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Il risarcimento del danno derivante da riscossione illegittima
Di Giorgio Rispoli
1. La tematica.
La tematica del risarcimento dei danni derivanti da un'attività di riscossione illegittima[1] costituisce uno snodo essenziale nei rapporti fra la p.a. e la generalità dei consociati. Ed infatti il livello di civiltà giuridica di un sistema si coglie soprattutto dalla trasparenza dell’azione amministrativa, dalla sua conformità al paradigma normativo e dalla democraticità dei rapporti fra l’operatore statuale e i cittadini. È opportuno sottolineare come spesso tematiche attinenti alla circolazione stradale in senso lato hanno determinato l'evoluzione dei formanti sociali e il superamento di acquisizioni consolidate in nome di una rinnovata sensibilità dell'operatore giuridico. Ciò con particolare riguardo all'erosione di quell'area di privilegio e contestuale deroga alla disciplina ordinaria che si tendeva a riconoscere alla p.a. anche ove la sua azione si esplicava attraverso moduli paritetici e non già autoritativi. Si pensi al tema della responsabilità custodiale da manutenzione delle strade in cui la funzione nomopoietica di una costante giurisprudenza pretoria aveva elaborato la discussa figura della cd. insidia o trabocchetto, consistente in una situazione di pericolo occulto per l’utente della strada non visibile e non prevedibile, pertanto non evitabile attraverso il ricorso alla normale diligenza[2]. In pratica, l'azione risarcitoria del cittadino nei confronti della p.a. era condizionata alla dimostrazione della sussistenza di questo ulteriore requisito tanto ardua quanto non richiesta da alcuna norma. La mutata sensibilità dei formanti sociali ha condotto poi, a partire dal 2005, ad una totale inversione di prospettiva, espungendo dagli elementi costitutivi della fattispecie l'insidia o trabocchetto e riconducendo la responsabilità de quo nell'ambito applicativo dell'art. 2051 c.c. L'iter prospettato mostra una sorta di parallelismo con la tematica che qui interessa. Ed infatti il riconoscimento del risarcimento del danno da riscossione illegittima – dapprima relegato ad eventualità contingente e transeunte – diviene oggi figura di generale applicazione sotto il profilo dei danni patrimoniali e non. Questo perchè l'implementazione di procedure di riscossione polimorfe e standardizzate, seriali, di massa, spesso portate avanti dagli enti di riscossione in modo automatico e tralatizio anche in presenza di un provvedimento difforme dell'autorità giudiziaria, pone un serio problema di tutela del cittadino. Questi si vede infatti costretto ad affrontare una pluralità di spese non esigue sia per avvalersi del parere di un esperto (avvocato, commercialista, consulente del lavoro) sia per dialogare con l'amministrazione. Inoltre le cronache ci riportano quotidianamente le nefaste conseguenze dei patemi d'animo inerenti le procedure di riscossione talvolta perpetrate in modo estremamente invasivo e brutale. A fronte di una procedura di riscossione illegittima dunque l'adeguato ristoro del danneggiato dovrebbe essere omnicomprensivo e riguardare sia i danni patrimoniali che quelli morali.
