 590 (5 gg. di arresto e € 400 di

ammenda, convertita la pena detentiva ex art. 53 L. 689/81 in € 190);
•   per il terzo livello di ebbrezza, l’ammenda potrà essere contenuta in euro 940 (5 gg. di arresto e € 750 di ammenda,

convertita la pena detentiva ex art. 53 L. 689/81 in € 190).
Sembra, allora, che sotto il profilo sostanziale sia cambiato davvero poco.
In merito all’art. 187, la disposizione sanzionatoria, già contenuta nel comma 7 (soppresso), viene spostata nel comma 1, che

non ricalca più il quadro sanzionatorio previsto dal comma 2 dell’art. 186. Infatti, la pena oggi prevista per la guida in

stato di alterazione da stupefacenti è paragonabile a quella prevista per il livello intermedio di ebbrezza alcolica: arresto

fino a 3 mesi e ammenda da 1.000 a 4.000 euro.

Le sanzioni accessorie
Notevolmente incrementate le sanzioni accessorie.
Per la guida in stato di ebbrezza la sospensione della patente raddoppia ad ogni fascia intensità, da 3 a 6 mesi, da 6 mesi a

1 anno, da 1 a 2 anni.
E' contemplata anche l’ulteriore sanzione accessoria della revoca della patente, nel caso in cui il reato sia commesso dal

conducente di autobus, di veicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t., o di complessi di veicoli (13),

ovvero “in caso di recidiva nel biennio”. Tuttavia, poiché tale ultima previsione risulta inserita all’interno della lettera

c), i citati presupposti fondanti l’applicazione della recidiva restano, immotivatamente, circoscritti alla sola ipotesi

grave di ebbrezza.  
All’accertamento del reato di guida in stato di alterazione, consegue, “in ogni caso”, la sospensione della patente da 6 mesi

a 1 anno e della revoca quando il reato sia commesso dal conducente di mezzi pesanti, o per recidiva infrabiennale.

La misura sostituiva della pena - sparita
Nella versione contenuta nel D.L. che, tuttavia, è stata soppressa in sede di conversione in legge, nelle ipotesi di ebbrezza

“intermedia” e “grave”, nonché di alterazione da stupefacenti, la pena poteva essere sostituita, a richiesta, con l’obbligo

di svolgere un’attività sociale gratuita e continuativa presso strutture sanitarie traumatologiche.
Ci si era quindi chiesto che “c’azzecca” l’attività sociale con chi guida dopo essersi ubriacato o drogato, visto che lo

stesso, secondo l’interpretazione autentico-radiofonica fornita dall’allora Ministro delle infrastrutture, si merita la

galera.
Sfuggiva, peraltro, alla comprensione la ragionevolezza e la proporzionalità di una previsione che non consentiva,

nell’ipotesi più lieve, la sostituzione della pena.  
Qualche osservazione sembra degna di rilievo.
Quando i reati di cui agli artt. 186 e 187 rientravano nella competenza del G.d.P. esisteva una pena, alternativa alla

detenzione, idonea ad ottemperare alla funzione di prevenzione speciale, quale era il Lavoro di Pubblica Utilità. Sulla base

di quanto previsto dal D.M. 26/3/2001, si poteva calibrare il lavoro disponendo attività di assistenza alle vittime della

strada e/o ai loro prossimi congiunti, in guisa da consentire all’autore del reato di acquisire consapevolezza delle

conseguenze umane e materiali della propria azione, riflettendo sulle motivazioni del proprio comportamento.
L’intento era forse quello di recuperare una pena tesa all’emenda nonostante il trasferimento della competenza al Tribunale;

i confini fumosi, quanto incerti, del nuovo istituto hanno, tuttavia, indotto il legislatore ad eliminare la previsione.

Le pene in caso di incidente stradale
I nuovi comma 2-bis dell’art. 186 e comma 1-bis dell’art. 187, nel duplicare le fattispecie di cui ai reati base, prevedono

che se il conducente in stato di ebbrezza o alterazione “provoca un incidente stradale, le pene … sono raddoppiate” e si

affianca il fermo amministrativo per 90 giorni. Resta, invece, invariata la sanzione accessoria della sospensione della

patente, che non risulta assoggettata a moltiplicatore, stante il richiamo tassativo alle sole “pene”.
In mancanza di un’espressa qualificazione giuridica, resta il dubbio se tali previsioni costituiscano autonoma ipotesi

