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La tutela in sede giurisdizionale avverso le violazioni al C.d.S

DI Fabio Piccioni

 

Introduzione  

Negli ultimi anni è progressivamente aumentata l’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi istituzionali, sul tema degli illeciti e del sistema sanzionatorio previsto dal Codice della Strada. La ragione di questa quotazione al rialzo in un immaginario listino di borsa giuridica, è rinvenibile nel fatto che dal 1993 - anno di entrata in vigore del D.Lgs. 285/92 - ad oggi: - sono aumentati gli organi abilitati alle funzioni di prevenzione e accertamento (si pensi agli Ausiliari del Traffico, ma anche al Corpo di Polizia penitenziaria e al Corpo forestale dello Stato); - sono cambiati gli strumenti a disposizione degli organi di Polizia per l’accertamento delle violazioni (autovelox, telelaser, photored, ecc.); - è cambiata la procedura di notifica dei verbali da effettuarsi tramite il servizio postale (v. sent. 346/98 Corte Costituzionale); - è cambiato l’organo competente a conoscere le opposizioni all’Autorità Giudiziaria (prima il Pretore; poi il Giudice di Pace, per sole 7 settimane, nel 1995; poi di nuovo il Pretore; poi il Tribunale; infine, di nuovo il Giudice di Pace); - la sentenza che definisce il giudizio è divenuta appellabile; - sono cambiate le sanzioni accessorie; - sono cambiati i c.d. “reati stradali”[1]; - … - è cambiata, in due parole, quella che si è ritenuto di definire la Procedura Stradale. E’ necessario, urgente ed ormai improcrastinabile l’esigenza che la “Giustizia stradale” ritrovi credibilità innanzitutto nella coscienza sociale. Per far ciò basterebbe recuperare il vecchio brocardo secondo il quale le norme devono essere “poche, chiare e precise”.                    Tentiamo, allora, un esperimento di pura speculazione giuridica, analizzando, seppure brevemente, il sistema sanzionatorio vigente sotto il profilo del modo di concepire e di “trattare” con il trasgressore.   

  Principi generali  

La condotta cosciente e volontaria che trasgredisce alle norme poste a tutela e disciplina della circolazione stradale, costituisce un illecito amministrativo cui consegue, a riparazione dell’interesse leso, una sanzione pecuniaria (e, in via sussidiaria, una accessoria), come strumento di dissuasione e rieducazione. Le sanzioni sono comminate dall’Autorità (seguendo un procedimento amministrativo) e non producono effetti penali di sorta, non vengono annotate nel casellario giudiziale, né risultano come precedenti di polizia. In realtà la sanzione pecuniaria si caratterizza per la diversità del bene colpito - il patrimonio - rispetto a quello incidente sull’interesse pubblico specificamente rimesso alla cura e al governo della pubblica amministrazione - la tutela dell’incolumità dei cittadini e della sicurezza della circolazione. Si tratta di un procedimento a cognizione sommaria che comporta, qualora non debbano essere inflitte anche sanzioni accessorie, l’applicazione della sanzione inaudito reo e a contraddittorio eventuale differito, solo su opposizione del sanzionato. All’irrogazione provvede direttamente l’organo accertatore che, presa cognizione dell’ipotetica violazione, la qualifica, collegando il fatto alla situazione normativa, ed applica una sanzione pecuniaria nel minimo edittale previsto dalla legge. L’accertatore, in sostanza, è il primo giudice: la sua funzione è particolarmente rilevante, considerate le conseguenze che ne derivano, sottoposte ad un margine di discrezionalità limitato. Il contravventore può opporsi; naturale che reagisca se reputi immeritata la sanzione, ma il lavoro cognitivo che a ciò consegue implica dei rischi. La scelta politica mira ad evitare sistematiche opposizioni di carattere dilatorio, cosicché viene alzato l’incentivo affinché il sanzionato non scelga tali alternative: pena corrispondente al minimo, come una sorta di premio all’acquiescente.

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La disciplina della struttura dell’illecito stradale, è regolata dal Titolo VI del Codice della Strada il cui art. 194, opera una sorta di rinvio materiale - per quanto non diversamente disposto - alle disposizioni di cui alle sezioni I e II del capo I della L. 24/11/1981 n. 689, concernente il sistema punitivo amministrativo, che costituisce il corpo principale della normativa extracodicem in materia. Sul piano della regolamentazione positiva, la materia, seppur contraddistinta da regole peculiari, si fonda su principi posti a garanzia formale e sostanziale dei diritti fondamentali del contravventore, mutuati dal diritto penale.  

La Tutela in sede Giurisdizionale  

Si tratta di una fase di controllo giurisdizionale sull’opera della Pubblica Amministrazione, esperibile avverso il verbale di contestazione di un illecito per il quale è ammesso il pagamento in misura ridotta (P.M.R.), l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto e la cartella esattoriale. Diversamente, avverso il verbale di contestazione di un illecito amministrativo per il quale non è consentito il P.M.R., non è ammissibile il ricorso diretto al giudice. In tale ipotesi, infatti, il verbale di accertamento di violazione al codice della strada costituisce - al pari di tutte le altre violazioni amministrative soggette alla disciplina generale di cui all’art. 17 L. 689/81 - solo un atto interno del procedimento sanzionatorio che si conclude con l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione. In sostanza, non avendo il verbale attitudine a divenire titolo esecutivo, e conseguentemente idoneità ad incidere direttamente sulla situazione giuridica del destinatario, non è suscettibile di autonoma impugnazione giurisdizionale[2]. Il procedimento di opposizione avverso le violazioni amministrative previste dal Codice della Strada è disciplinato dall’art. 204-bis C.d.S. che opera, a sua volta, una sorta di rinvio materiale alle modalità e al procedimento disciplinati dagli artt. 22 e 23 L. 689/81, quali norme cornice del sistema sanzionatorio amministrativo, che danno luogo a un fenomeno di integrazione automatica della disciplina. Il giudizio costituisce un ibrido: ha ad oggetto un atto amministrativo, si fonda su principi di diritto penale, ma segue - per quanto non diversamente disposto - le regole del processo civile. Riprova ne sia la circostanza che l’art. 23 L. 689/81, da un lato, richiama espressamente l’art. 163-bis cod. proc. civ. e, dall’altro, per espressa previsione dell’art. 99 c. 1 lett. c) del D.Lgs. 507/99, esclude specificamente l’applicabilità dell’art. 113 c. 2 cod. proc. civ.  

 Opposizione innanzi all’Autorità Giudiziaria  

 Il nuovo art. 204-bis C.d.S., introdotto a seguito della rivoluzione stradale recata dal D.L. 151/03 convertito con modifiche nella L. 214/03, prevede espressamente la possibilità di ricorrere direttamente al giudice avverso il verbale di accertamento della violazione. Prima dell’entrata in vigore di tale norma il ricorso diretto, pur non espressamente previsto, era ritenuto ammissibile grazie alla lettura “costituzionalizzata” che la Consulta aveva dato agli artt. 202 e 203; secondo il giudice delle leggi, infatti, il mancato preventivo esperimento del ricorso al Prefetto, non preclude la tutela giudiziaria garantita dall’art. 24 Cost. (ricorso per saltum), né fa decadere la parte dalla possibilità di ricorrere a tale tutela[3]. Tale conclusione, che supera la cosiddetta “giurisdizione condizionata” aveva trovato espressa conferma anche nella giurisprudenza di legittimità[4].      

