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Obbligo a contrarre nell’ambito della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli. Sentenza della Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, C-518/06 in data 28 aprile 2009.
Di Maura Fraschina
Massima giurisprudenziale
Assicurazione obbligatoria r.c. auto - Inadempimento di uno Stato – Obbligo a contrarre - Restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi - Protezione sociale delle vittime di incidenti stradali - Proporzionalità - Compatibilità della normativa italiana col Trattato CE.
La restrizione alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, derivante dall'obbligo a contrarre imposto alle compagnie del ramo r.c. auto operanti in Italia, non viola gli art. 43 e 49 del trattato CE, in quanto è giustificata dal perseguimento di un obiettivo di interesse pubblico quale quello di tutelare le vittime di incidenti stradali, e non va al di là di quanto è necessario per il suo conseguimento. L'obbligo, per le imprese di assicurazione operanti in Italia nel ramo r.c. auto, di calcolare i premi conformemente alle loro basi tecniche sufficientemente ampie e risalenti ad almeno cinque anni, non istituisce un sistema di previa autorizzazione o di comunicazione sistematica delle tariffe e, conseguentemente, non lede il principio di libertà tariffaria né viola gli art. 6, 29 e 39 della direttiva 92/49 CEE. Il controllo esercitato dall'Isvap sulle modalità con cui le imprese di assicurazione operanti in Italia calcolano i loro premi e servizi, nonché la relativa imposizione di sanzioni, non viola la ripartizione di competenze tra lo Stato membro di origine e lo Stato membro ospitante stabilita dall'art. 9 della direttiva n. 92/49 CEE.
1. Introduzione. L’obbligo a contrarre nel ramo rc auto[1].
Le imprese di assicurazione rispettose delle condizioni previste dall’art. 132 cod. ass.[2] sono tenute ad accettare le proposte per l’assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e natanti che siano loro presentate. Si tratta, com'è evidente, di una notevole ingerenza dell'ordinamento nella libertà negoziale dei singoli: il legislatore impone la prestazione del consenso ai fini della conclusione di un contratto. E’ indubbio che nel nostro ordinamento giuridico l'autonomia privata, e quindi la libertà di contrattazione, costituiscono la norma. Tuttavia lo stesso ordinamento giuridico ritiene conveniente che talvolta si deroghi a tale principio: ciò imponendo per legge al contraente di prestare il consenso alla conclusione di un contratto oppure di conformarne il contenuto secondo particolari modalità. Si parla, in questi casi, di obbligo legale a contrarre. E’ su quest'ultima forma di coazione – della medesima specie di quella passata al vaglio della Corte di Giustizia – sulla quale è opportuno porre particolare attenzione. Le brevi deduzioni finora svolte rendono più semplice inquadrare sistematicamente e comprendere la ratio della norma di cui all'art. 132 cod. ass. Tale previsione ripropone quanto già affermato nell'abrogata l. 24 dicembre 1969, n. 990, provvedimento legislativo di fondamentale importanza nel diritto delle assicurazioni, non solo per l'introduzione dell'obbligatorietà dell'assicurazione per la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e per l'attribuzione al danneggiato della legittimazione ad agire direttamente nei confronti dell'assicuratore, ma altresì per la disposizione (art. 11) dell'obbligo, posto in capo alle Compagnie, di accettare le proposte loro presentate da parte degli assicurandi per la copertura dei rischi r.c. auto. È agevole identificare il fine della norma nel perseguimento di svariate finalità sociali. L’art 132 cod. ass. prevede, oltre all'obbligo per le imprese di accettare le richieste provenienti dalla clientela, anche quello di stabilire preventivamente le tariffe "per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti". Ciò significa che le compagnie non potranno limitarsi, nel predisporre la propria offerta, a proporre la copertura di alcune soltanto tra le varie categorie di rischio; il legislatore ha privilegiato questa strada proprio per evitare che restringendo l'ampiezza della possibilità di scelta dei prodotti si potesse, di fatto, aggirare l'imposizione dell'obbligo a contrarre e privare dell'opportunità di stipulare polizze proprio quei soggetti portatori di rischi di entità più elevata che l'ordinamento aveva inteso proteggere. Inoltre si attribuisce alle imprese la facoltà di limitare la propria attività ai "rischi derivanti dalla circolazione di flotte di veicoli"[3]. Molto importante si rivela un'altra previsione, volta a scoraggiare comportamenti fraudolenti da parte della clientela: l'obbligo di accettare le proposte per l'assicurazione rimane, infatti, subordinato alla correttezza dei dati risultanti dall'attestato di rischio fornito dal contraente; nonché di quelli concernenti l'identità sua o del diverso intestatario del veicolo. Al fine di verificare la veridicità di tali informazioni, la legge consente agli assicuratori di accedere telematicamente al pubblico registro automobilistico e all'archivio nazionale dei veicoli, oltre che alla banca dati sinistri istituita presso l'Isvap[4].