criminosa - reato qualificato dall’evento, che si trasforma da “reato di pericolo” in “reato di danno” - o figure di reato

circostanziato - aggravante specifica ad efficacia speciale - della fattispecie contemplata nel paragrafo precedente. Il

problema classificatorio non risponde soltanto ad un’astratta esigenza dogmatica, ma assume rilevanza eminentemente pratica:

laddove si propenda per l’ipotesi di reato circostanziato, infatti, sarebbe ammissibile il giudizio di

bilanciamento-equivalenza tra circostanze, ai sensi dell’art. 69 cod. pen., con conseguente regressione del disvalore a

quello previsto dal periodo precedente.
Certo è che la tecnica di formulazione del comma 2-bis dell’art. 186 lascia intendere una specialità per specificazione

rispetto al comma 2, dal quale dovrà essere necessariamente tratta la intensità della condotta di ebbrezza.

Competenza per materia
I nuovi comma 2-ter dell’art. 186 e 1-ter dell’art. 187 attribuiscono, inequivocabilmente, la cognitio causae al Tribunale in

composizione monocratica. 
Le disposizioni si sono rese necessarie a causa di quell’intricato succedersi di norme nel tempo - sul quale sono dovute

intervenire numerose circolari ministeriali, sezioni diverse della Suprema Corte oltre che la Consulta - che ha richiesto un

ingentilimento giuridico della previsione.
Il legislatore persiste tuttavia nell’astenersi dall’apportare le opportune modifiche all’art. 4 D.Lgs. 274/00, che continua,

ancora, ad attribuire l’autorità al giudice onorario. Per quanto la chiave di volta sia, ovviamente, rinvenibile nel

principio secondo cui lex posteriori derogat priori sembrava opportuno cogliere l’occasione per risolvere definitivamente

l’empasse giuridico.

* * *

Il comma 2-quater dell’art. 186, cui rinvia anche il secondo periodo del comma 1-ter dell’art. 187, fa salva l’applicazione

dell’apparato amministrativo sanzionatorio anche nel caso di “applicazione di pena su richiesta delle parti”. Non si

comprende, tuttavia, la paura del legislatore di assicurare le sanzioni accessorie dal rischio patteggiamento.
L’obbligatorietà dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie (particolari e atipiche) anche in caso di

definizione del processo con applicazione della pena concordata dalle parti ex art. 444 c.p.p., costituisce ormai jus

receptum, grazie alle numerose pronunce della giurisprudenza di merito oltre che di legittimità (14).

Il nuovo istituto del “ritiro cautelare della patente”
Il nuovo comma 5-bis dell’art. 187 attribuisce agli organi di polizia la possibilità di disporre il ritiro della patente - da

depositarsi presso il Comando - per un periodo massimo di 10 giorni, “qualora l’esito degli accertamenti di cui ai commi 3, 4

e 5 non sia immediatamente disponibile e gli accertamenti di cui al comma 2 abbiano dato esito positivo, se ricorrono fondati

motivi per ritenere che il conducente si trovi in stato di alterazione psico-fisica dopo l’assunzione di sostanze

stupefacenti o psicotrope”.
Il presupposto per azionare il nuovo algoritmo sanzionatorio consiste, quindi, nella indisponibilità dell’esito degli

accertamenti. Tuttavia, tale circostanza - non certo ascrivibile al conducente il quale, peraltro, ha prestato il consenso

all’effettuazione degli stessi - non pare in grado di giustificare l’irrogazione della sanzione accessoria del ritiro.
Infatti, da un lato, l’eventuale esito positivo dell’accertamento preliminare non ha alcun valore di prova legale dell’uso di

stupefacenti, dall’altro, risulta del tutto inconferente la ricorrenza di eventuali “fondati” motivi, per ritenere che il

conducente si trovi in stato di alterazione (periodo di impairment o under effect), visto che il reato in esame - che delinea

un sistema di prova legale di accertamento - non può essere contestato solo con l’osservazione del comportamento del

conducente, poiché occorre il necessario riscontro medico (15).
Per quanto ovvio, nel caso in cui il referto sanitario (basato sull’integrazione dei risultati dell’esame clinico e di quelli

chimico-tossicologici) dovesse, poi, risultare negativo, il ritiro della patente per 10 giorni diventa ingiusto. Infatti, la

mancata  configurabilità dell’ipotesi di reato, esclude la possibilità di applicare il ritiro che è misura amministrativa

accessoria alla pena principale. Conseguenza ne è che verrà ad integrarsi la lesione di una situazione giuridica soggettiva,