  a) Soggetti

La legittimazione attiva all’opposizione, spetta ad ogni soggetto destinatario dell’obbligo al pagamento della sanzione, sia in qualità di autore della violazione, che in qualità di solidalmente obbligato. La capacità processuale segue le regole del processo civile di cui all’art. 75 cod. proc. civ.  Potrà proporre opposizione chi ha «il libero esercizio dei diritti che si fanno valere» in causa. L’opponente può stare in giudizio personalmente, in quanto la nomina di un difensore costituisce una mera facoltà. Per gli incapaci, l’azione è esercitata dalla persona tenuta alla sorveglianza. Le persone giuridiche, stanno in giudizio e possono presentare ricorso, per mezzo dell’organo che abbia la rappresentanza esterna dell’ente (amministratore, dirigente, responsabile legale)[5]. La legittimazione passiva, spetta all’Amministrazione cui appartiene l’organo che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, cui è riconosciuta specifica autonomia funzionale pure nella fase dell’impugnazione. Nell’ipotesi di opposizione diretta avverso il verbale di contestazione, la legittimazione passiva va riconosciuta, alternativamente, anche al Ministero dell’Interno, il quale, ai sensi dell’art. 11, possiede specifiche competenze in materia di circolazione stradale, nonché il compito di coordinamento dei servizi di polizia stradale[6].  

b) Interesse

 L’opposizione può essere presentata solo da chi si ritenga ingiustamente sanzionato e abbia interesse a ricorrere (posizione soggettiva processuale) per l’annullamento dell’atto. Con un unico atto possono proporre ricorso più persone, anche avverso più provvedimenti emessi dallo stesso organo[7].  

c) Termine per ricorrere

Ai sensi del comma 1 dell’art. 204-bis, il ricorso diretto avverso il verbale deve essere presentato nel termine di 60 gg.[8] dalla data di contestazione o notificazione della violazione.   L’opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione deve essere, invece, presentata nel termine perentorio di 30 gg. (per i residenti all’estero il termine è elevato a 60 gg.) decorrente dalla data di notificazione del provvedimento. In merito, mette conto ricordare che, con la recentissima sentenza 14/1/2010 n. 3, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c. nella parte in cui - secondo il diritto vivente, quale risulta dalla consolidata giurisprudenza della Cassazione, anche a sezioni unite[9] - prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. Secondo la Corte, infatti, la ratio che giustificava l’articolo oggetto di scrutinio, non è più riproponibile a seguito delle sentenze della stessa Consulta, nn. 477/2002 e 346/1998, concernenti il sistema delle notifiche a mezzo posta[10].     Il computo del termine segue le regole ordinarie di cui all’art. 155 cod. proc. civ.: non si calcola il giorno iniziale (dies a quo), mentre si calcola il giorno finale (dies ad quem). Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. Ai sensi della L. 742/69, il decorso del termine è sospeso di diritto nel periodo feriale, decorrente dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del suddetto periodo. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine dello stesso[11]. Trascorso il termine utile, il sanzionato, qualora dimostri di essere stato nella materiale impossibilità (per caso fortuito, forza maggiore, ecc.) di prendere conoscenza del verbale o dell’ordinanza-ingiunzione pur regolarmente notificata, potrà essere rimesso in termine per esperire il ricorso.  

 d) Organo competente

È il Giudice di Pace. Tale figura di magistrato onorario è stata istituita dalla L. 21/11/1991 n. 374 che, nel modificare l’art. 7 c. 3 cod. proc. civ., ne prevedeva la competenza «per le cause di opposizione alle ingiunzioni di cui alla L. 689/81». Il giudice esercitò concretamente tale competenza solo per sette settimane: dal 2/5/1995 (data di entrata in vigore della legge) fino a quando l’art. 1 del D.L. 21/6/1995 n. 238 (reiterato e convertito con modificazioni in L. 21/12/1995 n. 534) abrogò il comma 3 del citato articolo 7. L’intervento demolitore restituì la competenza al Pretore atteso che l’art. 205, ove richiama l’art. 7 cod. proc. civ., non introduce un’autonoma previsione sulla competenza di detto Giudice di Pace, suscettibile di sopravvivere all’abrogazione della norma richiamata. Per effetto del D.Lgs. 19/2/1998 n. 51, recante «Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado», che ha abrogato la figura del Pretore, la competenza è passata, con decorrenza dal 2/6/1999, al Tribunale in composizione monocratica. L’art. 98 del D.Lgs. 507/99, in attuazione alla delega contenuta dall’art. 1 della L. 25/6/1999 n. 205, ha infine, operato un revirement restituendo al Giudice di Pace la veste di giudice dell’opposizione con giurisdizione piena ed esclusiva in materia. La novella, sembra diretta alla concreta realizzazione del principio di effettività della giustizia, considerata la maggiore celerità dei processi dinanzi al giudice onorario, nonché la presenza più diffusa e capillare di questo giudice sul territorio, rispetto alla nuova geografia giudiziaria dovuta all’introduzione del giudice unico di primo grado. La competenza territoriale è quella del Giudice che ha sede nel luogo in cui è stata commessa la violazione. Si tratta di un criterio che ha carattere inderogabile con la conseguenza che l’eventuale incompetenza potrà essere rilevata dal Giudice, anche ex officio, in ogni stato e grado del procedimento.  Degna di nota risulta la verifica del criterio da utilizzare per l’individuazione dell’autorità giudiziaria territorialmente competente a conoscere del ricorso in opposizione, presentato ex art. 204-bis, avverso la violazione di cui all’art. 126-bis c. 2. Il problema si pone nel caso in cui l’obbligato in solido, destinatario del verbale, sia residente in luogo diverso da quello ove sarebbe stata commessa la violazione presupposta (quella che fa scattare l’obbligo di cui all’art. 126-bis), che coincide con quello ove ha sede l’organo di polizia accertatore.  Come noto, la notifica del verbale presupposto, unitamente alla richiesta di informazioni circa le generalità del conducente, dovrà essere effettuata presso il luogo di residenza del destinatario. Orbene, poiché nel caso de quo ci troviamo di fronte ad un illecito omissivo (mancata comunicazione delle generalità del conducente al momento della violazione), la violazione (ove sussistente) si consuma nell’ultimo momento utile concesso per l’adempimento, periodo nel quale si presume che l’obbligato si trovi presso la sua residenza.  Ne deriva che, la competenza non sarebbe da individuarsi nel luogo di accertamento della violazione presupposta, ma in quello dove sarebbe stato commesso (tramite omissione) l’illecito consequenziale, che coincide con quello della residenza del presunto trasgressore[12].    

  e) Forma dell’opposizione

L’atto introduttivo del giudizio in opposizione è il ricorso[13]. Questo consiste in una domanda redatta per iscritto, in carta semplice, diretta al giudice. Quanto agli elementi, esso deve contenere: 1)   l’intestazione: con indicazione della competente autorità giudiziaria cui è diretto; 2)   l’epigrafe: con indicazione del nome, cognome, residenza e domicilio del ricorrente[14] nel comune ove ha sede l’Autorità Giudiziaria adita, o l’elezione di domicilio presso un avvocato del Foro di competenza; 3)   l’amministrazione resistente; 4)   gli estremi dell’atto impugnato, con la data della sua contestazione o notificazione; 5)   l’esposizione sommaria dei fatti, 6)   i motivi su cui si fonda il ricorso, e cioè i vizi di legittimità o di merito, con cui si manifesta la volontà di non accettare il provvedimento[15]; 7)   le conclusioni. Il ricorrente potrà chiedere: - l’annullamento (che si estende automaticamente anche alla sanzione accessoria) dell’atto, -  la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento; 8)   la sottoscrizione del ricorrente o dell’avvocato, previo rilascio del mandato, che indica il proprio codice fiscale[16]. Al ricorso deve essere allegata copia del verbale o dell’ordinanza notificata, per consentire l’esatta identificazione dell’Amministrazione da citare in giudizio e la verifica della tempestività della proposizione del ricorso.  

