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La tutela giuridica del pedone nell'evoluzione normativa e giurisprudenziale

Antonella Palumbo

 

Introduzione

La disciplina concernente gli attraversamenti pedonali ha subito nel corso degli anni una evoluzione che ha seguito l’affermarsi ed il consolidarsi di esigenze connesse alla sicurezza dei pedoni, in particolar modo di coloro che presentano ridotte capacità di deambulazione. Se, infatti, all’inizio del secolo la normativa relativa alla circolazione stradale poneva al centro il veicolo, stabilendo tutta una serie di obblighi gravanti sul pedone, allo scopo di garantire la massima libertà di circolazione per le vetture, negli ultimi anni il pedone, in quanto coutente della strada, ma in condizioni senz’altro di maggiore debolezza rispetto ai veicoli, è al centro di una particolare forma di tutela.

Evoluzione normativa

 L’evoluzione normativa può essere ricostruita ponendo l’accento su quatto fasi storico: il codice del 1933, quello del 1959, quello del 1992, ed infine la recente riforma operata con la legge 120 del 2010. Il codice del 1933[1] non stabiliva alcun obbligo dei conducenti dei veicoli nei confronti dei pedoni; piuttosto, l’art. 53 dello stesso, minuziosamente disciplinava come e dove il pedone potesse circolare. In particolare alla sua circolazione erano riservati appositi spazi come marciapiedi, banchine, viali laterali alle strade; in loro mancanza era consentito camminare sul margine della strada destinato ai veicoli, in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione. In materia di attraversamento era stabilito il divieto di traversare diagonalmente le strade, le piazze ed i crocevia, ed imposto, comunque, di usare la via più breve ed in ogni caso agire con la massima diligenza. La scarsa attenzione riservata al pedone è testimoniata anche dall’espressione di cui al comma 6 del citato articolo: questo, nel rimandare ai regolamenti comunali la disciplina in caso di particolare o maggiore traffico, stabiliva che gli stessi avrebbero dovuto contenere norme per garantire la sicurezza “ anche” dei pedoni. E’ chiara ed evidente la subordinazione della tutela e della sicurezza del pedone a favore dell’interesse alla circolazione del veicolo. La situazione non muta in maniera sostanziale con il codice del 1959[2], il quale, però, pur ribadendo l’obbligo di utilizzo per il pedone del marciapiede ed in sua assenza del margine sinistro della strada (quello destro se a senso unico) per la prima volta, stabilisce norme di comportamento a carico dei conducenti nei confronti dei pedoni. In particolare l’art. 134 stabiliva che il conducente aveva l’obbligo di dare la precedenza al pedone che transitava sugli attraversamenti, rallentando ed all’occorrenza fermandosi. Al di fuori degli attraversamenti pedonali, la precedenza era accordata al veicolo che transitava, salvo il caso in cui il pedone fosse un cieco munito di bastone o altrimenti riconoscibile. Forme indirette di tutela del pedone erano contemplate in altre norme. All’art. 102, disciplinante la velocità consentita, era stabilito l’obbligo di rallentare e se del caso fermarsi quando i pedoni fossero presenti lungo il percorso del veicolo e tardassero a scansarsi. All’art. 106, in materia di sorpasso era stabilito il divieto di superare un veicolo fermo per consentire l’attraversamento del pedone, ed inoltre era vietata la sosta sugli attraversamenti. Infine, sempre con riguardo alla disciplina della sosta dei veicoli era stabilito che ove mancasse il marciapiede laterale rialzato, dovesse essere lasciato uno spazio libero sufficiente per consentire ai pedoni il transito. La disciplina come evidente, appariva frammentaria e per vero poco chiara. Negli anni successivi