un danno non iure, la cui risarcibilità può trovare risposta nella ampia previsione dell’art. 2043 c.c. In termini analoghi,

si è espressa una pregevole sentenza in materia di risarcimento del danno per illegittima sospensione della patente, che ha

concluso per la sussistenza degli elementi che danno luogo alla richiesta tutela risarcitoria (16).
Anche l’art. 186, grazie all’aggiunta di un periodo alla fine del comma 5, prevede l’applicabilità delle disposizioni

contenute nel comma 5-bis dell’art. 187.
La citata operazione di rinvio materiale desta, tuttavia, molteplici perplessità. Si deve, infatti, osservare l’impreciso

richiamo, come tertium comparationis, alle modalità di accertamento della guida in stato di alterazione per stupefacenti che,

come noto, risultano notevolmente diverse rispetto a quelle previste, e consentite, per l’accertamento della guida in stato

di ebbrezza alcolica.
Il presupposto sembra, peraltro, fuorviante: non si capisce come possa essere “non immediatamente disponibile” il risultato

dell’etilometro o della descrizione degli indici sintomatici, residuando, eventualmente, solo l’accertamento a mezzo di

certificazione rilasciata dalle strutture sanitarie, in caso di incidente stradale a seguito del quale il conducente sia

stato sottoposto alle cure mediche. In tal caso, peraltro, si ritiene che, se l’art. 186 consente alla P.G. di effettuare

l’accertamento con verifica e descrizione degli indici sintomatici, a maggior ragione agli stessi fini, sarà sufficiente la

descrizione della sintomatologia clinica correlabile all’abuso di alcool, rilasciata da parte del sanitario.

Rifiuto di sottoporsi all’accertamento
Nel sostituire integralmente il comma 7 dell’art. 186 e il comma 8 dell’art. 187 (che, in questo caso, opera un rinvio

materiale alle sanzioni di cui all’art. 186), viene inserita la più grossa novità: la depenalizzazione (del reato ostativo)

del rifiuto, che comporta “la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.500 a 10.000 euro”, che diventa “da

3.000 a 12.000”, se la violazione “è commessa in occasione di un incidente stradale in cui il conducente è rimasto

coinvolto”. Dalla violazione conseguono le ulteriori sanzioni accessorie della sospensione della patente da 6 mesi a 2 anni e

del fermo del veicolo per 180 giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato (17). Inoltre, con

l’ordinanza con cui viene disposta la sospensione, il Prefetto ordina al conducente anche di sottoporsi alla visita medica di

revisione. Infine, in caso di reiterazione infrabiennale della violazione, è disposta la revoca della patente.
L’intervenuto degrado della fattispecie in illecito amministrativo crea una serie di problemi sia a livello procedurale che

sostanziale.
- Innanzitutto, si osservi che, in questa occasione, la trasformazione dell’“illecito di pericolo” in “illecito di danno”, in

caso di incidente stradale, non risulta speculare a quella prevista per il reato. Infatti, altro è “provocare” un incidente,

che richiede l’elemento soggettivo almeno colposo della condotta, altro è “rimanere coinvolto” in un sinistro, la qual cosa

evoca un comportamento che, sebbene eziologicamente ricollegabile all’utente, potrebbe prescindere del tutto dalla sua

effettiva responsabilità (18).
- Non si comprende, poi, perché, accanto alla sospensione della patente, prevista per un periodo sensibilmente lungo, sia

stato inserito anche il fermo del veicolo, peraltro per un periodo pari al doppio di quello previsto per il reato aggravato

dal sinistro.              
- Ancora, resta priva di supporto logico, prima ancora che giuridico, la previsione relativa all’ordine di sottoporsi a

visita presso la commissione medica. Non si vede, infatti, la connessione tra il rifiuto, che consiste nel frapponimento di

ostacoli all’attività di controllo per la sicurezza stradale, e la necessità di disporre accertamenti medici circa la

sussistenza dei requisiti fisici e psichici prescritti.
- Inoltre, e ciò che più rileva, si deve osservare che l’intervenuta depenalizzazione del rifiuto rende assai difficoltosa la

contestazione del reato. Infatti, il rifiuto di sottoporsi all’esame non costituisce presunzione di sussistenza dello stato

di ebbrezza (19) che resterà accertabile soltanto a mezzo della descrizione degli indici sintomatici relativi al

comportamento o allo stato del soggetto. Resta, tuttavia, da comprendere, stante l'intervenuta articolazione del reato a