 f) Modalità della presentazione

Quanto alle modalità concrete di presentazione dell’atto, la legge nulla dice. Così, si era ritenuto che l’opposizione dovesse essere depositata presso la cancelleria del giudice con consegna “a mani” del cancelliere giacché, mancando negli artt. 22 e ss. L. 689/81 una disposizione derogatoria delle regole generali, tale deposito costituisce il necessario strumento per portare all’esame del giudice adito l’atto di impulso processuale. Conseguentemente, si era consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il principio dell’inammissibilità del ricorso inoltrato a mezzo del plico postale. L’eccezione di inammissibilità del ricorso era addirittura rilevabile ex officio poiché, essendo l’opposizione inviata per posta (ordinaria o raccomandata) inidonea tout court a realizzare la corrispondente fattispecie legale determinativa della rituale proposizione del ricorso, esiste l’impossibilità di configurare qualsiasi tipo di sanatoria, a nulla rilevando, all’uopo, la eventuale costituzione in giudizio dell’amministrazione e la sua eventuale difesa nel merito. Con la sentenza n. 98 del 10-18/3/04, la Corte Costituzionale ha operato un completo revirement in materia. Stimolata dalla Cassazione, che ha dubitato della legittimità dell’art. 22 L. 689/81, in riferimento agli artt. 3 e 24 Costituzione, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione del ricorso - la consegna brevi manu del ricorso presso l’ufficio del giudice, quale unica modalità di introduzione del giudizio, rappresenterebbe «un formalismo inutile ed anacronistico», incoerente con la struttura semplificata del procedimento, in cui gli incombenti relativi all’instaurazione del contraddittorio sono interamente devoluti alla cancelleria - la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in parte qua del citato art. 22[17]. La struttura del procedimento di opposizione, che si caratterizza per una peculiare semplicità di forme, conferma la volontà legislativa di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale nella materia delle sanzioni amministrative. Rebus sic stantibus, la previsione del necessario accesso alla cancelleria del giudice, oltre che irragionevole, costituisce un fattore di dissuasione anche di natura economica dall’utilizzo della tutela, in considerazione dei costi, peraltro avulsi alla funzionalità del giudizio, che l’intervento personale comporta in tutti i casi in cui il forum oppositionis è situato in luogo diverso da quello di residenza del ricorrente. D’altronde, l’esigenza di certezza che il deposito personale del ricorso mira a realizzare può essere garantita attraverso l’utilizzo del plico raccomandato, già previsto dall’art. 134 disp. att. cod. proc. civ., per il ricorso per Cassazione. È in facoltà, e non obbligatorio per il ricorrente, farsi assistere da un legale. Il comma 3 del nuovo art. 204-bis prevedeva che, in caso di ricorso diretto avverso il verbale, l’interessato doveva, a pena di inammissibilità, versare presso la cancelleria del Giudice una cauzione per una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione prevista per la violazione. A parte le difficoltà gestionali di tale operazione - presso le cancellerie, infatti, manca l’ufficio cassa - si ricorda che tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la nota sentenza n. 114/2004; conseguentemente, non è più richiesto il pagamento di alcuna cauzione per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Il legislatore, tuttavia, non si è preoccupato di adeguare il contesto normativo. Restano, quindi, ancora in piedi le previsioni recate dai comma 5 e 6 a tenore delle quali, in caso di rigetto del ricorso il Giudice autorizza l’amministrazione a prelevare l’importo della sanzione “dalla cauzione prestata dal ricorrente”, e la sentenza costituisce titolo esecutivo per la riscossione coatta delle somme inflitte “che superino l’importo della cauzione” (sic!).   Secondo il comma 10 dell’art. 23 L.. 689/81 gli atti del processo e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta. Tuttavia, l’art. 2 c. 212 lett. b) n. 2 L. 191/2009[18], ha introdotto all’art. 10 del D.P.R. 115/2002[19], a far data da 1/1/2010, il comma 6-bis ai sensi, della prima parte, del quale Nei procedimenti di cui all’ articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, gli atti del processo sono soggetti soltanto al pagamento del contributo unificato, nonché delle spese forfetizzate secondo l’importo fissato all’articolo 30 del presente testo unico. Così, a norma dell’art. 13 T.U., il contributo unificato è dovuto nei seguenti importi: - euro 30, per i processi relativi alle sanzioni di valore fino a 1.100 euro - cioè la stragrande maggioranza; - euro 70, per i processi relativi alle sanzioni di valore da 1.100,01 fino a 5.200 euro - si pensi alle violazioni di cui agli artt. 86 c. 2; 97 cc. 9 e 11; 100 c. 12; 168 c. 8; 174 c. 7-bis; 176 c. 19; 178 c. 4-bis; 192 c. 7; 213 cc. 2-ter e 4; 216 c. 6; 217 c. 6 e 218 c. 6 C.d.S.; - euro 170, per i processi relativi alle sanzioni di valore da 5.200,01 a 26.000 euro - si pensi al caso di più verbali opposti mediante un unico ricorso - e per i processi contenziosi di valore indeterminabile di competenza esclusiva del giudice di pace - si pensi ai ricorsi avverso le sanzioni amministrative accessorie; mentre le spese forfetizzate sono dovute nella misura di euro 8.             Conseguentemente, ai sensi dell’art. 14 T.U., il ricorrente dovrà dichiarare, nelle conclusioni dell'atto introduttivo, il valore della causa, al fine di consentire al cancelliere, ai sensi dell’art. 15 T.U., di controllare l’esattezza dell’importo pagato. Tuttavia, laddove tale dichiarazione dovesse essere omessa, scatta la presunzione di cui all’art. 13 c. 6 T.U., secondo la quale il processo si presume rientrante nello scaglione indicato al comma 1 lett. g) - ossia di valore superiore a 520.000 euro - con obbligo di corresponsione della somma di 1.100 euro[20]. Inoltre, a norma dell’art. 16 T.U., in caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato, entro 30 giorni dal deposito del ricorso, a norma dell’art. 248 T.U., la cancelleria notifica alla parte, ai sensi dell'art. 137 cod. proc. civ., l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra il valore della causa dichiarato e il corrispondente scaglione indicato dall'art. 13, con espressa avvertenza che si procederà a iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro 1 mese. Infine, laddove non ci si adegui nemmeno a tale invito, il comma 1-bis dell’art. 16 T.U. stabilisce che si applica la sanzione di cui all'articolo 71 D.P.R. 131/1986, in base al quale se il valore definitivamente accertato, ridotto di un quarto, supera quello dichiarato, si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta. In altri termini, dal 1 gennaio 2010, presentare un ricorso giurisdizionale, oltre che pericoloso, costa almeno 38 euro. Si è in tal modo, soppressa, seppur in via indiretta la esenzione prevista per il “rito 689”, salvo che in ordine alla assoggettabilità della sentenza all’imposta di registro, che resta non dovuta[21].  

