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La carenza di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto
Valerio Tallini
La carenza di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto
SOMMARIO: 1. Sull’obbligo di motivazione ex art. 3, l. n. 241/1990. – 2. Segue: il caso dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto. Ipotesi di carenza di motivazione
di VALERIO TALLINI (1)
1. Sull’obbligo di motivazione ex art. 3, l. n. 241/1990
Accade sempre più spesso che le ordinanze-ingiunzioni del Prefetto (quantomeno di quello di Roma) siano completamente prive dei motivi prospettati – negli scritti difensivi – dal ricorrente. A ciò va aggiunto che i medesimi provvedimenti prefettizi vengono adottati (sempre a Roma) attraverso l’utilizzo di moduli prestampati ed uniformi e senza alcun riferimento al caso esaminato.
Orbene, questo modus operandi dell’amministrazione è (a mio avviso) illegittimo, giacchè non rispetta le prescrizioni della legge sul procedimento amministrativo e, segnatamente, l’obbligo di motivazione: viceversa, qualsiasi provvedimento amministrativo – ai sensi dell’art. 3, l. n. 241/1990 (2) e, nel caso, di ordinanza-ingiunzione (anche) ex art. 17, l. n. 689/1981 – deve essere sempre motivato, pena la sua nullità (3). Fanno eccezione gli atti normativi e gli atti a contenuto generale (4) (art. 3, comma 2, l. n. 241, cit.).
La ragion d’essere della motivazione risiederebbe, secondo un’autorevole ricostruzione, nel carattere di discorso argomentativo rivolto non soltanto al privato destinatario dell’atto e agli organi cui compete il controllo amministrativo e il sindacato amministrativo e giurisdizionale su di esso, ma anche all’opinione pubblica. Ciò allo scopo di garantire il sindacato diffuso della comunità in ordine alla non arbitrarietà della soluzione adottata dalla P.A. (5).
Quanto al contenuto, la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell’istruttoria (6). Fermo restando che il dovere di motivare è soddisfatto anche se il provvedimento richiama altro atto che contenga esplicita motivazione e questo sia reso disponibile (c.d. motivazione per relationem (7)).
In ogni caso, la motivazione deve comunque essere formata contestualmente all’adozione della decisione, altrimenti sarebbe elusa – come autorevolmente ritenuto – l’esigenza che l’azione amministrativa sia trasparente durante il suo farsi (8).
Alla luce di quanto asserito è evidente che la l. n. 241, cit. ha risolto il problema del “se” motivare: sicchè la mancanza di motivazione (detta anche carenza di motivazione) configura l’ipotesi di violazione di legge.
In ogni caso, l’istituto in esame non va confuso col difetto di motivazione – una delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere – che invece ricorre non in assenza di motivazione, ma quando la motivazione medesima sia insufficiente (perché non considera alcune circostanze), incongrua (in quanto da peso indebito ad alcuni profili), contraddittoria, apodittica, dubbiosa (è tale quella che richiama fatti che si assumono non certi), illogica e perplessa (9). Ergo: in ordine al “come” motivare, la motivazione medesima, oltre che esistente, deve risultare sufficiente per sottrarsi alle censure di eccesso di potere, chiarendo i fatti che giustificano la decisione amministrativa adottata (10).
In particolare, la P.A. dovrà puntualmente motivare se disattende le rappresentazioni dei privati interessati ex art. 10, l. n. 241, cit. e deve dar conto delle risultanze istruttorie. Ecco spiegata l’esclusione del dovere di motivare per gli atti normativi e per quelli amministrativi generali (11) (che – come noto – non son preceduti da istruttoria, ex art. 13, l. n. 241, cit.).
2. Segue: il caso dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto. Ipotesi di carenza di motivazione
Orbene – venendo proprio all’ordinanza-ingiunzione del Prefetto – la giurisprudenza di legittimità, in non poche decisioni, ha ribadito che l’ordinanza medesima “deve essere a pena di illegittimità, motivata, sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione alla infondatezza dei motivi allegati con il ricorso (12)”.