1.1. Le critiche mosse al sistema r.c. auto italiano e i modelli vigenti negli altri Stati membri UE.
Secondo alcuni, l’obbligo a contrarre nel sistema r.c. auto italiano avrebbe creato una preclusione a scapito delle imprese di assicurazione aventi sede legale negli altri Stati membri dell'Unione Europea, le quali intendessero stabilirsi o prestare servizi in Italia[5]. Le stesse non sarebbero libere di decidere autonomamente quali servizi prestare e a quali soggetti rivolgere l'offerta, con ripercussioni sui costi sopportati dagli assicuratori, specialmente quelli che volessero svolgere soltanto saltuariamente le proprie attività nel territorio italiano . Tale questione è stata oggetto di disamina da parte della dottrina[6], che l’ha ritenuta infondata sulla base di diverse argomentazioni. La più suggestiva si fonda sul criterio di uguaglianza: si è rilevato come sarebbe non solo iniquo, ma anche "discriminatorio" gravare dell'obbligo a contrarre unicamente le imprese italiane e non anche le compagnie aventi sede legale negli altri Stati membri; inoltre, una distinzione di questo tipo sconvolgerebbe il sistema creato dal legislatore, in quanto concederebbe alle sole compagnie straniere la possibilità di gestire in maniera più libera i rapporti con specifiche categorie di assicurandi. Per meglio comprendere le critiche mosse dagli Stati membri, può essere efficace proporre una breve descrizione dei modelli adottati dai principali Paesi europei[7]. In Francia, un organo, denominato Bureau Central de Tarification, in caso di rifiuto da parte dell'assicuratore e su richiesta del contraente ridetermina l'ammontare del premio in misura equa senza che la compagnia possa declinare nuovamente la richiesta. Il sistema tedesco, pur prevedendo l'obbligo a contrarre, prevede particolari ipotesi in cui le imprese possono rifiutarsi di stipulare la polizza. La Spagna, invece, ha istituito un ente di diritto pubblico, il Consorcio de Compensation de Seguros, che in caso di diniego dell'impresa, al termine di un particolare procedimento, può accollarsi i rischi di cui siano portatori quei soggetti che non abbiano reperito una compagnia disposta ad assicurarli. Altri Stati, infine, adottano meccanismi ancora diversi: in Grecia ed in Olanda è lo stesso Ministero a determinare i livelli minimi e massimi per la fissazione di premi riguardanti rischi aggravati. E’ quindi evidente come la normativa italiana si caratterizzi per una maggiore rigidità rispetto a quanto previsto negli altri Stati membri dell’Unione europea. Prima che il d.lgs. n. 209/2005 imponesse l'obbligo a contrarre, si era ipotizzata l'introduzione, in Italia, del sistema delle bad companies[8]. Si tratta di imprese che si specializzano nella copertura di rischi assai elevati, rifiutati dagli altri assicuratori, e che, per il fatto di svolgere questo ruolo socialmente vantaggioso, beneficiano di sussidi statali o di fondi provenienti da contributi versati dalla collettività degli assicurati. Queste compagnie avrebbero il vantaggio di coprire determinati segmenti di mercato, sopperendo all'assenza, negli stessi, delle altre imprese; peraltro, l'impossibilità di eliminare i notevoli costi aggiuntivi andrebbe necessariamente attribuito, almeno in parte, ai soggetti cui si è fatto riferimento. Nonostante tali proposte, il legislatore italiano, come si è visto, non ha optato per alternative come quelle finora descritte e ha ribadito il sistema dell'obbligo a contrarre, differenziandosi dagli altri Paesi membri.
