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Le “ganasce fiscali” alla prova della giurisdizione: le sezioni unite risolvono definitivamente il problema ... o no?
Diego, M. Miele
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza del 17 gennaio 2007, n. 875
GIURISDIZIONE - OPPOSIZIONE AL FERMO AMMINISTRATIVO
Il provvedimento di fermo amministrativo dei beni mobili registrati (nella specie, un’autovettura) emesso dal un concessionario del servizio riscossione tributi ex art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 è un atto funzionale all'espropriazione forzata attraverso il quale si realizza il credito dell'amministrazione, e pertanto la tutela giurisdizionale nei confronti dello stesso si realizza dinanzi al giudice ordinario con le forme dell'opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi (in senso conforme: Cass. civ., Sez. Unite, ordd. 31 gennaio 2006, n. 2053 e 23 giugno 2006 n. 14710).
SOMMARIO 1. La sentenza - 2. Il fermo amministrativo di beni mobili registrati - 3. Il quadro normativo - 4. Delimitazione concettuale del fermo amministrativo ex art. 86 D.P.R. 602/73 rispetto ad istituti contigui - 5. Le funzioni del fermo amministrativo - 6. La natura del fermo - 7. Il problema della giurisdizione sul fermo, in particolare dopo il “decreto Bersani” - 8. Problemi di legittimità costituzionale – 9. Conclusioni.
1. La sentenza
La sentenza delle Sezioni Unite, facendo seguito a due ordinanze di poco precedenti[1] non aggiunge niente di nuovo al dibattito in corso da alcuni anni e divenuto via via più “turbolento”[2]. I temi che gli estensori dell'ordinanza hanno avuto presenti sono quelli cui la problematica del fermo ci ha abituati: funzione e natura del provvedimento previsto dall'art. 86 del D.P.R. n. 602/1973; la consequenziale questione di giurisdizione; il problema della legittimità costituzionale del quadro giuridico che deriva dalla soluzione dei primi due problemi. La pronuncia va tuttavia ricordata poiché è la prima dopo l'entrata in vigore della norma che nel 2006 – con un “colpo di mano” che ha abilmente evitato i quesiti ontologici posti dall'istituto giuridico - ha tentato di mettere fine alla querelle inserendo il fermo amministrativo nell'elenco degli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie[3]. Ci si sarebbe potuti aspettare una qualche interpretazione e riflessione sulla nuovissima disposizione, ma così non è stato. È possibile intuire che la sentenza in commento abbia applicato la regola della perpetuatio iurisdictionis: ciò significa, da una parte, che la sua portata è circoscritta alle controversie già instaurate alla data dell'entrata in vigore del D.L. 223/2006; dall'altra che da quel momento il problema della giurisdizione in materia di fermo – apparentemente risolto in maniera tranchante - è in realtà alla ricerca di soluzioni più articolate rispetto al aut-aut (giudice ordinario o giudice amministrativo) finora proposto dalla dottrina e giurisprudenza maggioritaria (v. infra).
2. Il fermo amministrativo di beni mobili registrati
Quando un istituto giuridico sfonda il diaframma che separa il comune sentire, la sensibilità del c.d. “uomo della strada”, dal mondo ingessato e un po' oscuro in cui vivono i giuristi, guadagnandosi “sul campo” l'onore di un nomignolo che tocca la sensibilità collettiva, si può agevolmente dedurre che esso terrà impegnati anche i professionisti del diritto. È ciò che è avvenuto con il provvedimento ora disciplinato dall'art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ribatezzato appunto “ganasce fiscali”[4]. Per spiegare le ragioni di tanta (im)popolarità - al dilà dei complessi problemi che le sue molteplici funzioni pongono quanto alla natura, alla tutela giurisdizionale e alla legittimità costituzionale – basta guardare agli effetti giuridici che dal fermo derivano:
1. Innanzitutto esso inibisce la circolazione fisica del veicolo interessato e il divieto (art. 86, comma 3°) è assistito dalla medesima sanzione dettata al riguardo dell'omonimo provvedimento che si rinviene nel Codice della Strada[5]. 2. Il secondo effetto tipico dell'iscrizione del provvedimento nei pubblici registri (previsto dall'art. 5, co. 1, D.M. n. 503/1998) agisce sulla circolazione giuridica del bene, la cui alienazione è inopponibile al concessionario (con effetti pregiudizievoli anche nei confronti del terzo avente causa)[6]. Oltretutto, l'art. 6 del D.M. n. 503/1998 stabilisce la inidoneità della sola prova del pagamento a consentire la cancellazione del fermo, occorrendo infatti che il concessionario adotti un provvedimento espresso di revoca del fermo. Tutto ciò ha indotto molti commentatori e parte della giurisprudenza a rilevarne la somiglianza con il sequestro conservativo, con talune problematiche peculiarità di cui si dirà. L'applicazione giurisprudenziale ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica anche casi-limite di provvedimenti di fermo disposti sull'unica vettura familiare di una persona malata di una grave forma di carcinoma, privata del mezzo che le consentiva di recarsi autonomamente in ospedale per ricevere le continue cure di cui aveva bisogno[7]. Dunque, la spiegazione dell'interesse convergente di opinione pubblica e studiosi sull'istituto in esame, dovrà a mio avviso essere cercata nella centralità assunta nelle nostre vite dall'oggetto che, nel corso del XX secolo, si è rapidamente trasformato da status symbol a strumento imprescindibile della mobilità quotidiana: l'automobile.