fasce, quale possa essere la pena da applicare in caso di accertamento di alito vinoso, eloquio sconnesso e incoordinazione

motoria accompagnati da andatura a zig-zag, ingiustificati scarti laterali ed imprudenze varie alla guida. Una

verbalizzazione di tal fatta, rientra nel primo, secondo o terzo livello di ebbrezza? Sembra che l’unica via di uscita sia

quella di ritenere che il legislatore abbia (implicitamente) voluto escludere l’accertamento sintomatico. In relazione

all’art. 187, poi, la depenalizzazione del rifiuto rende indiscutibilmente impossibile la contestazione del reato, in quanto

in assenza di un accertamento tecnico-specialistico, non è consentito desumere lo stato di alterazione da elementi

sintomatici esterni.
- La previsione, infine, consente al trasgressore, mediante il mero rifiuto - che nonostante preveda il pagamento di una

sanzione pecuniaria elevata, risulta pur sempre preferibile alla denuncia - di neutralizzare e precludere, di fatto,

l’applicabilità delle disposizioni contenute nei commi 2 e 9 dell’art. 186 oltre che nell’art. 130-bis, mancando la prova del

raggiungimento delle soglie richieste dalle norme!
E’ una triste realtà: il Codice della Strada vende di tutto: dai punti-patente a 250 euro, all’esenzione dalla denuncia a

2.500 euro.

Conclusioni
Continuare a ritenere che solo “l’inasprimento del regime sanzionatorio” - come si legge nel preambolo del D.L. 117/07 -

possa consentire una significativa inversione di tendenza e svolgere un’efficace azione deterrente rispetto alla frequenza

delle violazioni al C.d.S., significa non comprendere che il rispetto della legge non può limitarsi all’area della

repressione (che spesso viene anche a mancare), ma richiede la comunicazione delle motivazioni sottese alla scelta normativa,

che ha il compito, in questo ambito, di tutelare il bene dell’incolumità individuale - prevenzione.
Risulta, infatti, assolutamente basilare, per la crescita psicosociale, la responsabilizzazione ed il confronto critico dei

cives con le norme e le istituzioni, che non devono essere guardate con diffidenza a cagione dell’uso di quegli strani

epiteti e della proposizione di strafalcioni giuridici, degni del miglior precipizio degli spropositi.
Il contegno istituzionale - caratterizzato da una tecnica legislativa non rispettosa dei canoni estetici e architettonici di

sistematicità giuridica, oltre che fautore di aporetici problemi giuridico-sociali ed economico-normativi - è, invece, indice

del vigore e della convinzione con la quale si perseguono gli obiettivi.
Dunque, memento.

        

Nel prendere atto di come il legislatore abbia perso, ancora una volta, l’occasione di dimostrare l’avvenuto distacco dai

tempi in cui, a proposito della lingua della legislazione, si temeva che «osar d’ingentilire la lingua forense» fosse «fatica

sprecata» (Ferdinando Arrivabene), tornano in mente le parole dell’imperatore cinese K’ang Hsi nel XVII secolo, il quale, con

l’intento di scoraggiare il ricorso al legal process, dichiarò:
Le cause tenderebbero a crescere in un modo spaventoso se il popolo non avesse paura dei tribunali e se si sentisse certo di

trovare sempre presso di loro una giustizia pronta e perfetta … Desidero perciò che coloro che si rivolgono ai tribunali

vengano trattati senza alcuna pietà, ed in modo tale da essere disgustati dalla legge e da tremare al pensiero di dover

comparire davanti ad un magistrato.
Abbiamo forse titolo di pensare che oggi le cose siano davvero diverse?

 

(1) Il pericolo è però, come osservato da parte della dottrina, che nel perseguire una volontà deflativa si arrivi al

paradosso per cui “quel che esce dalla porta del penale, rientri dalla finestra del civile in sede di opposizione, con un

effetto pertanto illusorio, considerato che se il processo penale piange, quello civile certamente non ride”.
(2)  La sanzione amministrativa consente alla pubblica amministrazione di perseguire l’interesse pubblico alla sicurezza

della circolazione, attraverso propri atti che sono, per natura, esecutivi e rispetto ai quali la garanzia costituzionale

risale non alla presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.) o all’applicazione o convalida da parte dell’autorità

giudiziaria (art. 13 Cost.), ma alla immediata impugnabilità davanti al giudice (art. 113 Cost.).  
(3) Si osservi, tuttavia, come sia rimasto in vigore il reato di cui all’art. 100 c. 14 il quale reca un disvalore pressoché

identico.  
(4) Per un approfondimento sugli illeciti penali previsti dal Codice della Strada, si rinvia a F. PICCIONI, I Reati Stradali,

aspetti sostanziali e processuali del diritto penale stradale, II edizione, IL SOLE 24 ORE, 2007.
(5) Per un approfondimento sul tema, si rinvia a U. NANNUCCI - F. PICCIONI, L’Accusa e la Difesa nel processo davanti al