2. La fase pregiudiziale e il ricorso della Commissione delle Comunità europee.
Con lettera del 22 marzo 2004 la Commissione richiamava l’attenzione della Repubblica italiana sui problemi di compatibilità della legge n. 990/69 e dell’applicazione di quest’ultima da parte dell’Isvap con gli artt. 6, 29 e 39 della direttiva 92/49 CEE. A tal riguardo la Commissione segnalava di aver ricevuto diverse denunce di imprese di assicurazione a proposito di sanzioni inflitte dall’Isvap in quanto l’obbligo a contrarre di cui all’art. 11, comma 1, di detta legge sarebbe stato aggirato con la fissazione di tariffe esorbitanti. Ciò in quanto, secondo l’Esecutivo europeo, la normativa italiana ha l'effetto di costituire un sistema di premi regolamentati e di impedire alle imprese di assicurazione di commercializzare liberamente i propri servizi nella maniera da esse giudicata opportuna e di stabilire liberamente le proprie tariffe, pregiudicando la realizzazione del mercato unico in materia di assicurazioni. A tali contestazioni, la Repubblica italiana rispondeva che la legge n. 990/69 e la sua applicazione da parte dell’Isvap erano conformi al diritto comunitario. Essa faceva presente che la legge n. 990/69 non esigeva né un’approvazione preventiva delle tariffe, né la loro comunicazione sistematica all’Isvap. Tale legge lascerebbe le imprese di assicurazione libere di scegliere le loro tariffe, pur garantendo la possibilità per gli utenti di stipulare la polizza di assicurazione obbligatoria di responsabilità civile auto. A quest’ultimo proposito essa sottolineava la natura sociale della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli. A ciò seguirono numerose altre diffide da parte della Commissione Europea. Il 18 ottobre 2005, in mancanza di risposta ad una lettera di diffida complementare, la Commissione inviava alla Repubblica italiana un parere motivato, insistendo sugli addebiti formulati nelle precedenti lettere di diffida e invitando la Repubblica italiana a conformarvisi entro un termine di due mesi dalla sua ricezione. Con successiva lettera del 3 novembre 2005 la Repubblica italiana comunicava la pubblicazione del codice delle assicurazioni private (d.lsg. n. 209 del 2005). Si susseguirono vari pareri emanati dalla Commissione e successive risposte da parte della Repubblica Italiana che ribadivano la compatibilità del diritto nazionale con quello comunitario. Pertanto, alla luce di ciò, la Commissione proponeva ricorso – depositato in data 20.12.2006 – chiedendo alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana:
1. istituendo e mantenendo in essere una normativa per effetto della quale i premi relativi all’«assicurazione responsabilità civile auto» devono essere calcolati in base a parametri determinati e assoggettando i premi medesimi ad un controllo a posteriori – è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 6[9], 29[10] e 39[11] direttiva 92/49/CEE (terza direttiva «assicurazione non vita»);
2. esercitando un controllo sulle modalità di calcolo dei premi assicurativi delle imprese di assicurazione, con sede centrale in un altro Stato membro, ma operanti in Italia e imponendo sanzioni in caso di violazione delle norme nazionali relative alle modalità di calcolo dei premi assicurativi – è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 9[12] della direttiva 92/49 CEE, limitando così la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi;
3. mantenendo l’obbligo a contrarre l’assicurazione responsabilità civile auto per tutte le imprese di assicurazioni, comprese quelle con sede centrale in un altro Stato membro, ma operanti in Italia – è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 (libertà di stabilimento) e 49 (libera prestazione di servizi) del Trattato istitutivo della Comunità europea[13].
3. Le motivazioni della Corte di Giustizia CE. L
a Corte, dopo aver esaminato il contesto normativo, sia comunitario (direttive nn. 72/166/CEE, 84/5/CEE, 92/49/CEE) sia nazionale (articoli 11, comma 1 e comma 1 bis, 12 bis e 12 quater della legge n. 990/1969 nonché articoli 35, n. 1, 131, 132, 313 e 314 del codice delle assicurazioni) di tale problematica, e dopo aver riassunto la fase pre-contenziosa del procedimento, ha trattato i tre motivi di censura formulati dalla Commissione, partendo dall'addebito principale mosso alla Repubblica Italiana, ossia «l'incompatibilità dell'obbligo a contrarre con gli articoli 43 e 49 CE».