3. Il quadro normativo
Il fermo amministrativo fece la sua apparizione nell'ordinamento dieci anni or sono, con l'inserimento all'interno del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 dell'art. 91 bis[8]. Il D.M. n. 503 del 7 settembre 1998[9] diede attuazione alla delega di cui al comma 4° dell'art. 91 bis disciplinandone modalità, termini e procedure applicative. In questa prima fase l'istituto ebbe tuttavia scarsa diffusione, complice la procedura troppo macchinosa, che obbligava gli incaricati della riscossione ad attivare le Direzioni Regionali delle Entrate titolari del potere, ed il novero troppo ristretto dei beni aggredibili. Il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 16, comma 1° modificò la collocazione sistematica della norma sul fermo riscrivendo l'art. 86[10]. Si trattò, tuttavia, di un intervento sostanzialmente conservativo, eccezion fatta per l'estensione dei beni mobili assoggettabili a fermo (genericamente “beni mobili”) e dei soggetti passivi (debitore o suoi coobbligati). Fu invece sostanzialmente innovativo il D.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, il cui art. 1, lett. q) intese snellire la procedura di adozione del provvedimento di fermo ed accentuare l'efficacia e la deterrenza di questo strumento: il potere risulta ora attribuito direttamente al concessionario, che è tenuto solo a darne “notizia” all'ufficio finanziario e alla regione di residenza[11]. La novella del 2001 ha indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi circa la possibilità di continuare a considerare operante il menzionato regolamento di attuazione del 1998: alcuni hanno ritenuto innovata la natura stessa del fermo, ormai divenuto atto cautelare tout court, e che pertanto da quel momento il previgente regolamento fosse stato implicitamente caducato[12]; per altri[13] l'istituto giuridico manteneva intatta la sua originaria funzione esecutiva e poteva pertanto continuare ad essere disciplinato dal più risalente regolamento[14]. Questo punto è rimasto a lungo essenziale nella difesa dei destinatari dei provvedimenti di fermo: in assenza di regolamento attuativo, infatti, una parte della giurisprudenza riteneva il provvedimento viziato da carenza di potere, rilevabile dal Giudice ordinario e sanzionata con la nullità. Nel 2005, dettando “Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”, il Legislatore è intervenuto per fare chiarezza al riguardo (pro domo sua) e ha positivamente sancito la ultrattività del regolamento del 1998[15]. La peculiarità dell'istituto, fin dalla sua introduzione nel 1996, lasciava prevedere le difficoltà di inquadramento incontrate da dottrina e giurisprudenza. Tuttavia, è soltanto a partire dal 2001, con la riforma del fermo e con l'attribuzione del relativo potere direttamente ai concessionari della riscossione, che si è iniziato a fare un uso pieno e secondo alcuni “indiscriminato” dello strumento[16], con l'inevitabile aumento del relativo contenzioso. È allora apparsa più nitida l'attitudine ampiamente invasiva del potere (in senso amministrativo o privatistico, a seconda dell'impostazione teorica prescelta) attribuito ai soggetti incaricati della riscossione dei crediti erariali.
4. Delimitazione concettuale del fermo amministrativo ex art. 86 D.P.R. 602/73 rispetto ad istituti contigui
È utile delimitare il campo d'indagine rispetto ad istituti apparentemente contigui, la cui omonimia con quello che qui interessa offre sotto certi aspetti un utile termine di paragone, ma rischia altresì di accrescere la confusione. Le “ganasce fiscali” differiscono sia dal fermo amministrativo previsto come sanzione accessoria dal Codice della strada ed ivi disciplinato all'art. 214; sia dal fermo che può indicarsi come “amministrativo-contabile”, presente già nella normativa pre-costituzionale quale provvedimento di autotutela amministrativa[17]. Dell'uno e dell'altro molti commentatori hanno predicato le differenze rispetto alla diversa figura di fermo che qui interessa: se il primo ha carattere marcatamente sanzionatorio, l'altro vede fortemente accentuata la propria funzione cautelare, “in un'ottica orientata al necessario rispetto della regolarità contabile e di bilancio cui deve tendere la stessa azione amministrativa dello Stato”[18]. Eppure, anche i punti di contatto e sovrapposizione non mancano: la norma del codice della strada è infatti richiamata, come si è detto, dall'art. 86 del D.P.R. 602/73 e gli effetti sulla libera circolazione del mezzo sono i medesimi; la norma della legge di contabilità pubblica si ispira, d'altronde, ad una ratio di indiscusso favore per il credito erariale cui la misura in esame non può dirsi certamente estranea, come la dottrina ha avuto modo di constatare nella faticosa ricerca dell'esatta natura giuridica delle “ganasce fiscali”[19]. Nelle pagine seguenti ci si riferirà al provvedimento disciplinato dall'art. 86 genericamente in termini di “fermo” o di “fermo amministrativo”.
5. Le funzioni del fermo amministrativo
La qualificazione del provvedimento è prodromica alla soluzione del problema della giurisdizione: la grande varietà di soluzioni proposte al problema dell'individuazione delle funzioni e della natura del fermo lascia così intuire le cause per cui ciascun giudice (ordinario, amministrativo, tributario) ha potuto di volta in volta rivendicare la propria cognizione sulle controversie in materia di fermo. Al centro del dibattito si colloca il problema fondamentale di comprendere se il potere esercitato dal concessionario della riscossione abbia natura privatistica o pubblicistica. Rispetto a tale questione appare tuttavia preliminare l'individuazione della funzione svolta in concreto dal fermo (esecutiva, cautelare o di altro tipo), sebbene la giurisprudenza non ne abbia tratto sempre conseguenze univoche in punto di giurisdizione. Come si vedrà, l'opinione prevalente riconosce il carattere spurio e composito del fermo.
A) Il fermo come atto esecutivo
Sulla scia dei suoi due più immediati precedenti, anche la sentenza delle Sezioni Unite che si commenta ha definito il fermo come “un atto funzionale all'espropriazione forzata e, quindi, mezzo di realizzazione del credito dell'amministrazione”. Anche dopo la riforma del 2001, la norma dell'art. 86, lungi dall'attribuire al concessionario poteri autoritativi di carattere amministrativo e specificamente tributario, assolverebbe ad una funzione meramente conservativa del cespite patrimoniale del debitore in vista dell'espropriazione forzata intesa alla realizzazione del credito tributario e sarebbe sotto questo profilo assimilabile all'iscrizione ipotecaria sui beni immobili prevista dall'art. 77 dello stesso D.P.R. 602/73. Il fermo sarebbe, cioè, espressione della facoltà comunemente riconosciuta al creditore, nelle procedure esecutive, di scegliere tra i diversi mezzi di aggressione del patrimonio dell'esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata (jus eligendi). L'argomento principale dei fautori di questa linea interpretativa è quello sistematico[20]. In senso contrario, tuttavia, è stato anche osservato che la fase dell'esecuzione inizia solo con il pignoramento e che le differenze tra i due istituti non consentono alcuna assimilazione[21]. Peraltro, la stessa giurisprudenza che ha mostrato di voler accogliere la tesi della funzione esecutiva mostra scarsa chiarezza terminologica e una certa insoddisfazione verso una soluzione che, formulata in termini assoluti, appare troppo semplicistica[22].
B) Il fermo come atto cautelare
Un secondo orientamento argomenta osservando come il fermo, preposto dalla norma ad impedire la circolazione fisica e giuridica dei mezzi del debitore, svolge indiscutibilmente – e almeno in senso lato – una funzione cautelare in un'ottica indiscutibilmente di favore per il credito erariale. Non di rado, questa soluzione procede attraverso un confronto ragionato con il fermo di cui all'art. 69 del R.D. 2440/1923 e con il sequestro conservativo: rispetto al primo il fermo di beni mobili necessita pur sempre della preventiva iscrizione a ruolo del credito erariale; rispetto al secondo la peculiarità è che si procede senza un sindacato preventivo del giudice e per effetto della sola scelta discrezionale del concessionario della riscossione. Sono pochi gli autori che, soprattutto dopo le modifiche del 2001, dubitano che il fermo svolga una funzione almeno lato sensu cautelare[23]: oggi la sola condizione all'adozione del fermo è l'inutile decorso del termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento (oltre alla comunicazione del c.d. “preavviso di fermo”, imposto dalla prassi). La dottrina ha anche osservato come tale funzione cautelare appaia tuttavia svincolata dai requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora[24]: il tema è collegato a quello, più ampio, dei limiti all'(ab)uso del fermo[25] che non si evincono chiaramente dalla norma e che tuttavia dovrebbero trarsi dal principio di proporzionalità (in un'ottica pubblicistica) o dalla clausola generale di buona fede (in un'ottica privatistica).
