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L’Italia condannata dalla Corte UE in materia di veicoli fuori uso

Direzione Studi e ricerche
Giugno 2007

 

La Corte di giustizia (quinta sezione), definendo la causa C-394/05 promossa dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese, ha condannato l’Italia per il non conforme recepimento da parte dell'ordinamento nazionale di alcune disposizioni contenute nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, 18 settembre 2000, 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso, in particolare, gli articoli 3, n. 5, 5, n. 1, 7, n. 2, nonché 8, n. 3 e n. 4.
La Corte europea ha evidenziato come il decreto legislativo 24 giugno 2003 n. 209, di “Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso”, non abbia previsto, con riferimento ai veicoli a motore a tre ruote, disposizioni volte a garantire che gli operatori economici istituiscano sistemi di raccolta di tutti i veicoli fuori uso e, nella misura in cui ciò sia tecnicamente fattibile, delle parti usate allo stato di rifiuto, asportate al momento della riparazione di veicoli, e ad assicurare un'adeguata presenza di centri di raccolta sul territorio nazionale.
Inoltre, il legislatore italiano non avrebbe provveduto a istituire sistemi di raccolta delle parti usate allo stato di rifiuto e asportate al momento della riparazione dei veicoli né, tanto meno, ad aver fornito informazioni alla Commissione e agli altri Stati membri sulle ragioni che l'hanno portato ad avvalersi della possibilità di deroga parziale, prevista dalla direttiva, agli obblighi di reimpiego e recupero e di riciclaggio per i veicoli prodotti anteriormente al 1° gennaio 1980.
Il decreto legislativo 209/2003, infine, avrebbe omesso di specificare che le informazioni per la demolizione, lo stoccaggio e la verifica dei componenti, da fornire da parte dei produttori degli stessi, devono corrispondere a quanto richiesto dagli impianti di trattamento autorizzati; perdipiù, l'articolo 10, n. 2, del decreto legislativo 209/2003 si riferirebbe erroneamente ai «centri di raccolta », anziché agli «impianti di trattamento autorizzati».
La Corte di giustizia europea, nel condannare l’Italia, ha osservato, tra l’altro,  come la fondatezza delle censure dedotte sia stata riconosciuta anche dal governo italiano in fase di procedimento precontenzioso e non sia stata mai contestata dinanzi alla Corte, nonostante l’Italia avesse apportato le modifiche al decreto legislativo n. 209/2003 con il  decreto legislativo 149/2006 (T.U. Ambientale). La Corte di giustizia UE ha affermato che secondo la giurisprudenza costante la valutazione circa l’esistenza o meno di un inadempimento va effettuata in relazione alla situazione dello Stato membro alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, senza tenere conto dei mutamenti sopravvenuti.

 

 

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