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- Dott.ssa Maristella Giuliano
L'auto d'epoca è indice di capacità contributiva
Corte di Cassazione, V sez. tributaria
sentenza del 22 gennaio 2007 n. 1294
Il possesso di auto storiche (che nel caso di specie, ha consentito all’Ufficio delle Imposte la rideterminazione del reddito ai fini Irpef ex art.. 38 del DPR n. 600/1973) rappresenta un chiaro indice di capacità contributiva, in base al fatto notorio secondo il quale il mantenimento di tali beni impone elevati costi di gestione, proprio perché trattasi di beni fuori produzione, oggetto di collezionismo. Quindi costituisce un fatto notorio che il possesso di auto storiche o d’epoca si concretizza in possesso di beni di grande pregio che richiedono buone possibilità economiche per il loro mantenimento, anche se gli stessi non rientrano nei parametri di indice contributiva, fissati in via presuntiva dallo strumento fiscale del redditometro.
La Cassazione precisa anche che il fatto notorio posto a base del convincimento del giudice di merito, può essere censurato in sede di legittimità con ricorso per cassazione soltanto quando si evinca l’erroneità del fatto stesso, ossia il fatto è stato inteso erroneamente rispetto a quanto conosciuto da un uomo di media cultura in un determinato tempo e luogo; viceversa qualora venisse addotta la veridicità del fatto notorio si potrebbe agire solo in sede di revocazione ax art. 395, n. 4) c.p.c.
Svolgimento del processo 1. L’Ufficio delle imposte dirette di Verona notificava alla signora G.O. un avviso di accertamento con il quale determinava il reddito, ai fini applicativi dell’Irpef, per l’anno 1987, in via sintetica, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973. Tale maggior reddito era determinato, secondo l’Amministrazione fiscale, anche per il possesso di quattro automobili, di cui una d’epoca (una Jaguar MK2 di CF 23, immatricolata nell’anno 1963). La contribuente impugnava l’avviso di accertamento. 2. La Commissione tributaria provinciale di Verona accoglieva parzialmente il ricorso e riduceva il maggior reddito accertato nella misura del 40 per cento, in considerazione del fatto che delle automobili possedute una era risalente all’anno 1963 (auto storica in base all’immatricolazione). 3. Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello, sostenendo che le auto d’epoca andavano escluse dalla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche, e che al mantenimento delle altre auto avrebbe provveduto, nella misura del 70 per cento delle spese, il coniuge. La Commissione tributaria regionale, considerate irrilevanti le altre questioni proposte con il gravame, respingeva anche quella relativa al possesso delle auto storiche, affermando che il mantenimento di tali beni è sicuro indice di capacità contributiva, atteso che esse comporterebbero, notoriamente, spese a volte anche ingenti. 4. La signora G.O. ricorre contro la sentenza di appello con quattro motivi. Ministero delle finanze ed Agenzia delle Entrate resistono con controricorso. Motivi della decisione - 1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata interpretazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 e del D.M. 10 settembre 1992) la contribuente deduce che la Jaguar del 1963 avrebbe natura di auto storica e andrebbe esclusa dall’accertamento sintetico del reddito in quanto non posseduta per soddisfare le esigenze di circolazione. Lo stesso Se.C.I.T., in un suo parere, su istanza dell’Asi (AutomobilClub Storico Italiano), avrebbe escluso le auto e moto di interesse storico e collezionistico, ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs. n. 285 del 1992, dall’applicazione del redditometro. Queste, infatti, non sarebbero idonee a soddisfare le esigenze della circolazione e quindi non farebbero sorgere spese quotidiane, relative alla loro utilizzazione. Inoltre, nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, il riferimento alle automobili andrebbe riferito solo a quelle in circolazione effettiva. 1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata interpretazione degli artt. 72 e 32 del D.Lgs. n. 546 del 1992), la contribuente deduce che, in primo grado, l’ufficio avrebbe modificato le conclusioni già rese chiedendo, in sostituzione dell’accoglimento del ricorso proposto dal contribuente quanto all’inclusione dell’autovettura storica tra i beni legittimanti la procedura di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, la sua integrale reiezione. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata interpretazione dell’art. 23 del D.Lgs. n. 546 del 1992), la contribuente deduce che, in primo grado, l’ufficio - con il primo atto di costituzione - avrebbe condiviso le conclusioni della contribuente e rideterminato la sua pretesa, senza tuttavia depositare ex novo la documentazione a suo sostegno. 1.4. Con il quarto motivo di ricorso (con il quale lamenta l’omessa motivazione) la contribuente deduce che la sentenza non conterrebbe una motivazione sufficiente a spiegare perché la disciplina di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 600 potrebbe essere applicata anche alle auto storiche. 2. Il ricorso, che è infondato, deve essere respinto. 2.1. Preliminarmente, devono essere disattesi il secondo e terzo motivo di ricorso, che non risultano trattati nel corso del giudizio di appello e in ordine ai quali la ricorrente non ha adempiuto al dovere di autosufficienza che deve contraddistinguere il ricorso in tali casi. Come ha più volte stabilito questa Corte (da ultimo, nella sentenza n. 19328 del 2006), qualora una determinata questione, che implichi un accertamento in fatto (nella specie: accertamento di un fatto processuale verificatosi nel giudizio di primo grado), non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente per cassazione che richiami tale questione in sede di legittimità, per evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare la già avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di appello ma, anche, di indicare in quale atto del giudizio precedente abbia a ciò provveduto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare la veridicità di tale asserzione. Tale allegazione, però, nella specie, manca sia in riferimento al secondo che al terzo motivo di ricorso e, in applicazione di tale principio, la Corte deve dichiarare inammissibili le relative censure contenute nel ricorso per cassazione. 