C) Il sospetto di una funzione “parasanzionatoria” o afflttiva
Confrontando gli istituti del fermo e del pignoramento alcuni autori hanno altresì avanzato il dubbio che il primo manifesti un'efficacia addirittura superiore rispetto all'altro: esso infatti, oltre a produrre effetti ablatori sulla libertà di circolazione del destinatario e sul diritto di disporre di un bene mobile di sua proprietà, da una parte non è soggetto a controlli preventivi, dall'altra produce effetti permanenti, non condizionati al successivo pagamento, revocabili solo a mezzo di un contrarius actus[26]. In effetti, la peculiarità dell'istituto indurrebbe a ritenere verosimile che il fermo dell'automezzo costituisca uno strumento di coazione indiretta a disposizione dell'organizzazione della riscossione (in senso ampio), ovvero un mezzo di induzione del debitore moroso al pagamento spontaneo[27]. Uno spunto in tal senso può cogliersi, forse, anche da quella prassi che ha indicato ai concessionari della riscossione – precorrendo in un certo senso l'art. 10 bis della legge n. 241/90, introdotto dalla Legge 15/2005 – l'opportunità di far precedere all'iscrizione del fermo nei pubblici registri “una comunicazione”, ovvero un “preavviso di fermo”[28]. Ove questo sospetto fosse fondato, si possono fin d'ora evidenziare talune perplessità in ordine alla tenuta costituzionale dello strumento in esame. La prima riguarda gli artt. 1 e 4 della Costituzione: se si pensa che l'auto è oggi, per moltissime persone, innanzitutto uno - spesso insostituibile - strumento di lavoro, l'amplissima discrezionalità del concessionario nell'interferire con il diritto al lavoro tradisce un'incongruenza di fondo con il dovere della Repubblica di “promuove(re) le condizioni che rendano effettivo questo diritto”[29]. La seconda riguarda i principi di ragionevolezza e di uguaglianza sostanziale, sanciti dall'art. 3 della Costituzione: infatti l'efficacia del fermo – come delineato dalla norma e dal regolamento attuativo - è direttamente proporzionale alla debolezza del destinatario, ovvero all'incapacità di questi di sostituire il mezzo fermato con un altro.
6. La natura del fermo
A fronte della complessità del dibattito dottrinario e del ventaglio di soluzioni prospettate, e ravvisata l'opportunità di astenersi da definizioni troppo nette e inevitabilmente imprecise, la negazione, da parte dell'ordinanza in commento e del suo più articolato precedente (Sez. Unite, ord. n. 2053/2006), della peculiarità dell'istituto e la conseguente affermazione della funzione esclusivamente esecutiva del fermo non sono pienamente condivisibili. Meglio prendere atto, a parere di chi scrive, del carattere variegato del fermo, ritenendo compatibili (con le dovute precisazioni) le tre funzioni sopra descritte prima di accingersi all'analisi dell'opzione realmente ineluttabile: quella “tra la natura provvedimentale (atto amministrativo discrezionale) e quella privatistica (diritto potestativo)”[30]. Attribuire al fermo una funzione cautelare non condiziona l'individuazione del giudice competente; viceversa, altrettanto non può dirsi laddove – come fanno le Sezioni Unite – l'atto sia considerato essenzialmente esecutivo, poiché una simile premessa implica il riconoscimento di una natura privatistica e l'attribuzione delle relative controversie al giudice ordinario. La teoria privatistica sostiene in sintesi che “la disciplina del fermo recata dall'art. 86, D.P.R. n. 602/1973 non attribuirebbe al concessionario poteri di natura amministrativo-tributaria, propri dell'amministrazione, bensì si muoverebbe nella logica (propria del diritto comune) dell'attribuzione (al creditore) di strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione del credito, sia pure con le peculiarità connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione coattiva”[31]. Il potere genericamente previsto dalla norma dell'art. 86 (il concessionario “può” disporre il fermo amministrativo) non avrebbe natura autoritativa e discrezionale in vista degli interessi pubblici specifici affidati alla cura dell'amministrazione concedente, ma sarebbe da collocare concettualmente “nel quadro dei diritti potestativi del creditore (quale è quello di promuovere atti conservativi sul patrimonio del debitore in vista della esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale collocazione e nel giudice ordinario quello naturale, in quanto la soggezione del debitore all'esercizio della potestà ha la sua fonte nel debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla sua estinzione (con i mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione”[32]. Ma l'autorevole statuizione delle Sezioni Unite non ha convinto né il Consiglio di Stato (che nelle due ricordate pronunce ha manifestato ampiamente il suo dissenso), né la dottrina, né in definitiva il Legislatore. La Sezione VI del Consiglio di Stato[33], sostenuta da una parte cospicua della dottrina[34], ha difeso strenuamente la tesi opposta: quella secondo cui il fermo è a tutti gli effetti “un provvedimento amministrativo di autotutela conservativa del patrimonio del debitore tributario”[35]. Gli argomenti a sostegno di questa interpretazione non mancano:
● La differenza sostanziale tra l'espropriazione forzata disciplinata nel codice di procedura civile e quella esattoriale: la prima è inserita in un processo giurisdizionale, la seconda avviene nelle forme di un procedimento amministrativo di tipo ablatorio o requisitorio[36].
● La deroga espressa al generale divieto di “patto commissorio” (art. 2744 c.c.): al creditore pubblico è permesso ciò che è assolutamente vietato al privato. Il primo è infatti legittimato ad avvalersi di strumenti di autotutela conservativa dagli effetti analoghi ad un sequestro conservativo senza alcun vaglio preventivo dell'autorità giudiziaria.
● Il dato storico: prima del 2001 il potere di disporre il fermo spettava all'Autorità amministrativa (il concessionario aveva solo il potere di iniziativa) e non ci sarebbero elementi per ritenere che la sola attribuzione diretta al concessionario (legato a quella stessa autorità da un rapporto pubblicistico di concessione) sia idonea a mutare la natura del potere[37].
● Il dato letterale: anche la versione novellata dell'art. 86 D.P.R. n. 602/73, continua a parlare di un “provvedimento” di fermo da eseguire mediante iscrizione nei registri mobiliari.
