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La giurisdizione in ordine ai ricorsi avverso la revoca prefettizia della patente di guida per carenza dei requisiti morali
Attilio Carnabuci
La giurisdizione in ordine ai ricorsi avverso la revoca prefettizia della patente di guida per carenza dei requisiti morali
Attilio Carnabuci (Avvocato. Funzionario della Carriera Prefettizia)
Sommario: 1. La revoca della patente di guida per carenza dei requisiti morali. – 2. Strumenti di tutela attribuiti all’interessato avverso il provvedimento prefettizio di revoca della patente. La sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite 6 febbraio 2006, n. 2446 in materia di riparto della giurisdizione. – 3. Considerazioni critiche. – 4. Conclusioni.
1. La revoca della patente di guida per carenza dei requisiti morali
L'art.120 D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada) prevede la revoca della patente di guida nell'ipotesi di perdita dei requisiti morali da parte del soggetto abilitato alla guida di autoveicoli (1). In particolare, secondo il tenore letterale della norma, la patente di guida è revocata dal Prefetto:
1. ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
2. a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla L. 3 agosto, 327, e dalle L. 31 maggio 1965, n. 575, così come successivamente modificata e integrata, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi (2);
3. alle persone condannate a pena detentiva, non inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura (3).
L’art. 120 cod. str. è stato profondamente inciso da numerose sentenze della Corte Costituzionale (4).
Più precisamente:
1. la sentenza della Corte Costituzionale n. 354 del 21 ottobre 1998 ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui prevede la revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misura di sicurezza personali (5);
2. la sentenza della stessa Corte n. 427 del 18 ottobre 2000 ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui prevede la revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti alla misura di prevenzione del rimpatrio con foglio di via obbligatorio (6);
3. la sentenza n. 251 del 17 luglio 2001, ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui prevede la revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti alle misure di prevenzione previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla L. 3 agosto 1988, n. 327, nonché dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, così come successivamente modificata e integrata (7);
4. la sentenza n. 239 del 15 luglio 2003 ne ha dichiarato l'incostituzionalità nella parte in cui prevede la revoca della patente nei confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura (8)
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A seguito degli interventi di cui sopra, la revoca della patente deve essere disposta esclusivamente nei confronti dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza nonché di coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modifiche, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi. Si tratta, in buona sostanza, di un atto ad emanazione normativamente vincolata, senza che si possa riconoscere, alla competente Autorità prefettizia, alcun potere discrezionale riguardo al suo contenuto. Secondo la giurisprudenza amministrativa, il semplice riferimento agli atti del procedimento costituisce, pertanto, idonea motivazione del provvedimento interdittivo, essendo sufficiente alla ricostruzione dell'iter logico seguito per pervenire all'adozione dell'atto (9).
2. Strumenti di tutela attribuiti all’interessato avverso il provvedimento prefettizio di revoca della patente. La sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite 6 febbraio 2006, n. 2446 in materia di riparto della giurisdizione
L’atr. 120, comma 3, cod. str., dispone che, avverso i provvedimenti di revoca della patente di guida per carenza dei requisiti morali, è ammesso il ricorso al Ministro dell'Interno, il quale decide, entro sessanta giorni, di concerto con il Ministro dei Trasporti. Secondo una prassi costantemente seguita dagli uffici ed un indirizzo giurisprudenziale e dottrinale pressoché costante, avverso i provvedimenti in questione è, comunque, ammesso il ricorso giurisdizionale al Tribunale Amministrativo Regionale territorialmente competente.
La Corte di Cassazione a sezioni unite ha, tuttavia, inaugurato, con la sentenza 6 febbraio 2006, n. 2446, un orientamento del tutto diverso. Nella richiamata pronuncia giurisdizionale, il Giudice di legittimità ha sostenuto, infatti, che, “in sintonia con quanto ritenutosi per similari interventi sulla patente di guida (sospensivi o ablativi), a seconda che siano vincolati a circostanze prestabilite o passino attraverso valutazioni discrezionali degli organi amministrativi, […] la domanda rivolta a denunciare l’illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal Prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, si ricollega ad un diritto soggettivo e, di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, spetta alla cognizione del Giudice ordinario” ed, in particolare, al Giudice di Pace, cui compete di tutelare il diritto stesso, mediante la disapplicazione dell’atto ritenuto lesivo.
In conformità all’indirizzo della Corte di Cassazione appena richiamato, i Giudici di Pace che vengano ad essere investiti della cognizione del ricorso avverso i provvedimenti prefettizi di revoca emessi ai sensi dell’art. 120 cod. str., sono tenuti a ritenere sussistente la propria giurisdizione, disponendo, qualora ne ravvisino i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora), la sospensione cautelare dell’efficacia dei provvedimenti medesimi.