Sulla scorta di tale (sacrosanto) principio, il Giudice di pace di Roma, in due recenti decisioni, ha affermato, con molta nettezza, che “l’autorità amministrativa ha l’obbligo di motivare adeguatamente, e non solo per relationem, sui punti controversi (13)”; e, inoltre, “l’indicazione generica di norme e giurisprudenza della Suprema Corte – prassi costante seguita dal Prefetto di Roma – non può mai costituire la motivazione imposta dall’art. 17, l. 689/81, oltre che dell’obbligo di motivazione nascente dalla norma generale per la P.A. (art. 3, l. 241/90). Per quanto generico nel richiamo alle norme, la motivazione deve far comunque riferimento al caso specifico, che non può ritenersi implicito (14)”. In altri termini (e come ritenuto anche dal Giudice di pace di Civitavecchia), l’ordinanza-ingiunzione, laddove “faccia riferimento alle sole controdeduzioni fornite dagli agenti accertatori”, senza – nel contempo – prendere per nulla in considerazione gli scritti difensivi del presunto trasgressore, è illegittima (15).
A maggior ragione essa è illegittima quando il ricorrente non si limiti ad una contestazione generica del verbale di accertamento, ma fornisca all’amministrazione, ad esempio con l’audizione personale, nuovi elementi di valutazione o, comunque, prospetti questioni particolari. In tal caso, il mancato esame da parte dell’autorità prefettizia di tali deduzioni, comporterebbe, non solo l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione per carenza di motivazione (16), ma anche – secondo il Giudice di pace di Roma – “la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, sanciti costituzionalmente (17)”.
A ciò va aggiunto che, secondo le Sezioni unite della Suprema Corte di cassazione, l’obbligo di motivazione “deve riguardare, a pena di nullità, anche i tempi impiegati nelle singole fasi del procedimento (18)”. Ciò al fine di verificare che l’ordinanza-ingiunzione sia stata emessa nel rispetto dei termini perentori indicati agli articoli 203 e 204 C.d.S. (19).
Sulla scorta di tale ulteriore profilo, sempre il Giudice di pace di Roma – nell’accogliere un ulteriore ricorso – ha avuto modo di ribadire, con una certa chiarezza, che “vi è un ulteriore onere dell’amministrazione, la cui omissione determina la nullità del provvedimento amministrativo”. Tale onere – sempre a dire della medesima autorità giudicante – “è costituito proprio dalla necessaria indicazione nell’atto dell’avvenuto rispetto dei termini imposti dalla legge all’amministrazione per lo svolgimento delle diverse fasi del procedimento sanzionatorio”. Detto adempimento – continua il Giudice di pace – “è indispensabile al fine di permettere a chi riceve l’ingiunzione di controllare il rispetto della legge da parte dell’amministrazione nello svolgimento della procedura amministrativa che ha portato all’applicazione di una sanzione nei suoi confronti”. Sicchè, “la mancata indicazione nell’ordinanza-ingiunzione dell’avvenuto adempimento nei tempi previsti delle singole fasi del procedimento determina la nullità assoluta dello stesso…nel caso di specie il prefetto non ha indicato quando sono stati trasmessi gli atti tra gli uffici (20)”.
In altri termini, affinchè l’obbligo di motivazione sia adempiuto, l’autorità prefettizia (almeno quella di Roma) dovrebbe non solo cominciare a fare sempre riferimento alle ragioni prospettate dal ricorrente (mediante scritti, documenti e audizione personale) e, dunque, non utilizzare moduli prestampati (21), ma anche indicare i tempi impiegati nelle singoli fasi del procedimento irrogativo dell’ordinanza-ingiunzione, pena – come visto – la nullità della stessa.