● Il profilo sanzionatorio: la natura amministrativa della sanzione comminata per la violazione del fermo amministrativo è in netta contraddizione con la sua pretesa natura di strumento civilistico.
● Gli effetti permanenti: per la cancellazione del fermo, occorrendo infatti che il concessionario adotti un provvedimento di revoca del fermo. Solo l'atto di revoca esibito dal contribuente al P.R.A. consentirà di ottenere la cancellazione della misura (secondo la regola del contrarius actus[38]). Viceversa, se il fermo fosse un atto iure privatorum l'adempimento dovrebbe di per sé essere sufficiente a farne venire meno gli effetti.
● La procedimentalizzazione: la scansione del procedimento di iscrizione del fermo contenuta nel D.M. n. 503/1998 (avviso di avvio del procedimento, adozione del provvedimento di fermo, revoca del provvedimento) e la cospicua serie di circolari e note dell'Agenzia delle Entrate inducono ulteriormente ad escludere la prospettazione del fermo come attività materiale funzionale alla tutela del credito[39]. Si osservi anche, a tale ultimo riguardo, che l'area applicativa dello Statuto dei diritti del contribuente copre a pieno titolo i provvedimenti di fermo emessi dai concessionari della riscossione, obbligandoli ad esplicitare ai sensi dell'art. 3 della Legge sul procedimento amministrativo la motivazione dei loro provvedimenti e a indicarne i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche (oltre a specificare tutti gli elementi di cui all'art. 7)[40]: ciò costituisce solido e ulteriore elemento a favore della natura amministrativa del fermo.
7. Il problema della giurisdizione sul fermo, in particolare dopo il “decreto Bersani”
Si comprende, a questo punto, come le conseguenze in punto di giurisdizione che si traggono dalle due opposte visioni siano esattamente speculari, in applicazione della regola dettata dalla sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale[41] che a tutti ha ricordato la regola generale del riparto di giurisdizione: laddove ci sia esercizio di potere amministrativo la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo. Tuttavia, proprio il carattere tautologico di questa regola (che rischia di spostare semplicemente l'annoso problema dell'individuazione dell'interesse legittimo su quello altrettanto complesso dell'individuazione del potere amministrativo) ha fatto sì che la medesima pronuncia sia stata richiamata da entrambi gli schieramenti a sostegno delle rispettive, opposte conclusioni. La dottrina e la giurisprudenza che hanno sostenuto la teoria amministrativa prima dell'intervento del D.L. 223/2006 hanno scartato quasi univocamente l'ipotesi della giurisdizione tributaria, limitandosi a considerare la sola alternativa “giudice dei diritti – giudice degli interessi legittimi”, generalmente opinando nel senso che fosse la lacuna nell'elencazione degli atti impugnabili innanzi al Giudice tributario (art. 19 del D.lgs. 546/1992) ad escludere questa terza opzione[42]. Il decreto Bersani è intervenuto proprio su questa elencazione, così – sembrerebbe – lasciandosi alle spalle l'articolato dibattito su funzioni e natura del fermo amministrativo. Eppure, viene da chiedersi se il Legislatore abbia raggiunto il suo scopo o se l'annosa querelle abbia tuttora ragione d'essere. In effetti, la novella del 2006 non ha apportato modifiche sostanziali all'art. 2 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, norma che delimita l'oggetto della giurisdizione tributaria[43]. È ovvio, infatti, che l'individuazione degli atti impugnabili è un posterius rispetto al prius logico-giuridico del riconoscimento della giurisdizione. Da ciò deve evincersi la volontà del Legislatore di non estendere la giurisdizione oltre il limite delle “controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”, e di chiarire, semmai, che il fermo, pur “successivo alla notifica della cartella di pagamento”, non rientra tra “gli atti della esecuzione forzata tributaria”. Quindi, anche dopo il decreto Bersani, persistono provvedimenti di fermo sottratti alla cognizione del giudice tributario: si tratta dei “fermi disposti per entrate diverse da quelle tributarie, come per il pagamento delle sanzioni amministrative derivanti da violazione del Codice della strada o per contributi previdenziali”[44]. In tal senso depone la constatazione che il D.P.R. 602/73 e il suo modello di riscossione mediante ruolo (alternativo alla procedura esecutivo), in origine circoscritto alle sole imposte sul reddito, è stato via via esteso a numerosi altri generi di entrate pubbliche[45]. Si è estesa, per questa via, l'utilizzabilità del fermo[46], ma non la giurisdizione del giudice tributario: ciò che già era evidente dalla lettura del citato art. 2 D.lgs. 546/92, trova ulteriore conferma nell'art. 29 del D.lgs. 46/1999, recante “Garanzie giurisdizionali per entrate non devolute alle commissioni tributarie”. Il fermo di cui all'art. 86 può dunque essere disposto dal concessionario tanto a tutela di crediti di natura tributaria (e in questo caso rientra pacificamente nella giurisdizione tributaria), tanto a tutela di quelli extra-tributari: per questi ultimi, il problema della giurisdizione è più vivo che mai e vede tutt'oggi “l'un contro l'altro armate” le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la Sezione VI del Consiglio di Stato[47]. Per l'operatore giuridico questo “scontro tra titani” lascia poche alternative: per insorgere contro le “ganasce fiscali” – a fronte di un debito non tributario – occorre adire il giudice ordinario, secondo le univoche indicazioni del Giudice Regolatore della giurisdizione.