Giudice Penale di Pace, edizioni LAURUS ROBUFFO; e S. MANZELLI - A. CICCIA - F. PICCIONI, Competenze penali del Giudice di

Pace e attività di Polizia Giudiziaria, guida pratica con formulario degli atti, edizioni MAGGIOLI.
(6) Non si può fare a meno di domandarsi perché il legislatore non abbia ritenuto di anticipare anche l’entrata in vigore

della disciplina concernente la modifica del reato di guida sotto l’uso di sostanze stupefacenti.
(7) Il fenomeno è passato dai 332 episodi nel 1990, pari a 2,1 ogni 1000 incidenti stradali, ai 7.835 casi nel 2000, pari a

37 ogni 1000 incidenti, con un incremento complessivo in dieci anni del 1.697%.
(8) Permane, allora, un dubbio di costituzionalità dell’art. 03 c. 1 lett. b) L. 214/03, legge di conversione con modifiche

del D.L. 151/03, che ha inserito le nuove fattispecie incriminatrici, in riferimento agli artt. 24 e 76 Cost., per eccesso di

delega con riferimento all’art. 2 c. 1, lett. t) L. 85/01 che, nell’enunciare i criteri da adottare per l’individuazione dei

reati, prevede espressamente delle ipotesi contravvenzionali (punite con arresto e ammenda).
Certo, si potrebbe sostenere che lex posteriori (L. 214/03) derogat priori (L. 85/01); residua, tuttavia, l’insufficiente

determinatezza dei presupposti sulla base dei quali il legislatore si sarebbe determinato a ripenalizzare le ipotesi di

illecito de quibus in delitti.
(9) Si noti la diabolica iconologia nei provvedimenti di riforma del codice della strada: il D.L. 115 del 2005 infatti, non è

altro che l’anagramma numerico del D.L. 151 del 2003, peraltro entrambi entrati in vigore alla data del 30 giugno.
(10) In merito non si può fare a meno di osservare come forse, per raggiungere l’obiettivo, sarebbe stato più appropriato

l’utilizzo dello strumento del decreto legislativo.
Si ricordi, infatti, il monito con cui la Consulta, con le sentenze 29/95 e 161/1995, rilevava in casi analoghi, la “evidente

mancanza” dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza.
(11) Per un approfondimento sul tema, si rinvia a F. PICCIONI, Le recenti modiche al Codice della Strada, edizioni EXPERTA,

2006.
(12) Si osservi che la pena risulta ben inferiore a quella prevista dal comma 13 nella versione in vigore

ante-depenalizzazione: arresto da tre a dodici mesi e ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni.
(13) Tra i quali vanno ricompresi anche i caravan e le auto con roulotte.
(14) In tal senso, tra le ultime, Cass. Pen., sez. VI, 14 maggio 2003, n. 26136; Cass. Pen., sez. IV, 24 aprile 2003, n.

19293 e Cass. Pen., sez. IV, 7 febbraio 2003, n. 5998.
Contra, nel senso della non applicabilità della sospensione della patente, Cass. Pen., sez. V, 20 dicembre 1996 n. 10980,

Cass. Pen., sez. VI, 9 luglio 1997, n. 6652 e Pret. Rovigo, 11 aprile 1997.
(15) In tal senso anche Corte Cost., 27 luglio 2004 n. 277.
(16) Cfr., Trib. Milano, 7 giugno 2003.
(17) Si osservi la differente locuzione utilizzata per fondare l’esenzione dal fermo rispetto a quella contenuta nell’art.

214 c. 1-bis.
(18) Sembra di leggere dei periodi a chiocciola, dove la stessa idea è espressa più volte in forma diversa.
(19) Il rifiuto di sottoporsi all’esame non costituisce di per sé stesso presunzione di sussistenza dello stato di ebbrezza

che deve essere comunque provato, Cass. Pen., sez. IV, 8 aprile 1995, n. 3829

 

 

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