all’adozione del codice del 1959 e prima dell’adozione dell’attuale si è assistito ad un ampio dibattito concernente la condizione di maggiore debolezza del pedone. Importanti i pronunciamenti della giurisprudenza di quegli anni e l’adozione a livello internazionale della Convenzione di Vienna sulla circolazione stradale siglata nel novembre del 1968. Questa all’art. 21 riunisce in un solo articolo le principali obbligazioni cui il conducente è tenuto nei confronti dei pedoni: al primo comma, in generale, è stabilito il divieto di condotte di guida che possano mettere in pericolo i pedoni stessi. Sulla base di tali premesse si è avviato in Italia un processo di riforma che ha portato all’attuale normativa del codice del 1992. Questi, come è noto, disciplina in due distinti articoli ( 190 e 191) il comportamento dei pedoni sulla strada, ed il comportamento dei conducenti dei veicoli nei confronti degli stessi. La particolare sensibilità nei confronti di questa utenza, è tra l’altro, sottolineata dalle specifiche disposizioni dettate nei confronti di particolari categorie, quali disabili e bambini. In base all’art. 191 del nuovo codice della strada occorre, come in passato distinguere a seconda che il pedone transiti al di fuori delle strisce o sulle stesse. In quest’ultimo caso il conducente ha l’obbligo di rallentare e all’occorrenza fermarsi. Al di fuori degli attraversamenti la precedenza spetta al veicolo, ma si tratta di un diritto che a differenza del passato non è assoluto, in quanto recessivo rispetto a talune categorie di pedoni. Infatti, il conducente è tenuto in ogni modo a consentire l’attraversamento in sicurezza al pedone che lo abbia già iniziato. Il diritto di precedenza è azzerato completamente, quando una persona invalida, comunque riconoscibile, attraversa o si accinge ad attraversare la carreggiata. Sorge a carico del conducente un obbligo positivo di prevenire situazioni di pericolo, in presenza di bambini o di anziani quando in relazione alla situazione di fatto, è ragionevole prevedere che esse si verifichino. La particolare severità che il legislatore ha voluto usare con questo insieme di norme di comportamento dei conducenti, è testimoniata dal fatto che accanto alla previsione di sanzioni pecuniarie la fattispecie è stata fatta rientrare tra quelle che ex legge 214 del 2003[3] sono suscettibili di determinare la decurtazione del punteggio. L’ultima fase del processo di riforma delle norme afferenti il comportamento nei confronti dei pedoni si è attuata con la legge 120 del luglio del 2010. Com’è noto trattasi di norma adottata soprattutto allo scopo di ridurre in maniera significativa il numero dei morti e dei feriti sulle strade. Con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 191 il legislatore è intervenuto distinguendo nettamente il caso in cui il pedone transita sulle strisce, dal caso in cui è in procinto di attraversare. In entrambi i casi il conducente ha l’obbligo di dare la precedenza al pedone, ma nel caso in cui questo stia transitando il conducente deve fermarsi (sempre e comunque, nel senso che non è più sufficiente semplicemente rallentare). Occorre dare altresì la precedenza al pedone che sia in procinto di attraversare, in tal caso rallentando e se del caso, ove necessario fermandosi. Resta fermo l’obbligo di precedenza ai disabili; la riforma non ha innovato quanto alla disciplina, che rimane identica, stabilendo che i conducenti devono fermarsi quando un invalido attraversi la carreggiata o si accinga ad attraversarla. Inoltre, nel caso in cui manchino gli attraversamenti, i conducenti devono consentire al pedone che ha già iniziato l'attraversamento impegnando la carreggiata, di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza.