8. Problemi di legittimità costituzionale
Fuori dalle aule giudiziarie, è però giusto che si dia conto delle perplessità relative alla soluzione offerta dalle Sezioni Unite: perplessità alimentate dalle corpose argomentazioni contrarie fatte proprie dalle due ordinanze del Consiglio di Stato, dalle osservazioni della dottrina, nonché dal recente intervento del Legislatore che impone il confronto tra la tutela offerta dal giudice ordinario avverso provvedimenti di fermo per crediti non tributari e quella offerta dal giudice tributario per quanto di sua competenza. Lo stato dell'arte non soddisfa e non si sottrae a talune censure di illegittimità costituzionale del sistema, ma il Giudice delle Leggi non è ancora stato messo in condizione di pronunciarsi sul merito delle questioni sollevate[48]. È stata contestata l'assenza di un termine finale di efficacia del fermo amministrativo[49], sia sotto il profilo dell'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle norme di procedura civile sulla cessazione dell'efficacia del precetto e del pignoramento (artt. 481 e 497 c.p.c.), che sotto quello dell'incoerenza con le rigide preclusioni temporali che contraddistinguono le attività della riscossione. È stato altresì posto il problema dell'assenza di un parametro di proporzionalità nella graduazione discrezionale della misura da parte dei concessionari (differentemente da quanto previsto dall'art. 77 che limita l'iscrizione di ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati ad un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede)[50]. Un'ulteriore profilo problematico attiene la violazione da parte dei decreti legislativi che nel 1999 e nel 2001 della delega contenuta nella Legge 28 settembre 1998, n. 337[51]: questa non prevedeva in alcun modo l'attribuzione diretta ai concessionari del potere di disporre il fermo e dunque la norma attuale violerebbe l'art. 76 Cost.[52]. Al momento si attende una pronuncia della Corte Costituzionale che chiarisca definitivamente la defatigante (e poco edificante[53]) querelle più specificamente attinente la giurisdizione: è stata la VI sezione del Consiglio di Stato a denunciare il difetto di tutela che deriva dal riparto di giurisdizione come definito dal “diritto vivente”[54], denunciando come il giudice indicato dalle Sezioni Unite sia sprovvisto del sindacato pieno sull'atto amministrativo e del potere di annullare l'atto e impossibilitato a sindacare la motivazione del provvedimento e la sproporzione tra l'entità della misura e il credito erariale[55]. Anche la dottrina ha messo ampiamente in risalto le carenze del sistema di tutela offerto dalla giurisdizione ordinaria rispetto al fermo amministrativo, evidenziando i seguenti aspetti problematici: 1. Opponibilità del fermo ex art. 617 c.p.c. solo per motivi formali, non potendo essere eccepiti eventuali vizi di legittimità (sub specie di eccesso di potere, in particolare) del provvedimento: ciò si evince dai limiti severi all'opposizione e agli atti esecutivi posti dall'art. 57 del D.P.R. 602/73[56]. 2. Limiti obbiettivi della tutela d'urgenza ex art. 700 c.p.c., essendo questa semplicemente rivolta ad anticipare gli effetti della decisione di merito, decisione il cui esito sarebbe certamente condizionato dalla preesistenza di un diritto di credito dell'Amministrazione accertato e reso esecutivo dall'iscrizione a ruolo[57]. Si dubita, poi, che il provvedimento inibitorio favorevole al debitore possa anche disporre la cancellazione dell'iscrizione del fermo[58]. Infine, e comunque, il destinatario del fermo sarebbe gravato dell'onerosa dimostrazione del “danno grave ed irreparabile”. È stato altresì denunciato che la tesi propugnata dalle Sezioni Unite, dovendo confrontarsi con il citato art. 57 D.P.R. 602/73, si traduce in una tutela talmente circoscritta da comportare “una sostanziale negazione di qualsiasi tutela giurisdizionale, non adeguandosi i rimedi previsti alla lesione della situazione soggettiva causata dal fermo”[59]. Dopo l'intervento del legislatore nel 2006 una parte dei provvedimenti di fermo (quelli fondati su crediti di natura tributaria) possono essere impugnati innanzi alle Commissioni tributarie per vizi loro propri: questo modello di tutela caducatoria si impone positivamente quale “soglia minima” di tutela avverso la generalità dei provvedimenti di fermo, al di sotto della quale la disparità di trattamento di situazioni analoghe rischierebbe di risultare irragionevole e contraria all'art. 3 della Costituzione. Sotto questo profilo, si deve ritenere che il giudizio innanzi ai T.A.R. - tradizionalmente impugnatorio – sia in grado di offrire al cittadino una tutela maggiore rispetto a quella offerta dai Tribunali ordinari.
9. Conclusioni
Dopo le tre pronunce delle Sezioni Unite e le due ordinanze di rimessione della VI Sezione del Consiglio di Stato, una decisione chiara e risolutiva della Corte Costituzionale è più che mai auspicabile. Pronosticarne l'esito è arduo. Oggi, tuttavia, un'interpretazione “costituzionalmente orientata” del quadro normativo sarebbe possibile: il Legislatore – attribuendo la cognizione su una parte delle controversie generate dal fermo alle Commissioni tributarie - ha, di fatto, implicitamente collocato il provvedimento in esame al di fuori dell'esecuzione forzata. Infatti, se rimanesse valida la soluzione offerta dalle Sezioni Unite (il fermo come atto esecutivo di matrice privatistica), la soluzione adottata dal Legislatore non sarebbe stata nemmeno ipotizzabile, considerato il limite di cui all'art. 2 del D.lgs. 546/1992[60]. Se ciò è vero, dal momento che pochi dubbi residuano circa la natura pubblicistica ed autoritativa dell'atto che la norma stessa definisce “provvedimento”, tanto basterebbe per riconoscere una volta per tutte la giurisdizione del Giudice amministrativo sul fermo (extra tributario): sarebbe sufficiente applicare il criterio dettato dalla sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, che riserva al Giudice ordinario le sole controversie in cui la P.A. opera alla stregua di un privato, senza esercizio di poteri autoritativi. In un quadro simile la Corte potrebbe chiarire ogni dubbio anche con una sentenza interpretativa di rigetto. Diego, M. Miele dmmiele@yahoo.it