2. La tutela risarcitoria.
Occorre rilevare che nel nostro ordinamento non ogni danno è risarcibile ma soltanto quello che risulti lesivo di una posizione giuridica astrattamente tutelata dall'ordinamento nel momento storico di riferimento. Il punto da cui muovere è dunque rappresentato dall'art. 59 del D.P.R. 602/1973 secondo cui “Chiunque si ritenga leso dall'esecuzione può proporre azione contro il concessionario dopo il compimento dell'esecuzione stessa ai fini del risarcimento del danno”. Nel disegno originario del legislatore, dunque, l'azione di risarcimento dei danni nei confronti dell'agente della riscossione aveva carattere suppletivo e residuale rispetto ai mezzi di tutela plasmati per rimuovere gli atti irregolarmente compiuti durante la procedura espropriativa[3]. Era pertanto esperibile ad esecuzione avvenuta allorchè alla denuncia delle irregolarità non fosse avvenuta la loro rimozione. Tuttavia l'evoluzione giurisprudenziale oggi ammette sempre più spesso – al di là del dato normativo – il risarcimento del danno a favore del contribuente in ipotesi di atti illegittimi posti in essere dall'agente della riscossione anche anteriormente al compimento della procedura espropriativa anche alla luce della moltiplicazione di strumenti di carattere sanzionatorio/afflittivo volti a spingere il privato all'adempimento. Si riconosce pertanto al contribuente la possibilità di agire tanto per l'annullamento quanto per il risarcimento dei danni in presenza di una cartella di pagamento, di un'iscrizione d'ipoteca su immobili o di fermo su beni mobili registrati, che siano illegittimi[4]. Alcune decisioni ritengono altresì sussistente in capo al destinatario del cd. preavviso di fermo l'interesse ad agire per contestare l'esistenza del debito ed evitare che il concessionario della riscossione esegua il fermo di beni mobili registrati[5]. Occorre peraltro distinguere fra la tutela risarcitoria inerente i danni patrimoniali e quella riguardante invece i danni non patrimoniali. In relazione al ristoro dei danni patrimoniali la giurisprudenza[6] riconosce la responsabilità della p.a. ex art. 2043 c.c. per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo nell'esercizio del potere di autotutela. Ciò ove siffatto comportamento abbia arrecato danno al privato oppure tale condotta costituisca violazione di principi fondamentali dell'ordinamento. La Cassazione ha inoltre precisato che le spese legali sostenute per proporre ricorso avverso l'atto illegittimo ben possono essere qualificate alla stregua di un danno risarcibile[7]. Né a tale configurazione osterebbe il carattere facoltativo dell'esercizio del potere di autotutela da parte della p.a. Questo perchè la pretesa risarcitoria scaturirebbe non dall'esercizio della predetta facoltà bensì dal compimento dell'atto illegittimo. L'autotutela rappresenterebbe perciò soltanto un mezzo attribuito alla p.a. per elidere tempestivamente le conseguenze negative di un comportamento illegittimo. Come peraltro sottolineato da un consolidato filone giurisprudenziale[8] l'attività della p.a. - anche nel campo della pura discrezionalità – deve infatti svolgersi nei limiti previsti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere sancito dall'art. 2043 c.c. Ciò in ossequio ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento cui ai sensi dell'art. 97 Cost. deve informarsi l'attività della p.a. Di conseguenza tali principi si pongono come limiti esterni all'attività stessa.
3. Il problema della giurisdizione e della competenza.
Occorre rilevare come la Cassazione ha altresì ribadito la giurisdizione del giudice ordinario in tema di risarcimento del danno derivante da riscossione illegittima[9]. Ciò in quanto la fattispecie inerisce la violazione di un diritto soggettivo ad opera di un comportamento – doloso o colposo – della p.a. contrario a quelle previsioni normative che costituiscono un limite esterno all'attività della stessa. Un mero comportamento della p.a., non dunque un atto espressione dell'esercizio di un potere autoritativo. Poichè nel nostro ordinamento il riparto di giurisdizione è imperniato sul sintagma diritto soggettivo/interesse legittimo e sul correlativo carenza/cattivo uso del potere si evince come nella fattispecie sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario. La linea di demarcazione riguardante il riparto di giurisdizione parrebbe così adeguatamente delineata. Tuttavia non si registra uniformità giurisprudenziale in relazione al diverso quesito inerente la competenza. Secondo una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione[10] – che contraddice pur senza farne menzione due recenti precedenti[11] ugualmente a Sezioni Unite – la competenza esclusiva sarebbe del tribunale. Ciò in quanto spetterebbe a tale organo la competenza funzionale inderogabile in materia di esecuzione forzata. Tale assunto è criticato da chi[12] osserva come gli atti dell'agente di riscossione (fermo, iscrizione d'ipoteca) non sarebbero atti dell'esecuzione in senso stretto bensì avrebbero una funzione coercitivo/afflittiva volta a spingere il debitore ad adempiere. Di conseguenza l'opposizione nei confronti dei predetti atti dovrebbe essere qualificata alla stregua di un'azione di accertamento negativo della pretesa dell'esattore.