g) La sospensione dell’atto impugnato

Il ricorso non sospende l’esecutività dell’atto impugnato. Di talché l’opponente - per evitare che l’atto impugnato diventi titolo esecutivo - dovrà effettuare il pagamento previsto, con possibilità, in caso di accoglimento dell’opposizione di chiedere il rimborso alla P.A. dell’indebita somma versata. Tuttavia, l’art. 22 ultimo comma della L. 689/81 prevede il potere del giudice di sospendere l’esecuzione dei provvedimenti impugnati[22] in relazione, sia alla riscossione delle sanzioni pecuniarie, sia alla permanenza degli effetti delle sanzioni accessorie interdittive già irrogate. La sospensiva, sino al termine del giudizio, è concessa con ordinanza inoppugnabile. Circa il modus procedendi da seguire per l’adozione del provvedimento, si rileva come si tratti di ordinanza cautelare e provvisoria emessa rebus sic stantibus, ferma restando la possibilità per il giudicante di provvedere eventualmente con decreto inaudita altera parte, che non necessita l’esperimento del contraddittorio o la fissazione di un’apposita udienza - in quanto ha carattere meramente strumentale al successivo giudizio di merito: infatti, l’eventuale sentenza di accoglimento del ricorso, consolida, rendendoli definitivi, gli esiti della sospensiva; mentre, l’eventuale sentenza di rigetto, comporta la cessazione degli effetti sospensivi dell’ordinanza e l’eliminazione delle relative conseguenze. In tal senso, si sono espresse le Sezioni Unite della Cassazione con la nota pronuncia n. 608 del 29 febbraio 1972[23]. Il provvedimento cautelare emesso con decreto, invece che con ordinanza, risulta strutturalmente più rispondente alle specifiche esigenze di celerità che debbono essere necessariamente garantite a chi chieda tutela rispetto a provvedimenti sanzionatori già in fase di esecuzione, come il ritiro della carta di circolazione, il ritiro della patente, il fermo amministrativo ed il sequestro.           Laddove si dovesse, invece, ritenere che anche in questa materia trovino applicazione le norme generali sul procedimento cautelare uniforme, previste dalla Sezione I del Capo III del Titolo I codice di rito civile (artt. 669 e ss.), in ossequio all’estensione dell’ambito di applicazione di dette disposizioni in quanto compatibili anche agli altri provvedimenti cautelari previsti … dalle leggi speciali, ai sensi dell’art. 669-quaterdecies c.p.c. si osserva. Essendo la domanda di sospensiva incorporata nel ricorso introduttivo, l’incidente cautelare deve essere considerato e trattato come procedimento in corso di causa - di competenza esclusiva del Giudice di Pace ai sensi del D.Lgs. 507/99 - nei termini di cui all’art. 669-sexies c.p.c.[24], onde evitare di comportare un’inevitabile svalutazione della portata e dell’efficacia del rimedio cautelare, oltre che di quello giurisdizionale, in grado di integrare, anche in caso di accoglimento della sospensiva, un’ipotesi di sostanziale denegata giustizia. La mancata pronuncia in urgenza sulla pur tempestiva istanza di sospensione, condurrebbe ad un’indiretta dichiarazione di condanna (soccombenza virtuale) alle sanzioni amministrative, specie quelle accessorie, che verrebbero ad essere scontate anche in caso di eventuale successiva vittoria del ricorso, e ciò in piena violazione del principio secondo cui la necessità di ricorrere al giudice non deve tornare a carico di chi ha ragione (Chiovenda). Nel merito, la verifica della consistenza dei gravi motivi consiste nella delibazione sommaria circa la non manifesta infondatezza delle ragioni esposte nel ricorso - c.d. fumus boni juris - unita alla sussistenza del periculum in mora. Si tratta del rischio che nelle more del giudizio, dall’esecuzione del provvedimento, possa derivare un grave ed irreparabile danno (sia materiale che morale) per il ricorrente.  

 h) Procedimento

Il giudice, verifica la validità formale del ricorso e ne valuta l’ammissibilità processuale. Ai sensi del comma 1 dell’art. 23 L. 689/81, se il ricorso è proposto fuori termine, il giudice ne dichiara l’inammissibilità, con ordinanza motivata ricorribile solo per Cassazione. Come detto, al ricorso deve essere allegata copia del provvedimento notificato. In caso di mancata allegazione del provvedimento opposto o della sua relata di notifica, cosa che rende impossibile il controllo della tempestività dell’opposizione, non è ricollegata alcuna sanzione di inammissibilità in limine litis[25]; si ritiene, tuttavia, che il giudice possa ordinare all’opponente di depositarne una copia, la qual cosa consente che l’inammissibilità possa essere successivamente pronunziata con sentenza, con conseguente onere di condanna alle spese di lite quando, nel corso del giudizio, risulti il mancato rispetto del termine.  

i) Fissazione dell’udienza

Se il ricorso è proposto tempestivamente[26], il giudice fissa l’udienza di comparizione con decreto steso in calce al ricorso, che viene notificato, a cura della cancelleria, all’Amministrazione controinteressata[27] e all’opponente nel domicilio eletto. L’art. 56 c. 1 L. 69/2009[28], nel prevedere “misure in tema di razionalizzazione delle modalità di proposizione e notificazione delle domande giudiziali”, mediante l’aggiunta al comma 2 dell’art. 23 L. 689/81 di un periodo grazie al quale, la prova scritta della conoscenza del ricorso e del decreto equivale alla notifica degli stessi, ha inteso recepire gli insegnamenti di certa giurisprudenza. Se il domicilio del ricorrente si trova in un comune diverso da quello in cui ha sede l’autorità giudiziaria, le notifiche verranno effettuate mediante deposito presso la cancelleria dell’Ufficio Giudiziario[29]. Tra il giorno della notifica e l’udienza di comparizione, devono intercorrere termini liberi non minori di 90 gg., ai sensi dell’art. 163 bis cod. proc. civ., richiamato dall’art. 23 della L. 689/81, come sostituito dall’art. 99 del D.Lgs. 507/99. Tuttavia, ai sensi del comma 2 del citato art. 163-bis cod. proc. civ., il Giudice di Pace coordinatore, su istanza dell’opponente, può con decreto motivato abbreviare i termini fino alla metà.  All’amministrazione resistente, il giudice ordina di depositare in cancelleria, copia dell’accertamento e degli atti relativi, almeno dieci giorni prima dell’udienza. Si apre così, un ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della pretesa creditoria della P.A., avente per finalità l’accertamento della legittimità del provvedimento amministrativo irrogativo di sanzione[30]. In giudizio, i ruoli processuali di attore e convenuto, anche ai fini dell’onere della prova e della sua ripartizione, sono invertiti cosicché spettano rispettivamente alla P.A. ed all’opponente. In corrispondenza del sistema dettato dall’art. 2697 cod. civ., ogni parte deve provare l’assunto dal quale intende far discendere conseguenze giuridiche a sé favorevoli, tuttavia tale onere presuppone la contestazione di quanto dedotto da  controparte, con la conseguenza che ciò che viene ammesso, ovvero non contestato, non dovrà essere ulteriormente provato.

    l) Estinzione del processo

Il giudizio di opposizione può cessare per una delle seguenti cause estintive: - rinuncia dell’opponente. Si tratta di un atto formale fatto per iscritto dal ricorrente, con atto depositato in cancelleria, ovvero con dichiarazione all’udienza raccolta a verbale; - cessazione della materia del contendere, che si verifica quando nelle more della celebrazione del processo, la Prefettura annulla ex tunc l’atto impugnato. In tal caso, il giudice, dato atto della cessazione della materia del contendere, provvede in ordine alle spese, condannando l’amministrazione soccombente a rifondere al ricorrente le eventuali spese di giudizio, ovvero dichiarandone la compensazione totale o parziale tra le parti.  

m) Costituzione delle parti in giudizio

Ai sensi del comma 5 dell’art. 23 L. 689/81, nel giorno fissato per la prima udienza il ricorrente (o il suo procuratore) è obbligato a presenziare - salvo che risulti l’esistenza di un legittimo impedimento a comparire - pena l’automatica convalida del provvedimento impugnato, sulla presunzione di una tacita remissione dell’opposizione. Nel caso, però, di palese illegittimità del provvedimento (perché risultante già dalla documentazione allegata), o di mancata costituzione dell’Amministrazione, il giudice deve, anche in caso di assenza del ricorrente, valutare il ricorso[31]. Stante l’eccezionalità della norma che prevede la convalida del provvedimento per il caso di mancata comparizione alla prima udienza, ove l’opponente ritualmente comparso alla prima udienza, non compaia all’udienza successiva, il giudice non può emettere ordinanza di convalida, ma deve procedere secondo le norme generali che regolano il processo di primo grado[32]. Secondo la formulazione originaria della norma, l’ordinanza di convalida era ricorribile solo per cassazione.