Evoluzione giurisprudenziale

Si deve soprattutto alla giurisprudenza la particolare attenzione al pedone e l’interpretazione meno rigorista delle disposizioni codicistiche connesse alla sua responsabilità piuttosto che a quella del conducente. In una prima fase storica ( nel ventennio 70-90) salvo alcune tiepide aperture ad una maggiore responsabilità del conducente, l’orientamento dominante era improntato ad un’attenta valutazione del comportamento tenuto dal pedone e dall’incidenza che lo stesso ha avuto nella verificazione del sinistro. Infatti, solo in alcune pronunce è stabilito che l’obbligo di precedenza al veicolo, in caso di attraversamento fuori delle strisce, non potesse applicarsi allorché il pedone avesse iniziato l’attraversamento con un congruo anticipo rispetto ai veicoli che sopraggiungevano (Cassazione Civile, sezione III, 9 agosto 1973, n. 2322) o nel caso che egli avesse fatto ragionevole affidamento nell’astensione da parte del conducente del veicolo da una condotta vietata da una norma specifica del Codice della Strada (Cassazione Civile, sezione III, 21 gennaio 1982, n. 401). L’indirizzo dominante, però, utilizzava molto rigore soprattutto nei casi in cui il pedone avesse occupato la carreggiata stradale adibita alla circolazione dei veicoli: era, infatti, considerata illegittima e non giustificata tale occupazione nel caso in cui non fosse stato utilizzato il marciapiedi ed esistesse a breve distanza un attraversamento pedonale (Trib. Firenze 29 gennaio 1990). L’attraversamento al di fuori delle strisce pedonali, tra l’altro in maniera repentina e di corsa, era considerato fattore interruttivo del nesso di causalità tra l’investimento e la lesione che il pedone stesso avesse riportato, escludendo la responsabilità penale del conducente, cui nulla poteva essere addebitato a titolo di negligenza e leggerezza (Pretura di Firenze 6 giugno 1989, Cassazione penale, sez. IV, 20 aprile 1989, Cassazione penale, sez. I 1990, n. 1574). In caso d’attraversamento della carreggiata ove non esistessero strisce pedonali, l’obbligo per il pedone di dare la precedenza all’automobilista sussisteva anche se questi avesse tenuto una condotta irregolare o procedesse a velocità eccessiva. In caso di investimento, pertanto, la condotta del pedone che non avesse dato la precedenza era da considerarsi concausa dell’evento (Cassazione penale, sez. IV, 22 maggio 1987). In tal senso, allo stesso, era sempre e comunque imposto di assicurarsi che l’attraversamento non fosse pericoloso, non solo al momento iniziale, ma anche in relazione all’evolversi delle condizioni del traffico (Cassazione penale, sez. I n. 470, 1991). Dagli anni 90, anche in virtù dell’evoluzione normativa in materia, con l’aumento dei veicoli in circolazione e soprattutto con l’aumento degli incidenti stradali coinvolgenti pedoni, anche nella giurisprudenza si assiste ad un’inversione di rotta nella valutazione dei criteri utilizzati per valorizzare l’eventuale concorso di colpa del pedone. In particolare la norma cardine alla quale si ha riguardo è l’art. 2054 del codice civile, che in materia di danni da circolazione stradale stabilisce una presunzione iuris tantum, in base alla quale il conducente è responsabile del danno cagionato qualora non dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Per una migliore comprensione della materia occorre effettuare alcune premesse fondamentali. Giova, in particolare, inquadrare la fattispecie di cui al 2054 c.c., nell’ambito del quadro generale della responsabilità civile, per poter stabilire quali siano gli elementi essenziali della responsabilità del conducente e quali gli elementi di prova per un’eventuale esclusione di responsabilità. L’art. 2054 c.c. stabilisce al primo comma una presunzione di colpa, in base alla quale il conducente è considerato responsabile dei danni che derivano dalla circolazione se non dimostra di aver fatto tutto il possibile per non aver impedito il fatto. La fattispecie non costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva come quella riscontrata con riferimento alla responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa o per custodia di cosa o dia animale. Tra queste fattispecie sussiste, infatti, una differenza strutturale; il veicolo è, comunque, sempre sotto il controllo del conducente e pertanto il comportamento dello stesso quale fattore causativo dell’evento è prevalente rispetto alla mera custodia della cosa o dell’animale. Occorre, però, ricordare come il concetto di colpa abbia subito nel sistema civile un’evoluzione nel senso di una sua