4. I danno non patrimoniale.
Di particolare interesse risulta poi l'evoluzione giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da riscossione illegittima. Tale percorso muove parallelamente ai recenti approdi giurisprudenziali in materia di danno non patrimoniale in generale. Il vigente codice civile – notoriamente avaro di definizioni – sul punto rasenta infatti l'ermetismo, stabilendo all'art. 2059 c.c. semplicemente che il danno non patrimoniale è risarcibile “nei casi previsti dalla legge”. L'applicazione di tale criptica norma ha avuto un andamento sinusoidale. Dapprima è stata privilegiata un'interpretazione letterale e restrittiva volta ad ammettere il ristoro del danno non patrimoniale soltanto nelle circoscritte ipotesi di espressa previsione legislativa[13] (ad es. art. 185 c.p.). Successivamente se n'è ampliato in modo ipertrofico l'ambito oggettivo arrivando a configurare la risarcibilità – con la costruzione della figura del cd. danno esistenziale – di qualsiasi elemento del proprio vissuto anche non biologico purchè meritevole di tutela. Nell'attuale momento storico gli approdi giurisprudenziali plurigemellari del 2003 e del 2008 hanno cercato di riordinare la materia perseguendo una ragionata sintesi fra le opposte visioni[14]. Ad avviso delle Sezioni Unite, infatti, l'art. 2059 c.c. non prevederebbe un'autonoma fattispecie d'illecito – distinta da quella di cui all'art. 2043 c.c. - ma si limiterebbe a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali di ogni tipo. Ciò sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito previsti dall'art. 2043 c.c., ossia la condotta illecita, l'ingiusta lesione d'interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso di causalità fra i predetti elementi, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare della posizione giuridica soggettiva lesa. Tuttavia mentre il danno patrimoniale è risarcibile in tutti i casi di compresenza degli elementi dell'illecito quello non patrimoniale lo sarebbe invece nei soli casi previsti dalla legge. Ovvero, in conformità ad un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c.: a) Quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato. In tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorchè privo di rilevanza costituzionale. b) Quando ricorra una fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di un'ipotesi di reato (ad es. riparazione per l'ingiusta detenzione, eccessiva durata dei processi). In quest'ipotesi il danneggiato avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento. c) Quando – al di fuori delle due ipotesi precedenti – il fatto illecito abbia leso in modo grave diritti inviolabili della persona oggetto di tutela costituzionale. In questo caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che – al contrario delle prime due ipotesi – non sono individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. In quest'ultima ipotesi il danno non patrimoniale sarà risarcibile ove ricorrano contestualmente le seguenti condizioni: 1) Che l'interesse leso – e non già il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale. 2) Che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità in ossequio al dovere di solidarietà sancito dall'art. 2 Cost. 3) Che il danno non sia futile ma abbia una consistenza tale da poter essere considerato giuridicamente rilevante. Alla luce di tali postulati elaborati dalla Cassazione a Sezioni Unite ben si coglie l'evoluzione in materia di ristoro del pregiudizio non patrimoniale derivante da riscossione illegittima. Siffatto ristoro è stato infatti dapprima negato, da alcune pronunce di merito[15] che hanno sottolineato come il comportamento illegittimo posto in essere dall'agente della riscossione difetterebbe del requisito dell'intenzionalità. Pertanto non sarebbe configurabile il reato di abuso d'ufficio previsto dall'art. 323 c.p. e il conseguente risarcimento dei danni morali ex art. 185 c.p. Poi affermato anche attraverso percorsi argomentativi particolarmente tortuosi. È il caso di una decisione di merito[16] che – a fronte di un'iscrizione ipotecaria illegittima perchè relativa a crediti inferiori ad ottomila euro – ha condannato l'agente della riscossione al pagamento in favore di controparte di una somma equitativamente determinata in virtù del disposto dell'art. 96, terzo comma, c.p.c. Detta pronuncia risulta condivisibile nei fini, meno nei mezzi. Questo perchè la condanna ex art. 96, comma terzo, c.p.c. è un istituto volto a sanzionare una condotta abusiva o inadeguata tenuta dalla parte in sede processuale, non già anteriore all'instaurazione del contenzioso[17]. Nel menzionato scenario, tuttavia, una recente sentenza della Cassazione parrebbe aver tracciato linee rette cancellando i precedenti chiaroscuri. Secondo la Suprema Corte, infatti, il comportamento dell'agente che prosegua le procedure di riscossione ancorchè edotto della sussistenza di una pronuncia giudiziale che abbia