[1] Cass., sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2053 (ord.), con commento di AMENDOLAGINE, Fermo amministrativo e giurisdizione, in Arch. giur. circ. sin. Strad., 2006, 6, 595; Cass., sez. un., 23 giugno 2006, n. 14701 (ord.), in Corr. Giur., 2006, 7, 920. [2] A parte la sconfinata giurisprudenza di merito dei giudici ordinari, amministrativi, tributari (ciascuno dei quali ha avuto modo di rivendicare la giurisdizione in esame per motivi diversi), i mesi immediatamente precedenti hanno visto il susseguirsi di numerosi pronunce dei rispettivi massimi organi giurisdizionali: Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2005 n. 4689, in Dir. Giust. - D&G, quotidiano del 15 settembre 2005, reperibile on line sul sito internet www.dirittoegiustizia.it, prendendo le distanze da svariati precedenti contrari di primo grado, negò la giurisdizione del giudice amministrativo; sulla stessa scia Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 412, in Giurisd. Amm., 2006, 1-2, I, 181. Intervenne, poi, attestandosi su posizioni nettamente contrarie, Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2006, n. 2032, con commento di GLENDI, in Corriere Tributario, 2006, 30 e in Corr. Giur., 2006, 9, 1207. Ad aprile e giugno giunsero le due ordinanze delle Sezioni Unite di cui alla nota precedente: la seconda in particolare (Sez. unite, ord. n. 14701/2006), contestava con decisione la tesi sostenuta dalla VI sezione del Consiglio di Stato, il quale giudice, però, ribadiva la sua posizione con l'ordinanza 18 luglio 2006, n. 4581, in Giurisd. Amm., 2006, 7-8, 1091. Con le due ordinanze della Sezione VI del Consiglio di Stato è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 49, 57, 86, D.P.R. n. 602/1973, e degli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546/1992 in relazione agli articoli 3, 16, 41 e 42, Cost... [3] L'allegato alla Legge 4 agosto 2006, n. 248 ha infatti inserito un comma 26-quinquies nell'art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 che ha modificato l’articolo 19, comma 1°, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Conseguentemente, dal giorno successivo alla pubblicazione della legge nella G.U. 11-08-2006, n. 186, Supplemento Ordinario, il fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni è stato formalmente inserito tra gli atti rimessi alla cognizione del giudice tributario. [4] L'epiteto parrebbe essere stato coniato da SPAGNOLETTI, Le “ganasce” fiscali: breve storia del fermo amministrativo dei beni mobili registrati in sede di riscossione di entrate mediante ruolo, tra problemi sostanziali e processuali (con qualche riserva sulla legittimità costituzionale dell'istituto), nota a T.A.R. Puglia, sede di Bari, sez. I (ord.), 5 marzo 2003, n. 216, già pubblicata sulla rivista telematica www.giust.it, 2003, 3, ora su www.lexitalia.it. [5] D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada, art. 214, comma 8°, che così recita: “Chiunque circola con un veicolo sottoposto al fermo amministrativo, salva l'applicazione delle sanzioni penali per la violazione degli obblighi poste in capo al custode, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 656 a euro 2.628. E' disposta, inoltre, la confisca del veicolo”. [6] Per un'attenta disamina degli effetti del provvedimento di fermo alla luce del regolamento attuativo del 1998, nonché per la testimonianza dell'attenzione che i media hanno riservato alla questione, v. SPAGNOLETTI, cit.. [7] V. il caso su cui si è pronunciato Trib. Bari, 20 dicembre 2005, n. 2713, con commento di AMENDOLAGINE, Brevi osservazioni sull'illegittima adozione del provvedimento di fermo amministrativo di beni mobili registrati e sulla risarcibilità del danno, in Arch. Giur. Circ. e Sin. Strad., 2006, 4, 401. [8] La modifica fu apportata dall'art. 5, comma c. 4°, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30. L'art. 91 bis nella sua formulazione originaria prevedeva: “Qualora in sede di riscossione coattiva di crediti iscritti a ruolo non sia possibile, per mancato reperimento del bene, eseguire il pignoramento dei veicoli a motore e degli autoscafi di proprietà del contribuente iscritti nei pubblici registri, la direzione regionale delle entrate ne dispone il fermo. Il provvedimento di fermo di cui al comma 1 si esegue mediante iscrizione nei registri mobiliari a cura del concessionario che provvede, altresì, a darne comunicazione al debitore. Chiunque circoli con veicoli o autoscafi sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dall'articolo 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalità, i termini e le procedure per l'attuazione di quanto previsto nel presente articolo”. [9] Adottato dal Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro dell'Interno e con il Ministro dei Lavori Pubblici. [10] Parte della dottrina e della giurisprudenza afferma la natura esecutiva del fermo proprio sulla base di questo dato positivo, facendo osservare che oggi il fermo risulta collocato nel titolo del D.P.R. 602/73 relativo agli atti della riscossione (titolo II) e nel capo III rubricato “Disposizioni particolari in materia di espropriazione di beni mobili registrati”, in immediata successione al capo II, intitolato "Espropriazione forzata". [11] Unico vincolo espresso cui deve attenersi il concessionario è l'inutile decorso del termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento (art. 50, comma 1° del D.P.R. n. 602/73). [12] In giurisprudenza v. ex multis Trib. Torino, 7 luglio 2004 (decr.) e 16 luglio 2004 (ord.), Trib. Bari, 7 maggio 2003, tutte in Foro it., 2005, I, col. 570; Cons. Stato, 13 luglio 2004, n. 3259 e TAR Lazio, 24 giugno 2004, n. 3402, entrambi in Foro it., 2005, III, col. 66. [13] In tal senso l'indicazione della prassi: v. Circolare del Ministero delle finanze, Dipartimento delle entrate, Direzione centrale della riscossione, n. 221/E del 24 novembre 1999 in Fisco, 1999, 45, 14023 e Agenzia delle entrate, Risoluzione n. 64/E del 1 marzo 2002, in Fisco, 2002, 12, II, 1696. I due provvedimenti hanno ritenuto di apportare limitate correzioni al regolamento del 1998: v. PALMOSI, Profili attuali sulla natura e giurisdizione del fermo ex art. 86 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in Rass. Trib., 2005, 1, 198-199. In giurisprudenza v. Giudice di pace Milano, 16 gennaio 2003, in Boll. Trib., 2003, 1258; Trib. Bari, 7 maggio 2004, in Boll. Trib, 2004, II, 425; T.A.R. Veneto, 15 gennaio 2003, n. 886, in Fisco, 2003, 16, I, 2522; Trib Brindisi, 16 dicembre 2002, in Giur. it., 2003, 915. [14] La problematica è trattata diffusamente in TATANGELO, Appunti sulla natura e gli effetti del fermo di beni mobili registrati disposto dal concessionario del servizio di riscossione ai sensi dell'art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e sulle forme di tutela avverso lo stesso, in Riv. Esecuz. Forz., 2005, 3, 553 ss.. L'Autore motiva ampiamente la sua adesione alla tesi della ultrattività del regolamento attuativo. [15] L'art. 3, comma 41° del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248 recita: “Le disposizioni dell'articolo 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, si interpretano nel senso che, fino all'emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel decreto del Ministro delle finanze 7 settembre 1998, n. 503”. L’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione 9 gennaio 2006, n. 2/E, a correzione delle istruzioni precedentemente impartite ai concessionari della riscossione con la Risoluzione 22 luglio 2004, n. 92 perchè sospendessero l'adozione di provvedimenti di fermo amministrativo, invitava a prendere atto della novità. [16] La prassi ha constatato il ricorso al fermo da parte dei concessionari anche per crediti di importo contenuto, con conseguenti problemi di compatibilità con il “principio di proporzionalità”. Sul punto, v. SPAGNOLETTI, cit., nonché PUCCIARIELLO, Il fermo di beni mobili registrati ex art. 86 D.P.R. 602/73, in Riv. Esecuz. Forz., 2005, 1, 99. [17] L'art. 69, comma 