(1) Avvocato del foro di Roma e dottorando di ricerca in diritto pubblico nell’Università LUISS Guido Carli di Roma.
(2) Come correttamente rilevato, prima della l. n. 241, cit. “nel nostro ordinamento non era stabilito un dovere generale di motivazione degli atti amministrativi, e alla dottrina e alla giurisprudenza spettava il compito di individuare quali atti dovessero essere motivati (in sintesi si trattava degli atti discrezionali e di quelli che ledessero la situazione del privato) e quali non la richiedessero, nonché, nei confronti dei primi, l’ampiezza del contenuto della motivazione stessa”, così E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, V° ed., Giuffrè, Milano, 2003, p. 488.
(3) Su cui si v. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, p. 489, cit. secondo cui “se l’obbligo di motivazione stabilito dall’art. 3, l. 241/1990 riguarda i soli provvedimenti, ciò non significa ovviamente che gli atti amministrativi non provvedimentali non debbano essere motivati. Riguardo ad essi nulla è innovato: e dunque continuano a dovere essere motivati gli atti riguardo ai quali dottrina e giurisprudenza avevano più o meno concordemente sostenuto la necessità di motivazione. Ma son pur oggi ammissibili atti non provvedimentali non motivati anche se la ratio ella motivazione…e il principio di trasparenza dell’attività amministrativa tendono a restringere ulteriormente l’ambito degli atti sottratti all’obbligo di motivazione. Così, ad esempio, secondo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (diverso l’orientamento di alcuni T.A.R.), non andrebbe motivata la attribuzione del punteggio nei pubblici concorsi, trattandosi di attività non provvedimentale, ma di giudizio…La differenza fra atti provvedi mentali e atti non provvedi mentali per quanto attiene all’obbligo di motivazione risulta peraltro coerente con la distinzione fra le due categorie di atti in ordine agli effetti giuridici: solo dagli atti provvedi mentali scaturiscono effetti rilevanti sul piano dell’ordinamento generale, consistenti nella modificazione, costruzione o estinzione di situazioni giudiriche soggettive. La motivazione, in queste ipotesi, soddisfa l’esigenza che siano esplicitate le ragioni per cui tale vicenda intersoggettiva è prodotta e deve giustificare le modalità e i mezzi concreti scelti dall’amministrazione per perseguire l’interesse pubblico affidato alle sue cure. La prospettiva è, dunque, ancora quella della incisione diretta di situazioni giuridiche rilevanti sul piano dell’ordinamento generale. L’eventuale motivazione di atti non provvedi mentali ha un diverso significato giuridico: essa esplicita all’esterno la congruità di scelte, valutazioni o determinazioni che non coinvolgono direttamente situazioni giuridiche, avendo un esclusivo rilievo endoprocedimentale”.
Sull’attribuzione del punteggio nei pubblici concorsi si v. anche la recente decisione della Corte costituzionale n. 20/2009 (la si v. in www.cortecostituzionale.it). Il giudice a quo aveva sollevato la questione asserendo che la normativa doveva ritenersi incostituzionale laddove non prevedeva l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di valutazione delle prove scritte d’esame per l’abilitazione alla professione forense. Viceversa, la Corte ha dichiarato la questione non fondata, asserendo che “gli artt. 24, 111 e 113 Cost. operano su un piano esclusivamente processuale, mentre la denunciata illegittimità della norma opera su un piano sostanziale”.
(4) Su cui si v. Corte cost., n. 379/2004 (la si v. in www.cortecostituzionale.it), in cui si è affermato che lo Statuto regionale può tuttavia sancire l’obbligo di motivazione per questi atti (punto n. 5 del Considerato in diritto). L’obbligo di motivazione invece costituisce una caratteristica specifica del diritto comunitario: ed, infatti, gli atti comunitari vincolanti devono essere sempre motivati, pena l’annullamento per violazione delle forme sostanziali (art. 230, secondo comma, trattato CE). La conseguenza è che si tratta di motivi di ordine pubblico che il giudice può e deve sollevare anche d’ufficio (così Comm. c. Sytraval, causa C-367/95 P, sentenza 2 aprile 1998, Racc. p. I-1719, punto 67). In argomento si v. le esaustive considerazioni di G. TESAURO, Diritto comunitario, II° ed., Cedam, Padova, 2001, p. 123 ss.