* * *

L’Amministrazione resistente, come detto, deve presentare, nella cancelleria del giudice, copia del verbale nonché gli elementi di prova della contestazione (notificazione), almeno 10 gg. prima dell’udienza, per consentire al giudice, di pervenire all’udienza edotto e, al ricorrente, di precisare le proprie difese tali da condurre utilmente ad una decisione o, comunque, di dare uno sviluppo coerente al processo. L’acquisizione di tali documenti è essenziale: il giudizio non può concretamente svolgersi se il giudice non ha conoscenza del rapporto. Di conseguenza, la produzione dei documenti si configura alla stregua di un onere per l’Amministrazione[33]. Per costituirsi e provare i fatti integranti la responsabilità dell’opponente, in ordine all’infrazione contestata, l’Amministrazione non ha, invece, alcun obbligo di presentare comparsa o memoria difensiva, e può stare in giudizio avvalendosi anche di funzionari appositamente delegati (art. 23 c. 4 L. 689/81). La delega al funzionario incaricato della difesa, deve essere conferita con atto scritto, a pena di nullità[34]. In merito si osserva che, nell’ipotesi in cui il funzionario comparso in udienza, non fosse in grado di comprovare il proprio potere di esplicare l’attività difensiva, perché privo di delega, risulterebbe carente la sua legitimatio ad processum e il suo ius postulandi; il che determinerebbe l’impossibilità per il funzionario di svolgere attività processuale ovvero, secondo le regole generali, la nullità degli atti da lui compiuti, in quanto non abilitato.  

n) La trattazione del ricorso

Una volta instauratosi il contraddittorio, si svolge la causa. È possibile procedere al cumulo di domande e alla riunione di procedimenti connessi soggettivamente od oggettivamente. Infatti, come detto, il trasgressore ed il solidalmente obbligato possono aver proposto opposizione con un unico ricorso; se le domande sono separate, i relativi procedimenti possono, sussistendone i presupposti, essere riuniti. Il giudice regola lo svolgersi del procedimento secondo necessità, con un potere di impulso processuale che gli consente di acquisire ogni tipo di prova, senza particolari formalità, anche a completamento dell’attività delle parti[35]. Può così, disporre d’ufficio la prova testimoniale[36], formulandone i capitoli, qualora l’opponente si sia riferito a persone informate sui fatti, ma anche la consulenza tecnica, l’esperimento, l’esibizione di documenti, la richiesta di informazioni alla P.A. relative ad atti e documenti che è necessario acquisire al processo, ecc. Questo consente che il diritto riconosciuto al ricorrente, di rivolgersi direttamente e personalmente al giudice, anche in assenza di un difensore, possa trovare una possibilità di concreta attuazione. Per tutto quanto non previsto, si osservano le norme del processo civile, in quanto non incompatibili. Nel giudizio fondato sulla legittimità del comportamento accertato, costituisce domanda nuova, e non modificazione della domanda già formulata (consentita ex art. 183 c. 4 cod. proc. civ.) la deduzione in udienza di vizi dell’atto tali da imporre una pronuncia di totale annullamento del provvedimento stesso[37]. Completata l’istruttoria, le parti procedono alla discussione della causa per essere poi invitate dal giudice a precisare oralmente le conclusioni.

   o) Querela di falso

Il verbale redatto dall’agente accertatore con le richieste formalità, gode, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., di fede privilegiata. Si tratta di una c.d. prova legale, assistita da efficacia probatoria assoluta ed incondizionata, che vincola il giudice al risultato probatorio. In merito, si osserva che, solo i fatti che il pubblico ufficiale rogante attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (elemento estrinseco del verbale) godono di pubblica fede; mentre la riconducibilità dei fatti ad una determinata violazione (elemento intrinseco del verbale) e la verità sostanziale delle dichiarazioni eventualmente rese dalle parti, resta fuori dell’efficacia di prova legale e, perciò, rientra nella normale valutazione affidata al giudice, secondo il suo prudente apprezzamento, ex art. 116 cod. proc. civ. In altri termini, la “piena prova” riguarda la constatazione di un fatto avvenuto e conosciuto in presenza del pubblico ufficiale senza alcun margine di apprezzamento. Pertanto, non si estende a quelle circostanze che, pur contenute nel documento, si risolvano in apprezzamenti personali o giudizi valutativi del pubblico ufficiale, né alla menzione di quei fatti che, in ragione delle modalità di accadimento repentino, risultino mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale, la quale non può ritenersi fornita di un’indiscutibilità maggiore di quella normalmente presente in ciascun soggetto. Ampia è la casistica ed elaborazione giurisprudenziale di merito e di legittimità in materia. Sono così stati ritenuti non coperti dalla fede privilegiata dell’atto pubblico: le modalità dell’incidente stradale riferite dal pubblico ufficiale non per constatazione diretta, ma in esito alle indagini svolte[38]; i fatti enunciati come conosciuti in un momento anteriore alla formazione dell’atto, attraverso la elaborazione critica di altri elementi di conoscenza[39]; i fatti di cui il P.U. abbia avuto notizia da altre persone o della cui verità sia convinto in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche[40]. La contestazione della violazione relativa al transito di un’autovettura ad un crocevia mentre il semaforo proietta luce rossa, costituisce un elemento probatorio liberamente valutabile che ammette la prova testimoniale contraria da parte di una persona trasportata[41].  La trascrizione della targa del veicolo in violazione, può risolversi in un errore materiale di lettura anche per uno solo dei suoi elementi alfanumerici. Conseguentemente, l’errore di fatto commesso dai verbalizzanti nell’attestare come vera una realtà falsamente percepita può essere accertato al fine di escludere la certezza della responsabilità del preteso autore della violazione, quando questi abbia dedotto di non aver commesso l’infrazione, con motivi che rendano verosimile tale sua affermazione, smentendo in tal modo la verità presunta del verbale[42]. Più di recente si è, invece, affermato che la lettura del numero di targa non implica alcuna attività di valutazione[43]. Il rapporto della Polstrada attestante l’esclusione di anomalie del fondo stradale, non è in parte qua dotato di fede privilegiata e per conseguenza, non deve necessariamente essere impugnato con querela di falso, né comporta, ipso facto, l’inattendibilità delle deposizioni testimoniali contrastanti con tale assunto[44]. Le risultanze dei rilievi delle apparecchiature utilizzate per accertare le violazioni di velocità valgono fino a prova contraria, che può essere data dall’opponente con la dimostrazione del difetto di funzionamento di tali dispositivi da fornirsi in base alle concrete circostanze di fatto[45]. Il riconoscimento personale, non seguito, nel verbale di accertamento dell’infrazione dalla identificazione, costituisce un tipico apprezzamento non coperto da pubblica fede[46]. Lo scontrino del tele laser è solo un elemento di riscontro dell’attività svolta, le cui risultanze possono essere recepite nel verbale o pedissequamente o previa correzione di quanto direttamente attestato dagli agenti verbalizzanti sulla base della loro diretta conoscenza. Deve, quindi, essere cassata la sentenza del giudice del merito che disattenda il valore di prova privilegiata del verbale, senza che sia stata proposta querela di falso, solo sulla base della discordanza esistente tra tale verbale e lo scontrino del tele laser consegnato all’automobilista in sede di contestazione immediata, che indicava una data e un’ora diversa del rilevamento[47]  In conclusione, se il giudice è vincolato (sulla base del verbale) nel ritenere che un veicolo si trovava in un dato luogo, il giorno x, all’ora x, è perfettamente libero di ritenere (sulla base di altre risultanze) che non sussiste la contestata violazione di cui all’art. 141 c. 3, e che invece il conducente procedeva a velocità moderata in prossimità dell’intersezione, o che comunque la violazione non sia riconducibile al veicolo contravvenzionato. Qualora si vogliano confutare le risultanze (estrinseche) del documento pubblico, non sarà sufficiente l’allegazione di prove contrastanti o contrarie, ma dovrà essere esperita una speciale azione disciplinata dagli artt. 221 e ss. cod. proc. civ., il cui nomen iuris è “querela di falso”[48]. Con quest’azione s’impugna la corrispondenza alla realtà di ciò che è consacrato nel documento, assistito da fede privilegiata.  