6° del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 è probabilmente il modello concettuale anche del fermo ex art. 86 D.P.R. 602/73. In merito al risalente ma ancora attuale istituto si rinvia alla specifica bibliografia e alla giurisprudenza citata da SPAGNOLETTI, cit., note nn. 22 e 23. [18] Così Corte Cost., 23 aprile 1972, n. 67, reperibile on line all'indirizzo web www.cortecostituzionale.it. Per una recente, autorevole statuizione in materia, si veda Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2005, n. 967, con nota di MATTARELLA, in Giorn. dir. Amm., 2005, 10, 1059: in questa occasione il Giudice amministrativo ha infatti inteso sottolineare il carattere eccezionale dell'istituto “che consente alle amministrazioni statali, in deroga ai principi generali, di ottenere la sospensione, in via cautelare e provvisoria, del pagamento di somme dovute anche da parte di altre amministrazioni in presenza di una ragione di credito non definitivamente accertata” e l'interpretazione necessariamente restrittiva delle norme che lo disciplinano. [19] TATANGELO, cit., 560-561; AMENDOLAGINE, Brevi osservazioni, cit., 405. In senso contrario ad un'assimilazione tra i due istituti v. PALMOSI, cit., 193. [20] Cass. Civ., Sez. unite, 2053/2006, cit. che così argomenta: “Dalla collocazione delle norme ora citate ... si ricava che il fermo amministrativo di beni mobili registrati del debitore d'imposta è preordinato all'espropriazione forzata. Ne fa fede il fatto che il rimedio s'inserisce nel processo di espropriazione forzata esattoriale, il quale è segnato dalle seguenti tappe: a) l'iscrizione del credito a ruolo (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49); b) la notificazione al contribuente della cartella di pagamento al fine della decorrenza del termine dilatorio per l'inizio dell'esecuzione (stesso D.P.R., art. 50); c) la possibilità di iscrivere il fermo nei registri mobiliari (art. 51 del medesimo decreto)”. [21] Si vedano al riguardo, più diffusamente, PALMOSI, cit., 188-189 e GLENDI, cit., 2372, che rinvia al testo di ALLORIO, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 560. [22] v. PUCCIARIELLO, cit., 99 ss. per un'utile rassegna della giurisprudenza favorevole alla tesi dell'atto esecutivo, dalla quale si evince la grande varietà di definizioni fiorite attorno a questa presa di posizione: “forma speciale di riscossione coattiva”, “strumento aggiuntivo rispetto agli atti classici e tipici dell'esecuzione forzata”, “atto esecutivo speciale”, “misura esecutiva ad efficacia temporanea”, “misura simile al pignoramento”. [23] Infatti, mentre prima del 2001 il fermo era condizionato al mancato reperimento del bene da pignorare (presupponendo quantomeno un tentativo di avvio del procedimento esecutivo, la ricerca dei beni da pignorare e l'esito infruttuoso del pignoramento), nel testo vigente dell'art. 86 esso è stato completamente svincolato dall'inizio del procedimento di esecuzione forzata (segnato dal pignoramento). [24] v. TATANGELO, cit., 551: “per quanto attiene alla sussistenza del diritto di credito del concessionario, è infatti sufficiente l'esistenza dell'iscrizione a ruolo della relativa pretesa, che costituisce titolo esecutivo, mentre il pericolo nel ritardo sembrerebbe di fatto tipizzato e presunto in via assoluta dalla norma”. [25] Sia la giurisprudenza ordinaria che quella amministrativa hanno avuto ben presente il problema della proporzionalità della misura rispetto all'ammontare del credito e alle condizioni soggettive del debitore: Trib. Brindisi, Sez. Ostuni, 29 luglio 2002, in Giur. it., 2003, 916, con nota di DOMINICI, accoglieva l'istanza di sospensione della misura cautelare del fermo ex art. 700 c.p.c. giudicando la misura adottata del tutto “sproporzionata ed irragionevole rispetto all'entità del credito vantato”; T.A.R. Puglia, sede di Bari, 5 marzo 2003, n. 216 (ord.), 3 aprile 2003, n. 537 e 18 aprile 2003, n. 1764, in Giust. Trib., 2003, 10, 975 ss., ravvisava una carenza di motivazione nella mancata enucleazione delle “specifiche esigenze che giustificano l'adozione della misura cautelare in rapporto all'entità del credito tributario”. Contra: altra parte della giurisprudenza che ha invece ritenuto il profilo del fumus boni iuris assorbito dalla sola comprovata esistenza di in credito erariale non contestato: v. T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, sez. II, 8 aprile 2002, n. 904, in Foro amm. - TAR, 2002; Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1909, in Foro amm. - CDS, 2002. [26] Si rinvia alle osservazioni di PALMOSI, cit., 189, nota 13, che cita anche ROSSI, in Fisco, 2004, 34, I, 5818 e SCORDO, in Fisco, 2003, 19, I, 2907. [27] Sostiene l'avvenuta trasformazione del fermo in strumento di coercizione LAMBERTI, Il fermo degli autoveicoli arriva in Consiglio di Stato, nota a commento di Consiglio di Stato, Sez. IV, Ord. 13 luglio 2004, n. 3259, in Corriere tributario, 33 / 2004, p. 2612. [28] Il comunicato stampa dell'Agenzia delle Entrate del 9 aprile 2003, n. 57413 dichiara l'obiettivo del preavviso: offrire al contribuente moroso “un’ulteriore possibilità di effettuare il pagamento delle somme iscritte a ruolo, senza incorrere nei disagi del “blocco” dell’auto”. [29] PALMOSI, cit., 202, nota n. 52, affrontando la questione del limite di proporzionalità del fermo, argomenta in ordine all'applicabilità dell'art. 514, comma 1°, n. 4) c.p.c. (impignorabilità dei beni strumentali all'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore), norma tesa palesemente a consentire al debitore di continuare a vivere del proprio lavoro. La disposizione è stata tuttavia soppressa dall'art. 3, comma 1°, Legge 24 febbraio 2006, n. 52, a decorrere dal 1° marzo 2006. [30] TATANGELO, cit., 552. [31] Per dettagliati riferimenti alla più risalente giurisprudenza favorevole al riconoscimento della giurisdizione ordinaria, si può rinviare a AMENDOLAGINE, Brevi osservazioni sull'illegittima adozione del provvedimento di fermo amministrativo di beni mobili registrati e sulla risarcibilità del danno, nota a commento di Tribunale Bari, 20 dicembre 2005, n. 2713, in Arch. giur. circ. e sin. strad., 2006, 4, 406, note nn. 15 e 16. [32] In questi termini si è espressa quella parte del Consiglio di Stato che si è adeguata alle pronunce del Giudice della giurisdizione: Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2005 n. 4689 e sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 418, cit.. [33] Cons. Stato, sez. VI, ordinanze 14 marzo 2006, n. 2032 e 8 luglio 2006, n. 4581, cit. [34] v. AMENDOLAGINE, che dall'ampia discrezionalità del concessionario e dagli effetti inibitori del fermo ne desume la natura “ibrida”; PALMOSI, cit.; PUCCIARIELLO, cit., anch'egli a favore della pluralità di funzioni; SPAGNOLETTI, cit., che ricostruisce il fermo in termini di misura parasanzionatoria; TATANGELO, cit., che riconosce comunque – attesa la sua funzione composita - spazi di tutela innanzi a ordini giudiziari diversi per diversi profili di tutela; lo stesso GLENDI, cit., secondo cui la natura amministrativa implicava la giurisdizione del Giudice tributario