accertato l'infondatezza della propria pretesa integrerebbe il reato di omissione di atti d'ufficio previsto dall'art. 328 c.p. Siffatta fattispecie delittuosa punisce il pubblico ufficiale – o l'incaricato di pubblico servizio – che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo[18]. Secondo la giurisprudenza penale detto reato sarebbe plurioffensivo[19] perchè lederebbe sia l'interesse pubblico al buon andamento della p.a. sia quello del privato danneggiato dall'omissione o dal ritardo dell'atto dovuto. Si sostanzierebbe inoltre in un delitto di mero pericolo[20] caratterizzato dalla presenza di due distinte condotte omissive: la mancata adozione dell'atto entro trenta giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo[21]. Nella fattispecie inoltre l'elemento soggettivo richiesto sarebbe il dolo generico, consistente nella consapevolezza di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta all'intimazione del privato, senza che rilevi il fine specifico di violare i doveri imposti dal proprio ufficio[22]. Pertanto sarebbe da rifiutare l'impostazione – fatta propria dalla sopra citata giurisprudenza di merito – secondo cui la condotta dell'agente della riscossione in ipotesi di procedura illegittima perchè difforme da un precedente provvedimento dell'autorità giudiziaria non integrerebbe il reato previsto dall'art. 328 c.p. in quanto non intenzionale. Ove invece l'amministrazione procedente risponda nel termine di trenta giorni ma comunque ometta di adottare un atto dovuto alla luce di una precedente sentenza potrebbe configurarsi la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p. volta a sanzionare chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia. Di conseguenza il risarcimento del danno non patrimoniale subito dal cittadino destinatario dell'attività di riscossione illegittima sarebbe espressamente previsto dalla legge ai sensi del combinato disposto dell'art. 2059 c.c. e dell'art. 185 c.p. Né in tal caso sarà necessaria un'indagine sull'esistenza di un diritto leso di rilievo costituzionale poiché – come in precedenza evidenziato – tale delibazione può venire in rilievo solo una volta esclusa la configurabilità di un reato. Ed infatti allorchè il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento. Ciò anche se questo sia privo di rilevanza costituzionale, costituendo la tutela penale sicuro indice di rilevanza dell'interesse leso. A fronte di un istanza risarcitoria per i danni non patrimoniali derivanti da riscossione illegittima ben potrebbe dunque il giudice civile accertare in via incidentale la sussistenza di un reato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, ivi comprese eventuali cause di giustificazione e l'eccesso colposo ad esse relativo. Come precisato da costante giurisprudenza, infatti, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. l'inesistenza di una pronuncia del giudice penale – nei termini in cui ha efficacia di giudicato nel processo civile ai sensi degli artt. 651 e 652 c.p.p. – l'estinzione del reato regolata dall'art. 198 c.p., l'improponibilità o improcedibilità dell'azione penale, non costituiscono impedimento all'accertamento da parte del giudice civile della sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
5. Considerazioni conclusive.
Alla luce di quanto prospettato emerge come la mutata sensibilità della giurisprudenza muove oggi verso il riconoscimento di un completo ristoro nei confronti dei danni – patrimoniali e non – cagionati ai privati dall'illegittima attività di riscossione posta in essere dalla p.a. Siffatta evoluzione non può che essere valutata positivamente e parrebbe porsi in rapporto di consecuzione logica con il percorso compiuto in materia di responsabilità custodiale della p.a. da manutenzione delle strade. In entrambi i casi è opportuno ricordare come il mutamento di prospettiva non sia stato in nessun modo indirizzato da alcuna variabile esogena (novella legislativa, provvedimento della Corte Costituzionale) ma appare piuttosto come il frutto di una più matura riflessione inerente la dialettica fra p.a. e privati. Ciò in un'ottica di progressivo abbandono di quell'ingiustificata area di privilegio – chiaro retaggio di un'arcaica concezione metafisica dell'autorità – che si tendeva a riconoscere alla p.a. non soltanto in relazione ai propri atti ma anche rispetto ai suoi comportamenti. Occorre però rilevare come la positiva evoluzione intrapresa non è del tutto priva di criticità e presenta ancora alcuni nodi irrisolti sul piano squisitamente tecnico-giuridico quale il menzionato dilemma inerente la competenza. È a tal fine opportuno che il ceto forense – privilegiato e primario interlocutore della patologia del rapporto fra cittadino e p.a. – si faccia portavoce di queste istanze, in una prospettiva di rimodulazione di una funzione fondamentale per la vita dello Stato come l'attività di riscossione sempre meno come un potere, sempre di più come un servizio.