 p) Variazione del titolo sanzionatorio

Sebbene la domanda riconvenzionale o la modifica del titolo dell’illecito da parte dell’Amministrazione resistente, non incontrino alcun tipo di preclusione, si deve osservare che la violazione, è già stata dettagliatamente indicata tramite contestazione o notifica. Ne deriva che, l’emendatio della domanda, potrà avvenire fintanto che non si tramuti in mutatio del titolo di responsabilità in relazione al fatto contestato, e cioè, se il fatto prospettato successivamente, non sia diverso da quello originario. Per esemplificare, qualora sia stata emessa ordinanza-ingiunzione nei confronti di un soggetto quale conducente del veicolo con cui è stata commessa l’infrazione, e nel giudizio di opposizione, manchi la prova che l’ingiunto fosse stato alla guida, non può chiedersi la condanna dello stesso in qualità di proprietario.    

  q) Decisione

Nella stessa udienza di comparizione, il giudice, qualora la semplicità del caso lo consenta, decide definitivamente il giudizio, con pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo e della motivazione. Diversamente, su richiesta delle parti, emette una decisione interlocutoria con la quale fissa una nuova udienza, concedendo un termine per la presentazione di documenti, la formazione di ulteriori mezzi istruttori e la presentazione di note difensive (art. 184 cod. proc. civ.). Il giudice non deve limitarsi a controllare la legalità formale del provvedimento, ma deve procedere anche a sindacarne l’intrinseco fondamento, anche sul piano dell’esistenza storica dei fatti contestati[49]. Vige, comunque, il principio generale espresso dall’art. 112 cod. proc. civ. - principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato - secondo il quale deve escludersi il potere del giudice dell’opposizione, salve le ipotesi di inesistenza del provvedimento, di rilevare d’ufficio vizi dell’atto diversi da quelli fatti valere dall’opponente nei termini di legge con l’atto introduttivo del giudizio, atteso che questi costituiscono causa petendi della relativa domanda[50]. Per espressa previsione dell’art. 99 c. 1 lett. c) del D.Lgs. 507/99, che ha aggiunto un periodo all’art. 23 c. 11 L. 689/81, il giudice decide e motiva in base al diritto e non in base a regole equitative, stante la disapplicazione dell’art. 113 c. 2 cod. proc. civ., nel giudizio di opposizione davanti al Giudice di Pace[51]. Laddove l’istruttoria esperita non abbia condotto ad una plena probatio da parte dell’Autorità, il giudice accoglie l’opposizione, per assenza di prove sufficienti della responsabilità dell’opponente[52] . Il giudizio è deciso, come detto, con sentenza. La sentenza, ai sensi dell’art. 132 cod. proc. civ., è pronunciata «In Nome del Popolo Italiano» e reca l’intestazione «Repubblica Italiana». Essa deve contenere: -     l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata; -     l’indicazione delle parti e, se presenti, dei loro difensori; -     le conclusioni delle parti; -     la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione; -     il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice.       L’omessa lettura immediata del dispositivo in udienza, subito dopo la discussione della causa, come previsto dall’art. 23 c. 7 L. 689/81, comporta la nullità insanabile della sentenza[53].  

 r) Contenuto della decisione

La sentenza di rito, che decide sulle questioni pregiudiziali (condizioni dell’azione e presupposti processuali), può essere: - di inammissibilità, quando il ricorso sia stato presentato fuori termine o all’Autorità Giudiziaria territorialmente incompetente[54]; - di irricevibilità, quando sia stato effettuato il previo pagamento in misura ridotta. La decisione di merito, accertato se sussistano i vizi o i motivi denunciati, può essere: - di accoglimento. Il giudice annulla, in tutto o in parte, o modifica l’atto, ad esempio nella parte relativa alla sanzione accessoria, nei confronti di uno dei coobbligati, o limitatamente all’entità della sanzione applicata - comunque non inferiore al minimo edittale - qualora sia stata determinata in misura non consentita o erronea[55]. La pronuncia di annullamento comporta l’eliminazione dell’atto dalla realtà giuridica, con conseguente rimozione degli effetti giuridici prodotti, comprese le sanzioni accessorie, e improduttività dell’ingiunzione di pagamento della sanzione. Allo stesso modo, l’annullamento comporta il rimborso da parte della P.A. dell’indebita somma eventualmente pagata dall’opponente. La sentenza di annullamento per accertata insussistenza della violazione, estende la sua efficacia anche nei confronti dei condebitori solidali che siano rimasti estranei al giudizio, stante la caducazione del presupposto dell’obbligazione comune.     - di rigetto. Il giudice condanna il ricorrente al pagamento della sanzione della quale procede anche a determinare l’importo[56], senza essere vincolato ad alcun limite, come invece accade per il Prefetto, se non al rispetto del minimo edittale; non può però escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente di guida. Si osservi che, quando respinga l’opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione ai sensi dell’art. 205 C.d.S., stante la tassativa devoluzione alle sole disposizioni di cui ai commi 2, 5, 6 e 7 dell’art. 204-bis, al Giudice non si estende il divieto di escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie.      

      s) Spese giudiziali

 In ogni caso, la sentenza provvede sulle spese del giudizio ai sensi degli artt. 91 e ss. cod. proc. civ.: le spese seguono la soccombenza, salvo compensazione totale o parziale, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. novellato dall’art. 45 L. 69/2009, per “gravi ed eccezionali ragioni” che devono essere esplicitamente indicate nella motivazione. Se il ricorrente si sia avvalso dell’opera di un legale, al riconoscimento delle proprie ragioni, segue il diritto ad ottenere la condanna della P.A. soccombente, al rimborso degli onorari di difesa sostenuti. Infatti, la facoltatività dell’assistenza tecnica, non deve incidere sul diritto del cittadino ad una tutela specializzata. Allo stesso modo, per il caso di soccombenza dell’opponente, questi potrà essere condannato alla refusione degli esborsi effettivamente sostenuti dall’amministrazione da indicarsi in apposita nota[57]. L’ente che si sia avvalso di un funzionario appositamente delegato, e non abbia sostenuto spese diverse da quelle generali per lo svolgimento della difesa, non avrà diritto alla refusione delle spese[58]. In conclusione, è illegittima la condanna dell’opponente, rimasto soccombente, al pagamento delle spese generali, insuscettibili di essere imputate al singolo rapporto processuale[59].  

 t) Regime dell’impugnazione della decisione

Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 23 L. 689/81, contro la sentenza decisiva del giudizio di opposizione, era inizialmente consentito solo il ricorso per Cassazione, ex artt. 360 e ss. cod. proc. civ., entro 60 gg. decorrenti dalla notificazione. La scelta concernente l’inappellabilità della sentenza, era giustificata dalle peculiari esigenze di celerità del procedimento relativo agli illeciti amministrativi, considerato che il diritto di difesa non resta pregiudicato dalla soppressione di un grado del giudizio di merito[60].  