(5) Così A. ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Giuffrè, Milano, 1987. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale si è affermato che “un atto motivato, a prescindere dalla sua natura giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato, consente comunque un controllo giurisdizionale e garantisce – attraverso la esternazione delle ragioni che stanno alla base della determinazione assunta dall’organo politico – scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire la prosecuzione dell’attività gestoria in ossequio al precetto costituzionale della imparzialità dell’azione amministrativa. Precetto, questo, che è alla base della stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioè tra l’azione di governo – che è normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione, la quale, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al «servizio esclusivo della Nazione» (art. 98 Cost.), al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento” (così le decisioni nn. 161/2008, 103 e 104/2007, in www.cortecostituzionale.it, si v. rispettivamente i punti n. 3.2., 9.2., 2.9. dei Considerato in diritto).
(6) Occorre tener presente che la legge raggruppa in un’unica definizione sia ciò che parte della dottrina qualificava in precedenza come motivazione in senso stretto (indicazione dei motivi), sia la c.d. giustificazione (indicazione dei presupposti dell’agire), sicchè anche i provvedimenti vincolati debbono essere motivati. Su cui si v. amplius E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 489.
(7) Si tenga però presente che, almeno nel giudizio incidentale di costituzionalità, non possono avere ingresso questioni motivate solo per relationem, “dovendo il rimettente rendere esplicite in ciascuna ordinanza le ragioni per le quali ritenga rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata, mediante una motivazione autosufficiente, non sostituibile dal rinvio al contenuto di altre ordinanze, anche se emanate dallo stesso giudice nel medesimo giudizio” (così ex plurimis, Corte cost. n. 103/2007, in www.cortecostituzionale.it, punto n. 3.1. del Considerato in diritto).
(8) Così E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 489. Sulla motivazione in corso di giudizio si v. invece Cons. gius. amm. sic., n. 149/1993.
(9) Su cui si v. però E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 486, secondo cui “la stessa situazione può dar luogo al vizio di violazione di legge e a quello di eccesso di potere (si pensi al difetto di istruttoria, fase quest’ultima disciplinata dalla legge). Del resto, la tendenza a codificare i sintomi dell’eccesso di potere mira a consentire l’individuazione di una regola di comportamento generale, che contraddice l’essenza stessa di tale vizio, allorchè il legislatore recepisce l’indicazione giurisprudenziale ponendo una corrispondente norma scritta”.
(10) Nell’ambito del Codice della strada assai significativa (in ordine al profilo del difetto di motivazione) è una decisione – del 9 gennaio 2006 – del Giudice di pace di Caserta (Dott. Barra, in www.iussit.it), il quale ha annullato un’ordinanza-ingiunzione del Prefetto, giacchè essa, nella prima parte, prendeva in considerazione solo il ricorso dell’obbligato in solido e nella seconda parte soltanto il ricorso del trasgressore, ingiungendo tuttavia ad entrambi di pagare la somma fissata. In sostanza, l’ordinanza era errata – per difetto di motivazione appunto – giacchè il Prefetto aveva confuso i contenuti dei due distinti ricorsi presentati.
(11) Sul punto si v. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 49°, il quale rileva che “l’esclusione del dovere di motivazione degli atti a contenuto generale non impedisce peraltro che, quando in essi siano contenute clausole specifiche di peculiare applicazione, queste possano essere considerate provvedi mentali, e quindi debbano essere motivate. Ciò significa che, ai fini del requisito della motivazione, è pur sempre necessaria un’attenta interpretazione dell’atto stesso: almeno in questo atti provvedi mentali e non provvedi mentali non differiscono”.