La conclusione alla quale è pervenuta la Corte di Cassazione a sezioni unite muove dalla tradizionale dicotomia tra attività vincolata e attività discrezionale della Pubblica Amministrazione, quale canone logico-giuridico per la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e, dunque, per il riparto di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo (10).
Con specifico riguardo alla questione che interessa in questa sede, è necessario ricordare che il provvedimento di revoca della patente adottato dall’Autorità prefettizia in conseguenza alla declaratoria di delinquenza qualificata od all’applicazione di misure di prevenzione o di sicurezza non implica alcun esercizio di discrezionalità amministrativa, in quanto il legislatore ha reputato ipso iure che il titolare del documento abilitativo alla guida, a seguito della predetta declaratoria o nel periodo in cui siano in vigore le misure sopra menzionate, è socialmente pericoloso (11).
3. Considerazioni critiche
Pur dovendosi riconosce la natura vincolata del provvedimento di revoca ex art. 120 cod. str., quelle non appaiono, tuttavia, convincenti sono le conseguenze di ordine giuridico che da tale natura la Suprema Corte fa discendere, piuttosto meccanicamente, in materia di riparto della giurisdizione, postulando l’assoluta inidoneità del provvedimento medesimo “a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida”: ad affievolire cioè ad interesse legittimo la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida. Da tale postulato, lo stesso Giudice finisce con il dedurre, alla stregua di logico ed ineluttabile corollario, la giurisdizione del Giudice ordinario in ordine ai ricorsi proposti dall’interessato avverso il provvedimento lesivo della propria posizione giuridica.
In effetti, al ragionamento – solo in apparenza coerente - della Corte di Cassazione può agevolmente obiettarsi che il paradigma tradizionale “atto dovuto - diritto soggettivo” è stato ampiamente superato sia in dottrina che in giurisprudenza (12).
In particolare, è oggi un dato abbastanza condiviso nella letteratura giuridica e nelle aule di giustizia che la circostanza che la Pubblica Amministrazione svolga un’attività di carattere vincolato non vale, di per sé, a mutare la posizione soggettiva del privato nelle ipotesi in cui la finalità perseguita dalla norma primaria è quella di tutelare in via diretta e prioritaria l’interesse pubblico (si pensi, per quel che concerne la fattispecie in esame, alle ragioni di sicurezza e di tutela della collettività sottese ai provvedimenti di revoca della patente per carenza dei requisiti morali): in siffatte ipotesi, la situazione vantata dal soggetto privato non può che essere protetta in via mediata, assumendo, pertanto, la consistenza di interesse legittimo.
Muovendo da tali considerazioni, la giurisprudenza amministrativa più recente ritiene che, mentre a fronte di un atto discrezionale della Pubblica Amministrazione si profila, normalmente, una posizione di interesse legittimo (sempre che non sussista una situazione di carenza di potere), nel caso di un atto che costituisca esercizio di un potere vincolato occorrerà verificare, di volta in volta, quali siano le finalità direttamente e prioritariamente perseguite dalla norma primaria attributiva del potere: nelle ipotesi in cui la legge imponga all’attività amministrativa un vincolo a tutela di un interesse privato, la posizione facente capo al privato è di diritto soggettivo (è, per esempio, il caso di erogazione di sovvenzioni pubbliche); viceversa, nelle ipotesi in cui il vincolo sia dettato, essenzialmente, per il soddisfacimento di un interesse pubblico, l’atto amministrativo vincolato rappresenta, comunque, esercizio del potere amministrativo conferito dalla legge per il perseguimento del predetto interesse e, quindi, deve reputarsi in ogni caso idoneo a degradare posizioni di diritto soggettivo in posizioni di interesse legittimo.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 16 aprile 1998, n. 127 (13), aveva evidenziato come sia, in effetti, “ un postulato privo di qualsiasi fondamento quello per cui, di, regola, al carattere vincolato del provvedimento corrispondono situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi e, per converso, all’area della discrezionalità amministrativa quelle definibili come interessi legittimi”. Già alla luce del richiamato indirizzo ermeneutico, pertanto, era possibile dedurre che la distinzione tra attività vincolata ed attività discrezionale non risolve in modo sicuro e, per così dire, automatico il problema del riparto della giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo, dal momento che una più appropriata soluzione a tale problematica può essere offerta, piuttosto, dalla distinzione tra carenza di potere e cattivo uso del potere.