u) Rapporti tra ricorso amministrativo e ricorso giurisdizionale

L’ipotesi di pendenza contemporanea di ricorso al Prefetto e ricorso al Giudice di Pace - perché il trasgressore ha presentato prima l’uno e poi l’altro - dovrebbe essere risolta sulla base della regola di diritto amministrativo della preferenza del ricorso giurisdizionale su quello amministrativo, di talché quest’ultimo diverrebbe improcedibile. Tuttavia, incomprensibilmente, il comma 4 dell’art. 204-bis prevede che il ricorso giurisdizionale è inammissibile qualora sia stato previamente presentato il ricorso al Prefetto.  

v) Risarcimento del “danno ingiusto”

Il ricorrente vittorioso che abbia subito un danno ingiusto dal provvedimento della P.A., poi annullato dal giudice, potrà chiamare in giudizio l’amministrazione, per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti. Con un’innovativa sentenza, la Corte di Cassazione, operando una rilettura dell’art. 2043 cod. civ., ha infatti affermato la responsabilità civile a carico della P.A. per gli atti o provvedimenti amministrativi illegittimi[61]. Sulla scia di tale autorevole decisione, ci sono già state alcune pronunce dei Giudici di merito che hanno riconosciuto meritevole di risarcimento il danno non patrimoniale causato “dallo stress da vigile urbano”[62] e il danno patrimoniale “da indisponibilità del mezzo”[63]. La domanda risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica va presentata, con atto di citazione, davanti al giudice ordinario. Il percorso del giudizio sul merito dovrà svolgersi in questi termini: - accertare la sussistenza di un evento dannoso; - verificare la riferibilità dell’evento ad una precisa condotta dell’amministrazione (illegittimità dell’atto amministrativo); - valutare l’imputabilità del danno alla condotta colposa della P.A., da intendersi come violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione; - riscontrare la qualificabilità dello stesso come “ingiusto”[64].  