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[1] Il presente contributo riproduce la relazione tenuta dall’Autore al Convegno La legittimità del procedimento di riscossione coattiva organizzato dal Centro Studi del Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Roma in data 16 novembre 2012. [2]La letteratura giuridica in argomento è fluviale. Fra i contributi più recenti Cfr. Laghezza, Di custodia, caso fortuito e responsabilità oggettiva, in Danno e Resp., 2012, 3, 282 ss.; Morlini, La responsabilità custodiale della pubblica amministrazione per sinistri stradali, in Giur. Mer., 2011, 5, 1282 ss.; Vanacore, La responsabilità civile per danni subiti dall’utente dell’autostrada, in Resp. Civ., 2011, 6,463 ss.; Laghezza, Strade e responsabilità della P.A.: la lenta evoluzione della giurisprudenza, in Danno e Resp., 2011, 1, 54 ss.; Carrato, Alla ricerca di una possibile soluzione equilibrata sulla responsabilità da custodia della p.a. in tema di manutenzione stradale, in Corr. Giur., 2010, 11, 1499 ss.; Buffone, Il danno da mancata manutenzione del demanio stradale, in Resp. Civ. Prev., 2009, 6, 1302 ss. [3]In argomento Graziano, Quando spetta al giudice tributario decidere sul risarcimento dei danni per la riscossione illegittima?, in Corr. Trib., 2011, 33, 2571 ss. [4] Si vd. Amendolagine, L’opponibilità del preavviso di fermo amministrativo di beni mobili registrati, in Giur. Mer., 2012, 2, 294 ss.; Giorgetti, L’impugnazione del preavviso di fermo amministrativo: limiti e presupposti, in Riv. Dott. Comm., 2010, 1, 210 ss.; Cannizzaro, Note in tema di efficacia del provvedimento di fermo e impugnabilità del cd. preavviso, in Riv. Giur. Sarda, 2009, 3, 815 ss.; Ingreo, La non impugnabilità del preavviso di fermo riduce le garanzie del contribuente in sede di riscossione coattiva, in Riv. Giur. Trib., 2009, 9, 780 ss. [5]Così, ex pluribus, Cass. Sez. Un. 7 maggio 2010 n. 11087; Cass. Sez. Un. 11 maggio 2009 n, 10672, in Foro It., 2009, I, 2060; Contra Cass. 23 luglio 2008 n. 20301. [6]Cass. 19 gennaio 2010 n. 698, in Vita Notar., 2010, 1, 321. [7]Cass. 23 luglio 2004 n. 13801, in Mass. Giur. It., 2004. [8]Cfr., ex multis, Cass. 27 gennaio 2003 n. 1191, in Mass. Giust. Civ., 2003, 187; Cass. 27 marzo 2009 n. 7531, in Mass. Giust. Civ., 2009, 3, 539, per cui «La p.a. è responsabile per i danni subiti dai risparmiatori che siano causalmente riconducibili alla violazione dei doveri di diligenza e correttezza nella vigilanza e nel controllo sulle società fiduciarie, trattandosi di doveri posti da norme di legge (art. 2 l. n. 1966 del 1939 e 3 del r.d. n. 531 del 1940) da interpretarsi alla luce dei valori costituzionali a tutela del risparmio e dei principi di imparzialità e buona amministrazione (art. 41, commi 2 e 3, 47, comma 1, e 97, comma 1, cost.) e costituenti limiti esterni alla sua attività discrezionale, che integrano la norma primaria del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c.: essa è pertanto tenuta a subire le conseguenze risarcitorie della propria condotta, la quale assume i connotati dell'illecito e provoca la lesione di diritti patrimoniali quando sia stata tardiva e comunque carente nell'adozione dei provvedimenti e delle iniziative anche di informazione che avrebbero potuto proteggere i risparmiatori dal pericolo della perdita delle somme investite. (Nella specie, la S.C. ha confermato la valutazione, effettuata dal giudice di merito, di "macroscopica colpa omissiva" nel comportamento del Ministero dell'industria per avere tardivamente adottato e pubblicato il provvedimento di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività fiduciaria e per avere omesso di informare i risparmiatori sui rischi connessi alla situazione patrimoniale e gestionale della società)»; Cass. S.U. 13 dicembre 2007 n. 26108, in Foro Amm. Cds, 2008, 1, I, 72, secondo cui «L'inosservanza da parte della p.a., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al g.o. non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della p.a. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un facere, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere. Né è di ostacolo il disposto dell'art. 34 del d.lg. n. 80 del 1998, come sostituito dall'art. 7 l. n. 205 del 2000, là dove devolve al g.a. le controversie in materia di urbanistica ed edilizia giacché, a seguito dell'intervento parzialmente caducatorio recato dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte Cost., nell'attuale assetto ordinamentale, la giurisdizione esclusiva nella predetta materia non è estensibile alle controversie nelle quali la p.a. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento degli interessi pubblici alla cui tutela sia preposta. (Nelle specie, le S.U., in sede di regolamento preventivo, hanno dichiarato la giurisdizione del g.o. in controversia nella quale taluni proprietari di un fondo, a seguito di ripetute e pregiudizievoli esondazioni sul proprio terreno di acque derivanti da una conduttura collegata al depuratore comunale, avevano convenuto in giudizio il Comune per sentirlo condannare, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali subiti, anche all'esecuzione delle opere necessarie ad impedire la periodica fuoriuscita delle acque)». [9]Cass. 3 marzo 2011 n. 5120, in Giust. Civ., 2011, 6, 1461. In argomento Puri, Unitarietà dell’atto di riscossione e pluralità della giurisdizione in tema di riscossione, in Riv. Giur. Trib., 2011, 12, 1018 ss. [10]Cass. Sez. Un. 25 ottobre 2011 n. 20931, in Giust. Civ., 2012, 2, 347. [11]Cass. Sez. Un. 19 marzo 2009 n. 6593; Cass. Sez. Un. 16 aprile 2007 n. 8954, che hanno riconosciuto al giudice di pace la competenza a conoscere le opposizioni avverso i provvedimenti di fermo, se la controversia rientra nei limiti della sua competenza per valore. [12]In tal senso Ziino, L'impugnazione del preavviso di fermo: superati i dubbi sulla giurisdizione, le Sezioni Unite introducono nuove (ingiustificate) questioni di competenza, in Giust. Civ., 2012, 2, 350 ss. [13]Sul punto Di majo, Profili della responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2010, 38; Alpa, Manuale di diritto privato, Padova, 2007, 975. [14]Cfr. Cass. 12 dicembre 2003 n. 19057, in Danno e resp., 2004, 762; Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972, in Giust. civ., 2009, 4-5, I, 913. In argomento, ex multis, Virgadamo, Danno non patrimoniale e nuova ingiustizia conformata: le quattro stagioni dell’art. 2059 c.c. in attesa della Corte Costituzionale?, in Dir. Fam. Pers., 2010, 2, 598 ss.; Costanza, Le Sezioni Unite ed il danno esistenziale: meno tutela della persona o un nuovo danno patrimoniale, in Iustitia, 2009, 2, 1, 95 ss.; Procida Mirabelli Di Lauro, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni Unite. Un de profundis per il danno esistenziale, in Danno Resp., 2009,1, 32 ss.; Facci, Il danno non patrimoniale in attesa delle Sezioni Unite, in Resp. Civ. Prev., 2008, 7-8,1559 ss. [15]Per tutti App. Roma 5 luglio 2010 n. 2861. [16]Trib. Roma 9 dicembre 2010, in Corr. Trib., 2011, 8, 621, con nota di Nardelli. [17] Cfr., sul punto, F.D. Busnelli-D’Alessandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o condanna punitiva?, in Danno e Resp,, 2012, 6, 585 ss.; Petri, La responsabilità processuale aggravata: la condanna d’ufficio ex art. 96 c.p.c., in Corr. Mer., 2012, 4, 363 ss.; Barreca, La responsabilità processuale aggravata: presupposti della nuova disciplina e criteri di determinazione della somma oggetto di condanna, in Giur. Mer., 2011, 11, 2705 ss.; Lupano, La nuova responsabilità aggravata, in Giur. It., 2011, 1, 234 ss. [18] In argomento Giuli, Note in tema di rifiuto di atti d’ufficio, in Riv. Pen., 2012, 4, 349 ss.; Pallotta, La necessaria rilevanza della disciplina extrapenale nell’omissione di atti d’ufficio: per una lettura costituzionalmente orientata del delitto, in Cass. Pen., 2010, 12, 426 ss.; De Flammineis, La tutela penale contro il silenzio amministrativo: modi e tempi di un’interconnessione disciplinare, in Giust. Pen., 2009, 11, 2, 656 ss.; Martinelli, L’elemento psicologico del reato nell’omissione di atti d’ufficio, in Giur. It., 2008, 3, 720 ss. [19]In tal senso Cass. Pen. 29 marzo 2011 n. 17345. [20]Così Cass. Pen. 29 gennaio 2009 n. 13519. [21]Lo rileva Cass. Pen. 13 marzo 2003 n. 11877. [22]Cass. Pen. 11 febbraio 2010 n. 8996; Cass. Pen. 5 giugno 2007 n. 31669.