Successive pronunce della Corte Costituzionale (in particolare, la sentenza n. 204/2004 e la sentenza n. 191/2006) hanno contribuito a chiarire che, pur in assenza di una norma di legge che indichi il criterio di riparto della giurisdizione, sussiste la giurisdizione di legittimità del Giudice Amministrativo ogni qual volta la Pubblica Amministrazione agisca nell’esercizio di un potere autoritativo mentre sussiste la giurisdizione del Giudice Ordinario allorquando la Pubblica Amministrazione si limiti ad adottare degli atti paritetici o venga in rilievo il sindacato di meri comportamenti materiali, in nessun modo connessi all’esercizio del potere.
Nello stesso senso si è espressa, più di recente, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza del 24 maggio 2007, n. 7 (14), nella quale testualmente si afferma che “la natura vincolata dell’attività demandata all’amministrazione non comporta in modo automatico la qualificazione della corrispondente posizione soggettiva del privato in termini di diritto soggettivo, con il conseguente precipitato processuale in punto di giurisdizione.
Deve infatti distinguersi, anche in seno all’attività di tipo vincolato, tra quelle ascritte all’amministrazione per la tutela in via primaria dell’interesse del privato e quelle, viceversa, che la stessa amministrazione è tenuta ad esercitare per la salvaguardia dell’interesse pubblico.
Anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, quindi, occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo la consistenza di interesse legittimo”
4. Conclusioni
Anche se, con riguardo ai provvedimenti di revoca della patente emanati dal Prefetto in presenza di misure di sicurezza o di prevenzione in corso di applicazione, viene certamente in rilievo un atto dovuto e a contenuto vincolato, deve ritenersi presente che la finalità perseguita dalla norma primaria, e cioè dall’art. 120 cod. str. è, in ogni caso, di preminente interesse pubblico, dal momento che l’istituto in questione mira ad impedire che i destinatari del provvedimento ablativo possano rendersi responsabili di attività contrarie all’ordine ed alla sicurezza pubblica.
Le ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza sottese al provvedimento di revoca del documento abilitativi alla guida di autoveicoli si ricavano, del resto, dalla stessa formulazione linguistica della norma, che fa salvi gli eventuali provvedimenti riabilitativi rimessi all’Autorità Giudiziaria (precisamente al Magistrato di Sorveglianza incaricato dell’esecuzione penale) (15).
Pertanto, in coerenza alle analisi effettuate dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato, si può legittimamente affermare che la relazione che viene ad instaurarsi tra l’Autorità amministrativa ed il privato nelle ipotesi in cui è adottato il provvedimento di revoca della patente non si atteggia tanto secondo lo schema gius-civilistico obbligo – pretesa quanto, piuttosto, secondo il paradigma pubblicistico potere - interesse; di conseguenza, al fine di procedere ad una verifica della correttezza dell’esercizio del potere interdittivo di cui abbia fatto uso il Prefetto, sarà necessario (ed anche sufficiente) per l’Autorità Giudiziaria appurare, di volta in volta, la sussistenza dei presupposti di legge (declaratoria di delinquenza qualificata, attuale applicazione della misura di sicurezza o di prevenzione), senza che possa essere effettuata alcuna valutazione in ordine a circostanze che esulano dai presupposti di cui sopra, come, per esempio, l’asserita esigenza del ricorrente di mantenere la titolarità della patente di guida per asserite ragioni di lavoro. Quello al lavoro è un diritto fondamentale del cittadino: su tale circostanza non si può non convenire; tuttavia, si tratta di un diritto (soggettivo) che solo in maniera eventuale ed indiretta si inserisce nella vicenda relativa alla revoca della patente: vicenda nella quale ad essere compressa in via immediata e diretta è l’attitudine dell’interessato a circolare alla guida di autoveicoli. In altri termini, nell’ambito del procedimento amministrativo relativo alla revoca della patente ex art. 120 cod. str., le ripercussioni sul diritto al lavoro dell’interessato possono venire in considerazione non in via immediata e diretta ma soltanto in via riflessa e mediata, nel qual caso lo stesso interessato - che sia attualmente sottoposto ad una misura di sicurezza o ad una misura di prevenzione - è legittimato a rappresentare la propria situazione al Giudice dell’esecuzione penale, il quale, valutata l’insussistenza della sua pericolosità sociale, potrà adottare eventualmente un provvedimento autorizzatorio in deroga al divieto generale contenuto nella norma in questione.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 6 febbraio 2006, n. 2446
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZONE
SEZIONE UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. OLLA Giovanni - Primo Presidente f.f. -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente di Sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Consigliere -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - rel. Consigliere -
Dott. BONOMO Massimo - Consigliere -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ufficio territoriale del Governo di Taranto, già Prefettura di Taranto, in persona del legale rappresentante, per legge difeso dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma via dei Portoghesi n. 12;
- ricorrente -
contro
C.F.;
- intimato -
per la cassaione della sentenza del Giudice di pace di Taranto n. 85
del 25 ottobre 2002-13 gennaio 2003;
sentiti:
il Cons. Dott. Graziadei, che ha svolto la relazione della causa;
l'avv. Clemente, per il ricorrente;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Palmieri Raffaele il quale ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso con affermazione della giurisdizione del Giudice amministrativo.