2.2. I restanti motivi (primo e quarto) devono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Con essi si lamenta che nella sentenza di appello si è sostenuto che il possesso di auto storiche da parte del contribuente costituisca indice di capacità contributiva, ponendosi, ad opposta ratio decidendi, rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, l’esenzione dal cosiddetto bollo automobilistico quale segnale di attenzione del legislatore verso beni che non sarebbero più adeguati alle attuali, e sempre più complesse, esigenze della vita quotidiana. 2.2.1. Come si è già detto, il motivo è infondato. La sentenza di merito ha motivato, sinteticamente, ma correttamente, in base alla considerazione del fatto notorio secondo il quale “il mantenimento di tale bene, di particolare pregio, è sicuramente indice di capacità contributiva, in quanto ad esso impone, notoriamente, spese a volte anche ingenti”. Orbene, la contestazione del fatto notorio da parte della contribuente può formare oggetto di esame in Cassazione solo entro limiti determinati. Infatti (sentenza n. 18446 del 2005), se l’affermazione del giudice di merito circa l’esistenza di un fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità con il ricorso per cassazione allorquando sia stata posta a base della decisione in forza di un’inesatta nozione del notorio, cioè erroneamente intendendo il fatto come conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo, viceversa, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice di merito non risponde al vero, l’inveridicità del preteso fatto notorio può solo formare oggetto di revocazione a norma dell’art. 395, n. 4), del codice di procedura civile, ove ne ricorrano gli estremi e non invece di ricorso per cassazione. Va perciò, preliminarmente, sgombrato il terreno dalla censura di falsità del fatto notorio posto dalla Commissione a base della sua decisione. Quanto all’aspetto secondo cui il notorio potrebbe essere sconosciuto dall’uomo medio, va qui fatto rilevare che non appare affatto esorbitante dalla cultura dell’uomo medio il dato secondo cui le auto cosiddette storiche, formino oggetto di collezionismo e di particolare ricerca fra gli appassionati di tali beni; che esiste un particolare mercato per tali tipi di veicoli, oggetto di attenzione da parte dei suoi consumatori, e di riflesso anche relative quotazioni rilevabili da pubblicazioni di settore; e che, secondo l’id quod plerumque accidit, la manutenzione di veicoli ormai da tempo fuori produzione, comporti rilevanti costi, per tutte le necessità di manutenzione e sostituzione dei cosiddetti componenti soggetti a usura. È per queste semplici ragioni che tali beni, a loro modo, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in questa sede perché immune da vizi logici e motivazionali, e il fatto notorio dallo stesso allegato nella motivazione, sono stati posti a base della capacità contributiva della contribuente, espressa in relazione al possesso di tali beni mobili registrati. Né il giudice di merito ha violato alcuna norma di legge o di regolamento, intendendo il riferimento al possesso delle auto, contenuto nei cosiddetti redditometri, anche a quelle cosiddette storiche, atteso che alcuna precisazione o restrizione è contenuta in tale disposizione (né essa è stata allegata dalla ricorrente); né ha potere decisivo sulla soluzione del caso il diverso parere reso da un organo consultivo dell’Amministrazione finanziaria, quale risulta essere quello del Se.C.I.T., richiamato nel ricorso, avendo il giudice motivatamente disatteso il ragionamento contenuto in quell’atto. 2.2.2. Infine, va rilevato che, a proposito di altri beni (immobili) storici la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 346 del 2003 (e ordinanza n. 170 del 2004) ha sì escluso la violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza nella determinazione del reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico ai fini delle imposte sul reddito (che viene stabilito mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato l’immobile e quando l’immobile di interesse storico o artistico sia locato), ma è pervenuto a tale risultato poiché andava esclusa la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili in ragione del complesso dei vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di tali beni nonché della forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di essi (ma essa non ha escluso l’opportunità di una nuova disciplina in materia che tenga conto della evoluzione del mercato immobiliare e locativo nel frattempo intervenuta). Una tale esclusione dalla disciplina comune, con riferimento alle cosiddette auto storiche, tuttavia, avrebbe avuto bisogno di una apposita normativa, quale è quella riservata agli immobili di interesse storico-artistico, perciò caratterizzati da uno statuto proprio particolare, fatto di limitazioni (quale il diritto di prelazione) e controlli (da parte delle autorità di settore, quali le soprintendenze) da cui sono esenti (almeno fino ad oggi) le auto di interesse storico. Perciò, la diversità di disciplina di tali beni risulta pienamente giustificata e impone la reiezione del ricorso, con addebito alla ricorrente delle spese di questo giudizio. P.Q.M. - rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in euro 1.100,00, di cui 100,00 per esborsi, 1.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori, come per legge.