già prima della riforma del 2006. [35] Per ulteriori precedenti giurisprudenziali a favore della giurisdizione amministrativa v. ancora AMENDOLAGINE, cit., 406, note nn. 15 e 16. [36] Parla di “autotutela esecutiva” GLENDI, nota a commento di Cons. Stato, 13 aprile 2006, n. 2032 (ord.), in Corr. Trib, 2006, 30, 2373. [37] Oltretutto il biennio 2005-2006 ha assistito alla soppressione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione e alla contestuale creazione di una holding pubblica della riscossione – la Riscossione s.p.a. - a totale capitale pubblico, i cui soci sono l’Agenzia delle Entrate, con una partecipazione pari al 51% del capitale sociale e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – I.N.P.S., con una partecipazione pari al 49% del capitale sociale. Si vedano l'art. 3 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modifiche dalla Legge 02 dicembre 2005, n. 248 e gli artt. 1 e 2 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modifiche dalla Legge 24 novembre 2006, n. 286. La riforma rinvigorisce la sussumibilità del fermo entro gli schemi concettuali del “atto materialmente amministrativo”, su cui vgs. ampiamente PALMOSI, cit., 200 ss.. [38] L'attuale modello normativo della revoca è offerto ora dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 quinquies . [39] V. in terminis l'intervento interpretativo del 2005: supra, nota n. 15. [40] La formulazione dell'art. 17 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 sul punto è chiara. [41] Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204, con nota di BENINI e commento di TRAVI, La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e FRACCHIA, La parabola del potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione «esclusiva» alla giurisdizione del giudice amministrativo, in Foro it., 2004, I, col. 2594; con note di CLARICH e di POLICE, in Giornale dir. amm. 2004, 9, pag. 969; con nota di CONTI, in Urb. e app. 2004, 9, pag. 1031; con nota di LOTTI, in Urb. e app. 2004, 11, pag. 1275. [42] Con la significativa e autorevole eccezione di una parte della dottrina: GLENDI, nota a commento, cit., 2376, riteneva “inconferente ed erroneo” l'argomento secondo cui gli atti elencati dall'art. 19 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 costituirebbero un numerus clausus. La lettera i) include “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie”: la regola non sarebbe, dunque, quella della tassatività, ma piuttosto quella - flessibile - della “predeterminazione normativa” degli atti autonomamente impugnabili, che consentirebbe il “collegamento del fermo ... all'indietro con gli atti della riscossione suscettibili di autonoma impugnazione”. v. anche ID., Il Consiglio di Stato cambia opinione sul fermo degli autoveicoli, nota a commento di Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2004, n. 7181 (ord.), in Corriere tributario, 2004, 41, 3232. [43] Si veda, in particolare, il 1° comma dell'art. 2 (Oggetto della giurisdizione tributaria): “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”. [44] Il problema è posto da PUCCIARIELLO, cit., 137. [45] L'estensione delle disposizioni sulla riscossione mediante ruolo avviene secondo le indicazioni contenute nel capo II del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46: da questa cospicua serie di norme si evince senza troppa difficoltà la volontà del Legislatore di sottrarre una parte indefinita delle entrate pubbliche alle procedure esecutive del codice di procedura civile, secondo il ben noto favor nei confronti del creditore erariale. [46] L'art. 86 non compare nell'elenco delle disposizioni escluse dall'estensione di cui agli artt. 19 e 20 del D.lgs. 46/1999. [47] Si noti al riguardo che, anche per i provvedimenti rimessi alla cognizioni delle Commissioni tributarie, lo Statuto dei diritti del contribuente prevede che “La natura tributaria dell'atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” (Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 4°). [48] Hanno dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni sottoposte al loro vaglio: Corte Cost. 7 aprile 2006, n. 149 (ord.), su rimessione del Giudice di pace di Menfi, con commento di AMENDOLAGINE, in Giud. Pace, 2006, 4, 283; 22 luglio 2005, n. 318 (ord.), su rimessione del Giudice di pace di Sorgono; 24 giugno 2004, nn. 188 e 189, su rimessione del Tribunale di Sulmona e del Giudice di pace di Bianco, queste ultime disponibili sul sito web www.cortecostituzionale.it. [49] Termine che TATANGELO, cit., 556, suggerisce di ricavare per via interpretativa da altre norme del D.P.R. 602/73 proprio per dare alle norme una direzione applicativa compatibile con la Costituzione (artt. 3 e 24). [50] Sul punto e, più in generale, sulla possibilità che l'innegabile elasticità o genericità delle norme in materia di fermo possa integrare violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di “abuso di delegificazione dell'attività amministrativa” (art. 97 Cost.), si rinvia a PUCCIARIELLO, cit., 135, oltre che a Corte Cost. 188 e 189/2004, ordd. citate. [51] Sebbene la delega prevedesse un termine di sei mesi per l'attuazione da parte del Governo, oltre al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, anche il D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193 ha preteso di dare attuazione alla Legge 337/98. [52] Sul punto v. ampiamente, oltre alla citata Corte Cost. 318/2005, le osservazioni di SPAGNOLETTI, cit.. [53] Il fatto stesso che il destinatario sia esposto al rischio di fallire l'individuazione del giudice competente tradisce, infatti, quella esigenza di certezza che è alla base del diritto di difendere i propri diritti soggettivi ed interessi legittimi, sancito dall'art. 24 Cost. e dall'art. 6, comma 1° della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali. [54] Il Giudice delle Leggi è stato chiamato a pronunciarsi sull'asserito contrasto degli artt. 49, 57, 86, D.P.R. n. 602 del 1973 e degli artt. 2 e 19, D.lgs. n. 546 del 1992 con gli artt. 3, 16, 41 e 42 Cost.: l'assenza di un'idonea rete di garanzie giurisdizionali avverso i provvedimenti di fermo espone ad un rischio ingiustificato la libertà di circolazione dei cittadini, la proprietà privata e l'iniziativa economica privata. [55] Vige tuttora il divieto per il giudice ordinario di conoscere in via principale il provvedimento amministrativo: l'art. 4 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato E prevede che “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio”. Ai tribunali ordinari è riservato il solo potere di disapplicare in via incidentale l'atto illegittimo. [56] Scartato il riferimento all'art. 615 c.p.c., che risulterebbe inconferente per la differenza tra fermo e pignoramento, si potrebbe proporre opposizione ex art. 617 c.p.c., ma non per vizi attinenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo: v. TATANGELO, cit., 563-565. [57] v. PALMOSI, cit., 191-192. [58] v. diffusamente TATANGELO, cit., 564-565. [59] In terminis: GLENDI, nota a commento, cit., 2372. [60] Art. 2 del D.lgs. 546/1992: “... Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento ...”.