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------- [1] Per un approfondimento sugli illeciti penali previsti dal Codice della Strada, si rinvia a F. Piccioni, I Reati Stradali, aspetti sostanziali e processuali del diritto penale stradale, II edizione, Il Sole 24 Ore, 2007. [2] In tal senso la costante giurisprudenza della Suprema Corte in materia di L. 689/81. Il principio risulta confermato anche da Corte Cost., ord. n. 160 del 24/4/02. In materia di violazioni al codice della strada, nei casi in cui non è ammesso il P.M.R., cfr. Cass. Civ., sez. I, 13/3/03, n. 3715. [3] Corte Cost, sent. nn. 255 e 311/94, ord. n. 315 e sent. n. 437/95. [4] Il ricorso al Prefetto non costituisce - stante l’incompatibilità col sistema costituzionale (art. 24, 103 e 113 Cost.) di un principio di riserva di amministrazione - presupposto processuale per poter adire il giudice ordinario. Il previo esperimento di tale ricorso amministrativo, lungi dal costituire un rimedio esclusivo, ha carattere meramente facoltativo e non costituisce una condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria, potendo l’interessato, indipendentemente da esso, rivolgersi al giudice per contestare la soggezione alla sanzione amministrativa pecuniaria, Cass. Civ., Sez. Un., 21/12/01, n. 16181. In tal senso, anche Cass. Civ., Sez. Un., 16/11/99, n. 779 e Cass. Civ., Sez. Un., 1/7/97, n. 5897. [5] Nel procedimento di opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione, è inammissibile l’intervento del terzo ex art. 105 cod. proc. civ., sia autonomo che ad adiuvandum, atteso che detto giudizio ha un oggetto circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa punitiva dell’Amministrazione e che esso, inoltre, è strutturato in unico grado in base a regole che non sono compatibili né con l’introduzione di istanze volte ad affiancare le ragioni dell’una o dell’altra parte, né con l’insediamento di distinte domande, che restano pur sempre proponibili in separata sede dal terzo estraneo al giudizio di opposizione. Così, qualora più persone siano concorse nella violazione amministrativa, soggiacendo ciascuna alla sanzione disposta, l’eventuale opposizione contro le distinte ordinanze-ingiunzioni dà luogo a diversi procedimenti autonomi, ancorché in eventuale rapporto di continenza o di connessine, Cass. Civ., sez. I, 11/9/99, n. 9695. [6] Cfr., Cass. Civ., 3/12/01, n. 15245 e Cass. Civ., Sez. Un., 1/7/97, n. 5897. [7] Stante l’applicabilità nel procedimento di opposizione delle norme dell’ordinario processo di cognizione, il cumulo di domande è consentito dall’art. 104 cod. proc. civ. Quindi, contro lo stesso ente impositore, è possibile chiedere l’annullamento di più sanzioni. [8] L’espressa previsione ha il merito di risolvere il problema concernente l’individuazione dell’esatto termine per proporre il ricorso giurisdizionale, divenuta particolarmente problematica a seguito dell’interpretazione adeguatrice fornita dalla Consulta - a tenore della quale è ammessa opposizione direttamente avverso il verbale - stante la precedente assenza di una specifica disposizione di legge. [9] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 13/1/2005 n. 458 e Cass. Civ., Sez. Un., 14/1/2008, n. 627. [10] Il legislatore è, infatti, dovuto intervenire con l’art. 2 D.L. 35/2005, convertito con modificazioni dalla L. 80/2005. a sostituire l’art. 8 cc. 2 e 4 L. 890/1982. [11] Cfr. in tal senso, Cass. Civ., 5/8/1996, n. 7146, Cass. Civ., sez. III, 8/11/99, n. 12430 e Cass. Civ., Sez. Un., 30/3/00, n. 63. [12] Cfr. G.d.P. Taranto, 26/10/2006. [13] Ove l’opposizione sia proposta con citazione, il relativo atto è idoneo alla tempestiva instaurazione del giudizio, solo se depositato nel rispetto del termine, non essendo sufficiente la mera notificazione nel termine stesso. [14] La modifica apportata dall’art. 4 c. 8 lett. b) D.L. 193/2009, recante Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario, all'art. 163 c. 3 n. 2) cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che l’atto debba contenere «il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono», si ritiene non applicabile al ricorso, in quanto riferita esclusivamente al “contenuto della citazione”.   [15] Il contravventore può proporre opposizione per motivi anche totalmente diversi da quelli eventualmente prospettati dinanzi al Prefetto in sede di ricorso amministrativo. [16] Si ritiene, invece, applicabile anche al ricorso la modifica apportata dall’art. 4 c. 8 lett. a) D.L. 193/2009 all'art. 125 c. 1 cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che il difensore debba indicare il proprio codice fiscale, in quanto la rubrica si riferisce genericamente “agli atti di parte”, mentre il comma 1 fa espresso riferimento anche al ricorso. [17] Sulla scorta delle considerazioni in virtù delle quali, con sentenza n. 520/02, aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 22 D.Lgs. 546/92, in tema di deposito del ricorso alle commissioni tributarie, la Corte ribadisce l’esigenza che le norme che determinano cause di inammissibilità degli atti, non devono frapporre ostacoli all’esercizio del diritto di difesa, che non siano giustificati dal preminente interesse pubblico.  [18] Recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010). [19] Recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. [20] Una più attenta interpretazione della norma, tuttavia, ritenuto che lo scaglione massimo previsto per la competenza del Giudice di Pace, rientra in quello previsto dall’art. 13 c. 1 lett. c), consentirebbe il pagamento del contributo unificato, in caso di omessa dichiarazione di valore, nell’importo di 170 euro.   [21] Ciò comporterà un sicuro sfoltimento del carico di lavoro per gli uffici del Giudice di Pace con il rischio, tuttavia, che si riscopra, l’ormai poco praticata, via del ricorso in sede amministrativa davanti al Prefetto, ai sensi dell’art. 203, che comunque non preclude il successivo ricorso al Giudice di Pace avverso l’ordinanza-ingiunzione che respinga la richiesta di archiviazione. [22] La disciplina dell’istituto della sospensione incidentale degli effetti dell’atto amministrativo è contenuta, in via generale, negli artt. 21 c. 7 L. 1034/71 e R.D. 1054/24. [23] Poiché si tratta di un provvedimento modificabile e revocabile dal giudice che lo ha emesso e non è suscettibile di pregiudicare irreparabilmente i diritti delle parti essendo la sua sorte legata all’esito del giudizio di opposizione a contravvenzione stradale  depenalizzata, è inammissibile il riscorso per Cassazione, proposto ai sensi dell’art. 111 Cost., dal Ministero dell’interno e dal quello dei trasporti, avverso il decreto del Pretore di sospensione della esecutività dei provvedimenti di sospensione della patente di guida e della efficacia delle carte di circolazione emessi rispettivamente dal Prefetto e dall’Ispettorato della Motorizzazione Civile. [24] Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno … e provvede con ordinanza … Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni assegnando all'istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. [25] La questione concernente le conseguenze derivanti dalla mancata allegazione del provvedimento notificato al ricorso in opposizione, è stata oggetto di contrastanti pronunce da parte della Corte di Cassazione. Con sent. 28/1/02 n. 1006, sono intervenute le Sezioni Unite per la composizione del contrasto di giurisprudenza esistente nell’ambito delle sezioni semplici. Dal tenore degli artt. 22 e 23 L. 689/81 non è prescritto che l’ordinanza notificata sia allegata al ricorso a pena di inammissibilità. Tale sanzione neppure può essere ricavata in via di interpretazione sistematica, perché la fissazione dell’udienza di comparizione, quando il ricorso è tempestivamente proposto, e la pronuncia di inammissibilità, se il ricorso è proposto oltre il termine previsto, rispondono all’intento di semplificare il processo e di evitare un inutile dispendio di attività processuale, quando il ricorso sia proposto oltre il termine consentito. E il potere-dovere del giudice di verificare la tempestività del deposito e di dichiarare l’inammissibilità del ricorso tardivo non è correlato alla (sola) mancata allegazione al ricorso dell’ordinanza, ma alla intempestività comunque risultante dagli atti acquisiti al processo. L’onere di allegazione non è infatti, previsto a pena di decadenza; sicché la pronuncia di non liquet potrà intervenire anche successivamente alla fase preliminare, nel contraddittorio delle parti, ed essere dichiarata con sentenza: sia che la tardività risulti per tabulas, a seguito del deposito degli atti da parte dell’amministrazione resistente, sia che permanga e diventi definitiva l’impossibilità di verificare la tempestività del ricorso. Tale interpretazione trova conforto anche nella relazione ministeriale all’originario disegno di legge n. 1799/77, in tema di modifiche al sistema penale, la quale esplicitamente escludeva che al solo mancato deposito dell’ordinanza dovesse conseguire la pronuncia di inammissibilità del ricorso «potendo il provvedimento essere sempre chiesto all’autorità che lo ha emesso»; e ciò, potremmo dire oggi, in ottemperanza al diritto di accesso ex art. 22 L. 241/90 (trasparenza amministrativa). In conclusione, la legge limita la pronuncia di inammissibilità con ordinanza al solo caso in cui si accerti positivamente in limine litis che il ricorso sia stato proposto tardivamente, e non allorché semplicemente non risulti ex actis. In tal senso anche Cass Civ., sez. II, 17/11/24253. [26] Il controllo sulla tempestività dell’opposizione rientra tra i compiti officiosi del giudice. [27] Tale previsione comporta una deroga all’art. 11 c. 1, del R.D. n. 1611/1933, sull’obbligatoria notifica degli atti introduttivi del giudizio contro le amministrazioni statali all’Avvocatura dello Stato, Cass. Civ., Sez. Un., 24/8/99, n. 599. [28] Recante Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile [29] La Corte Costituzionale ha osservato che la prescrizione dell’onere di indicazione della residenza o dell’elezione di domicilio nel Comune sede del giudice adito, non solo esprime una scelta discrezionale del legislatore, ma risulta ragionevole e non lesiva del diritto di azione, in quanto funzionale a un più immediato ed agevole espletamento delle formalità della notificazione (poste a carico dell’Ufficio); Corte Cost. ord. 7/6/02 n. 231. Si osservi che con ord. 19/1/88 n. 42, la Consulta, ebbe ad affermare che le diversità riscontrabili tra la disciplina delle notifiche non violano l’art. 3 Cost., in quanto rispecchiano le differenze esistenti tra la situazione del soggetto che sceglie di difendersi personalmente, ed è perciò interessato a seguire gli sviluppi di un’unica vicenda processuale e la situazione del soggetto che, avendo optato per l’assistenza di un legale, ha diritto di attendersi che quest’ultimo sia in condizione di svolgere efficacemente l’attività professionale in sua difesa. [30] Al giudice è preclusa ogni valutazione di fatti distinti da quelli contestati, indipendentemente dalla loro eventuale sanzionabilità con la medesima pena pecuniaria, non essendo consentito all’Autorità Giudiziaria di sostituirsi alla P.A. nell’individuazione del comportamento punibile. [31] Come precisato da Corte Cost., sent. nn. 534/90 e 507/95. Conseguentemente, l’emanazione dell’ordinanza di convalida è subordinata, a pena di nullità, oltre alla menzione della mancata comparizione dell’opponente o del suo procuratore priva di giustificazione, alla duplice condizione dell’avvenuto deposito dei documenti da parte della P.A. e della non fondatezza dell’opposizione da valutarsi, sia in relazione ai motivi del ricorso dai quali è delimitato l’oggetto del giudizio di opposizione, sia dall’esame dei predetti documenti; ne deriva l’obbligo per il giudice di motivare in ordine ad entrambi gli indicati presupposti, restando escluso che con riferimento al giudizio di non fondatezza dell’opposizione valga a soddisfare siffatto obbligo un generico richiamo alla “non evidente illegittimità” del provvedimento opposto. In tal senso, Cass. Civ., sez. I, 30/8/02, n. 12716; Cass. Civ., sez. I, 18/7/01, n. 9748; Cass. Civ., sez. III, 18/5/00, n. 6466; Cass. Civ., sez. I, 15/2/00, n. 1694; Cass. Civ., sez. I, 25/6/99, n. 6571 e Cass. Civ., sez. III, 7/5/99, n. 4586. [32] Cfr. Cass. Civ., sez. I, 12/2/03, n. 2075. [33] Tuttavia, il legislatore non ha disciplinato l’ipotesi dell’inosservanza dell’ordine di deposito da parte dell’Amministrazione; così il mancato rispetto del termine (di natura non perentoria) non è idoneo a determinare preclusioni (Cass. Civ., sez. I, 17/7/01, n. 9701): la documentazione potrà sempre essere prodotta nel corso del giudizio, assolvendo tardivamente all’ordine del giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza che venga perciò in considerazione il disposto dell’art. 87 disp. att. cod. proc. civ., che contempla la diversa ipotesi di documenti offerti in comunicazione alle parti dopo la costituzione. Dal rifiuto di esibire i documenti, invece, il giudice potrà desumere argomenti di prova e dichiarare soccombente l’Amministrazione ove, dalle risultanze processuali, non emergano prove sufficienti della responsabilità dell’opponente. [34] Tuttavia, non è necessaria la produzione della stessa agli atti del processo, in quanto la delega non è equiparabile alla procura di cui all’art. 83 cod. proc. civ., essendo sufficiente la sottoscrizione del funzionario nella comparsa di risposta e la sua dichiarazione di stare in giudizio in tale qualità. Ciò