(12) In tal senso Cass. civ., 13/01/2005, n. 519; ma si v. anche [le più recenti] Cass. civ., 16/04/2008, n. 10043; Cass. civ., 16/11/2007, n. 23747; Cass. civ., 13/04/2006, n. 8649. Tra i Giudici di pace si v. in particolare le decisioni adottate da quello di Bari, secondo cui “affinché l'obbligo di motivazione dell'ordinanza-ingiunzione possa dirsi effettivamente e compiutamente assolto, non è sufficiente che il prefetto si riporti alle risultanze degli accertamenti, delle deduzioni e delle valutazioni dell'organo accertatore per confermarne la fondatezza, ma è altresì necessario che egli prenda posizione in relazione alla infondatezza dei motivi prospettati dal trasgressore con il ricorso proposto in via amministrativa, dando conto – sia pure succintamente – delle ragioni di fatto e di diritto che ne hanno comportato il rigetto” (così Giudice di pace di Bari, VI° sez., sentt. 01/02/2006, 24/11/2005, 04/11/2005 e 21/09/2005).
(13) Così Giudice di Pace di Roma, Dott. Romano, 27/08/2008, n. 35969.
(14) In tal senso Giudice di Pace di Roma, Dott.ssa Matacchioni, 23/01/2008, n. 3542.
(15) In tal senso Giudice di pace di Civitavecchia, Dott. Barca, 12/06/2006.
(16) Così Giudice di pace di Roma, Dott.ssa Andreoni, 17/05/2005, n. 21797.
(17) In tal senso Giudice di pace di Roma, Dott. Caciotti, n. 19543/2006.
(18) Così Cass. civ., Sez. un., 27/04/2006, n. 9591.
(19) In particolare:
1) entro sessanta giorni della contestazione o dal1a notifica dell'accertamento deve essere presentato il ricorso al Prefetto (art. 203, comma l, C.d.s.);
2) se il ricorso è inviato direttamente al Prefetto questi, entro trenta giorni dal ricevimento deve trasmetterlo con i documenti all'organo che ha effettuato l'accertamento (art. 203, comma 1-bis, C.d.s.);
3) l'organo che ha effettuato l'accertamento, ricevuto il ricorso o ricevuti gli atti trasmessi dal Prefetto, deve trasmettere le proprie deduzioni e documenti al Prefetto nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento (art. 203, comma 2, C.d.s.);
4) Se il ricorrente ha fatto richiesta di audizione, il Prefetto deve invitarlo in una data precisa, per essere ascoltato. Ciò interrompe il decorso di tutti i termini perentori indicati (art. 204, comma 1-ter, C.d.s.);
5) il Prefetto, se non decide per l'archiviazione ha l'obbligo di adottare l'ordinanza ingiunzione entro e non oltre i seguenti termini perentori:
a) il termine indicato al comma 1 dell’art 204 C.d.s (più volte modificato ed allungato al fine di permettere al Prefetto di provvedere con più facilità), più 90 giorni in caso di trasmissione del ricorso direttamente al Prefetto;
b) il termine indicato al comma 1 dell'art. 204 C.d.s., più 60 giorni in caso di invio del ricorso all'indirizzo dell’organo accertatore;
6) il prefetto deve notificare l’ordinanza entro e non oltre 150 giorni dalla sua adozione.
(20) Così Giudice di Pace di Roma, Dott. Colarusso, 24/11/2007, n. 45263.
(21) Sul punto si v. Giudice di pace di Roma, Dott.ssa Ferri, 01/02/2006, n. 5632, che ha censurato il modus operandi del Prefetto, il quale “ha fittiziamente e solo apparentemente esaminato il ricorso in quanto per motivarne il rigetto ha usato un modulo prestampato e privo di riferimenti sostanziali al caso di specie”.