FATTO
Il Prefetto di Taranto, con provvedimento reso il 29 aprile 2002 ai sensi dell'art. 120 C.d.S., comma 1, di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (come modificato dal D.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, art. 5), ha revocato la patente di guida di C.F., in quanto sottoposto dal Tribunale di Taranto con decreto del 25 gennaio 2002 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro.
Il C. ha proposto opposizione, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, davanti al Giudice di pace di Taranto:
Il Giudice di pace, con sentenza depositata il 13 gennaio 2003, ha affermato la propria giurisdizione, sul rilievo che il provvedimento prefettizio incideva sul diritto del C. al lavoro, ed ha accolto l'opposizione, annullando tale provvedimento, in quante illegittimamente lesivo di detto diritto, con la considerazione che il C. svolgeva attività di autista e che non sussistevano ragioni per prospettare l'evenienza di ulteriori suoi comportamenti delinquenziali a cagione del possesso della patente.
L'Ufficio Territoriale del Governo di Taranto, con atto notificato il 23 dicembre 2003, ha chiesto la cassazione dell'indicata sentenza.
Il C. non ha presentato controdeduzioni.
DIRITTO
Il ricorrente, in via pregiudiziale, sostiene il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in ragione della natura della posizione dedotta nel rapporto con la pubblica amministrazione; poi contesta nel merito la decisione del Giudice di pace, sotto il profilo della violazione degli artt. 120 e 130 C.d.S., addebitandogli di non aver ritenuto prevalente, rispetto alle esigenze lavorative del C., la necessità di controllare i suoi spostamenti, trattandosi di persona che aveva commesso numerosi e gravi reati.
Per la definizione del primo quesito, il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni unite.
La tesi dell'Ufficio sulla giurisdizione è infondata.
Il citato art. 120 C.d.S., comma 1, nel testo risultante a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 21 ottobre 1998 n. 354, 18 ottobre 2000 n. 427 e 17 luglio 2001 n. 251, contempla la revoca della patente di guida, quando il titolare sia sottoposto a determinate misure di prevenzione in corso di applicazione, sulla scorta di una diretta valutazione di pericolosità del protrarsi del godimento della relativa abilitazione nel periodo di vigenza di dette misure, mentre non richiede alcun apprezzamento da parte dell'autorità amministrativa circa il verificarsi di detta pericolosità nel singolo caso (apprezzamento che era invece previsto dallo stessoart. 120 C.d.S., con disposizione che è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 15 luglio 2003 n. 239, per la revoca della patente nei confronti del condannato a pena detentiva non inferiore a tre anni).
Detto provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di misure di prevenzione non esprime quindi esercizio di discrezionalità amministrativa, cioè di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma è un atto dovuto, nel concorso delle condizioni all'uopo stabilite dalla norma (caratteristica ritenuta anche nella citata pronuncia della Corte costituzionale n. 427 del 2000, e del resto non contestata dal ricorrente).
Pertanto, in sintonia con quanto ritenutosi per similari interventi sulla patente di guida (sospensivi od ablativi) a seconda che siano vincolati a circostanze prestabilite o passino attraverso valutazioni discrezionali degli organi amministrativi (cfr., per le rispettive ipotesi, Cass. s.u. 27 aprile 2005 n. 8693, nonchè Cass. s.u. 29 aprile 2003 n. 6630 e 20 maggio 2003 n. 7898), si deve affermare che la domanda rivolta a denunciare l'illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, si ricollega ad un diritto soggettivo, e di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, spetta alla cognizione del Giudice ordinario (al quale compete, nell'eventualità del fondamento della denuncia, di tutelare il diritto stesso disapplicando l'atto lesivo).
Il principio comporta la reiezione del ricorso sulla questione pregiudiziale, con l'affermazione della giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Gli atti, ai sensi dell'art. 142 disp. att. cod. proc. civ., devono essere rimessi al Primo presidente, al fine della designazione di una sezione semplice per la statuizione sulle altre questioni e le pronunce connesse alla definizione del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario, e trasmette gli atti al Primo presidente per l'assegnazione a sezione semplice.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, il 19 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2006.