oggettivizzazione. Il sistema di responsabilità civile pone al centro la posizione giuridica lesa dalla condotta illecita e si pone, in una prospettiva paneconomica, come strumento di sostanziale ristoro dei pregiudizi subiti. Pertanto, la stessa valutazione della colpa non va intesa soggettivamente, ma come violazione di standard oggettivi di diligenza, prudenza, perizia, o come violazione di norme e regolamenti. Il centro del dibattito giurisprudenziale, è appunto, quello di verificare quale sia il contenuto dell’onus probandi da parte del conducente. Se, infatti, la predisposizione della presunzione a suo carico è stata fissata dal legislatore per rafforzare la protezione di terzi estranei all’uso del veicolo contro i rischi derivanti dalla circolazione stradale (Cassazione civile, 19 settembre 1980, n. 5321) il contenuto della prova liberatoria è stato interpretato diversamente, come già sottolineato, nel corso degli anni. Nella fase successiva a quella analizzata sopra, al conducente è imposto di tenere un comportamento particolarmente qualificato in relazione alla posizione di “controllo sulla fonte di pericolo”dallo stesso esercitata. E’, quanto, ad esempio, ritenuto in materia di diritto del lavoro, ove il datore è considerato come garante della sicurezza dei lavoratori anche quando il fatto dannoso possa in parte essere addebitato alla violazione da parte del lavoratore stesso delle regole di sicurezza personale. In tal senso, secondo un filone giurisprudenziale, a tutt’oggi dominante, la responsabilità del conducente può essere esclusa non solo quando questi dimostri il rispetto delle norme di circolazione, ma quando la condotta del pedone presenti i tratti dell’eccezionalità ed assoluta imprevedibilità, tali da sfuggire al normale controllo del conducente. In termini specifici, la particolare posizione cui il conducente viene a trovarsi, gli impone non solo di rispettare le regole della circolazione stradale, ma anche di agire in maniera tale da evitare qualunque comportamento imprudente proveniente da parte di terzi (siano essi altri conducenti, siano essi pedoni). La giurisprudenza di legittimità più recente (Cassazione penale, 30 settembre 2009, n. 20949) ritiene che sul conducente incombe l’obbligo di rallentare e fermarsi, di adeguare la velocità al contesto dei luoghi e all’area visibile nei pressi degli attraversamenti pedonali, e soprattutto presumere che in tale spazio un pedone possa in ogni momento attraversare, anche in modo repentino. Pertanto non dovrà limitarsi a dare la precedenza, ma dovrà tenere un comportamento tale da ingegnare nel pedone la sicurezza che possa attraversare senza rischi. Dal canto suo il pedone non ha alcun dovere di valutare l’intenzione del conducente di lasciarlo passare. Pertanto, è un errore di diritto, ritenere che l’omissione da parte del pedone del controllo e dell’apprezzamento della velocità del veicolo che sopraggiunge, o dell’intenzione del conducente di rallentare o di fermarsi, possa assumere valenza ex art. 1227 comma 1 c.c. Quest’ultimo, può, al contrario sussistere, solo nel caso in cui il pedone abbia tenuto una condotta assolutamente imprevedibile e del tutto straordinaria, che non è ipotizzabile in caso di semplice attraversamento “frettoloso o a testa bassa”. Da ultimo ( Cassazione civ. III sez. 3 maggio 2011, n. 9683) questo orientamento è stato ribadito escludendo che il semplice passaggio del pedone con luce semaforica rossa, integri un fattore eccezionale ed anormale idoneo ad interrompere il nesso causale intercorrente tra la condotta del conducente del veicolo e l’evento dannoso occorso al pedone. Nella pronuncia ora citata è ribadito che la responsabilità del conducente prevista dall'art. 2054 c.c. è esclusa solo quando risulta provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Nel caso in cui il conducente impegni un incrocio regolato da semaforo con luce verde in suo favore, permane a suo carico un obbligo di diligenza nella condotta di guida che deve tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti all'incrocio (Cass., n. 8744/2000).

 

 ------------------------------------------------------------------------------------------------------- [1] Regio Decreto 8 dicembre 1933, n. 1740 – Testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione – in Gazz. uff. del 30 dicembre 1933 n. 301. [2] D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 in Gazz. Uff. n. 147 del 23 giugno 1959, Suppl. Ord. [3] E’ la legge che ha inserito il sistema della patente a punti.

 

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