(1) Cfr. CARNABUCI, La revoca della patente di guida per carenza dei requisiti morali, in Rivista della Circolazione e dei Trasporti, Roma, 2/2001. Si vedano, inoltre, sull’argomento, Circ. Min. Interno 3 febbraio 1995, n. 17; Circ. Min. Interno 25 agosto 1997, n. M/2413; Circ. Min. Interno 15 aprile 1997, n. M/2413; Circ. Min. Interno 10 marzo 1998, n. 20; Circ. Min. Interno 29 ottobre 1998, n. M/2413; Circ. Min. Interno 28 aprile 1999, n. M/2413/2; Circ. Min. Interno 27 settembre 1999, n. M/2413; Circ. Min. Interno 12 gennaio 2000, n. M/2413/2; Circ. Min. Interno 31 gennaio 2000, n. M/2413/2; Circ. Min. Interno 27 marzo 2000, n. M/2413/17; Nota Min. Interno 5 luglio 2000, n. M/2413/2.
(2) Cfr. CARNABUCI, Sottoposizione a misure di sicurezza e revoca prefettizia della patente di guida ai sensi dell’art. 120 cod. str. (nota a sentenza), in Rivista Giuridica della Circolazione e dei Trasporti, n. 5/2003.
(3) Cfr. CARNABUCI, La revoca della patente per intervenuta condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni (nota a sentenza), in Rivista Giuridica della Circolazione e dei Trasporti, n. 4-5/2002.
(4) Cfr. CARNABUCI, La revoca della patente nella giurisprudenza costituzionale (nota a sentenza), in Rivista Giuridica della Circolazione e dei Trasporti, n. 4-5/2003.
(5) Il testo integrale della sentenza può essere consultato sul sito web www.cortecostituzionale.it.
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) T.A.R. Puglia - Bari, sezione. II, 7 luglio 2000, n. 2839, in Foro Amm. 2001, T.A.R., pag. 1: “Il provvedimento di revoca della patente di guida necessita solo dei presupposti espressamente richiesti dalla norma - tra cui, in particolare, l'applicazione di una misura di prevenzione definitiva - sicché non può legittimamente richiedersi anche una esplicita e penetrante motivazione; l'asserito obbligo motivazionale deve ritenersi, infatti, attuato e pienamente assolto tutte le volte in cui le ragioni in base alle quali si è determinata la volontà dell'amministrazione possano desumersi da altri atti amministrativi richiamati nel provvedimento stesso. Conforme, T.A.R. Lombardia - Milano, sezione I, 14 gennaio 2002, n. 90, in Foro Amm. T.A.R., 2002, pag. 10.
(10) Più precisamente, secondo la predetta impostazione, a fronte di un atto vincolato vi è sempre una posizione di diritto soggettivo (e, conseguentemente, la giurisdizione si radica in capo al giudice ordinario), mentre a fronte di un atto discrezionale si prospetta una posizione di interesse legittimo (che attribuisce la giurisdizione al giudice amministrativo).
(11) Ex plurimis, T.A.R. Lazio, sezione prima, sentenza 26 ottobre 2006, in www.giustizia-amministrativa.it: “L’art. 120 citato del codice della strada non contempla distinzioni in ordine alle varie species di misure di sicurezza né in ordine ai relativi presupposti normativi, limitandosi a prevedere la revoca della patente di guida “nei confronti di coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza”. Come ha ancora di recente osservato la giurisprudenza amministrativa, in presenza della sottoposizione a misura di sicurezza personale o misura di prevenzione, l’esercizio del potere di revoca della patente di guida non richiede particolari apprezzamenti, essendo vincolato alla sussistenza dei presupposti previsti dalla norma (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III Sezione, 5 luglio 2006 n. 1685). In altri termini, In tale quadro normativo di riferimento, il provvedimento di revoca della patente si presenta per l’Autorità amministrativa come atto dovuto e vincolato sia nell'an che nel contenuto, mancando, nelle disposizioni appena indicate, ogni possibilità di valutazione discrezionale da parte dell'Amministrazione (cfr. in tal senso, Cons. Stato, IV Sezione, 15 febbraio 2001 n. 721, specificamente relativa a revoca dela patente di soggetto già in regime di libertà condizionale).
(12) Cfr. al riguardo CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2002, 686, ss.
(13) In www.cortecostituzionale.it.
(14) In www.giustizia-amministrativa.it.
(15) Cfr. Avvocatura Generale dello Stato, Parere 12 febbraio 1998, n. 12239/27 – 109 e Ministero dell’Interno Circolare 10 marzo 1998, prot. n. 2413, n. 20.