3.1 Sulla restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi (obbligo a contrarre).
È indubbio che l’obbligo a contrarre si applica indistintamente a tutte le imprese che offrono l’assicurazione responsabilità civile auto sul territorio italiano. La Commissione ritiene, tuttavia, che tale obbligo, considerato che riduce la possibilità per le imprese di assicurazioni di attuare in modo autonomo le loro scelte strategiche di mercato, incida sullo stabilimento e sulla prestazione di servizi in Italia per le imprese con sede in un altro Stato membro. Secondo costante giurisprudenza[14], la nozione di «restrizione» comprende tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi. Nella specie, è indiscusso che l’obbligo a contrarre non produca ripercussioni sull’accettazione, da parte delle autorità italiane, dell’autorizzazione amministrativa, che le imprese di assicurazione con sede in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana ottengono nello Stato membro in cui hanno sede. Tale obbligo lascia quindi impregiudicato il diritto di accesso al mercato italiano dell’assicurazione obbligatoria conseguente a tale autorizzazione. Tuttavia, come si è già sottolineato, l’obbligo a contrarre costituisce un’ingerenza sostanziale nella libertà di contrarre di cui godono, in linea di principio, gli operatori economici. Nel settore delle assicurazioni, una simile misura incide sull’accesso al mercato degli operatori interessati, in particolare laddove sottopone le imprese di assicurazione non solo all’obbligo di assumersi tutti i rischi che vengono loro proposti, ma altresì a parimenti ad esigenze di moderazione tariffaria. L’obbligo a contrarre, comportando adeguamenti e costi di tale rilevanza per le imprese straniere, rende meno attraente l’accesso al mercato italiano e restringe la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. Tuttavia, una siffatta restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi può peraltro essere ammissibile: - ove sussistano ragioni imperative di interesse pubblico; - se essa è idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e - non va oltre quanto necessario per il suo raggiungimento[15]. A tal proposito la Commissione sottolinea, nel ricorso presentato, che l'obbligo a contrarre costituisce un ostacolo non giustificato né proporzionato rispetto allo scopo perseguito. Infatti, «la nozione di ordine pubblico può essere richiamata solo in caso di minaccia effettiva ed abbastanza grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività» e «l'eccezione di ordine pubblico, cosi come ogni altra deroga ad un principio fondamentale del trattato, deve essere interpretata in modo restrittivo»[16]. Tale restrizione, secondo la Commissione, appare inidonea a conseguire l'obiettivo per il quale è stata adottata, in quanto un tale obbligo generalizzato a contrarre impedisce la formazione e l'operatività di settori specializzati di imprese assicurative che potrebbero soddisfare più adeguatamente ed efficacemente le esigenze dei consumatori proprio in ragione dell'acquisita specializzazione. Contrastando le accuse mosse dall’Esecutivo europeo, la Repubblica italiana ha invocato la protezione sociale delle vittime di incidenti stradali. Tale obiettivo di protezione sociale, da intendersi essenzialmente quale garanzia di adeguato risarcimento delle suddette vittime, può essere considerato quale ragione imperativa di interesse generale. Infatti, lo scopo stesso dell’assicurazione obbligatoria responsabilità civile auto risiede nel garantire il risarcimento alle vittime di incidenti stradali. Tale risarcimento viene principalmente finanziato mediante contratti conclusi con imprese di assicurazione. L’obbligo a contrarre per cui è causa è idoneo a contribuire all’attuazione della normativa comunitaria riguardante l’obbligo, per ogni proprietario di un autoveicolo, di concludere un’assicurazione responsabilità civile auto ed è, pertanto, idoneo al conseguimento dell’obiettivo di tale normativa, consistente nel garantire un adeguato risarcimento delle vittime di incidenti stradali. In ordine all’argomento della Commissione secondo cui sarebbe sproporzionato imporre alle imprese assicurative un obbligo a contrarre nei confronti di tutti i potenziali clienti, e ciò sull’intero territorio italiano, la Repubblica italiana ha sostenuto che nell’area meridionale sussistono circostanze difficili che esigono misure correttrici, affinché l’assicurazione obbligatoria possa essere offerta a condizioni accettabili tanto per i contraenti, quanto per le imprese di assicurazioni[17]. Ciò premesso, correttamente la Repubblica italiana ha ritenuto opportuno imporre a tutte le imprese operanti sul proprio territorio un obbligo a contrarre nei confronti di tutti i proprietari di autoveicoli residenti in Italia, al fine di evitare che tali imprese si ritirino dalla parte meridionale del territorio italiano e privino in tal modo i proprietari di autoveicoli ivi residenti della possibilità di concludere l’assicurazione, peraltro obbligatoria. L’Italia non ha peraltro vietato alle imprese di assicurazione di applicare tariffe differenziate in funzione di statistiche storiche del costo medio del rischio nell’ambito di categorie di assicurati definite in maniera sufficientemente ampia. La Corte ritiene, quindi, che l’obbligo a contrarre è idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non va al di là di quanto è necessario per il suo conseguimento, rispettando il principio di proporzionalità.
3.2 Sulla libertà tariffaria.
A parere della Commissione l’obbligo per le imprese di assicurazione di fissare i premi conformemente alle proprie «basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi» e di conformarli ad una determinata media di mercato, al pari dell’assoggettamento dei premi ad un controllo retroattivo e della possibilità per l’Isvap di applicare sanzioni di notevole entità, costituirebbe una violazione del principio di libertà tariffaria. La Repubblica italiana osserva che i principi tariffari enunciati nella normativa nazionale perseguono il solo obiettivo di contenere il fenomeno consistente nel fatto che talune imprese di assicurazioni, calcolando una tariffa esorbitante, scoraggiano gli utenti dal sottoscrivere una polizza assicurativa presso di esse. La Corte ricorda che la direttiva 92/49 CEE vieta ad uno Stato membro di istituire un regime di previa approvazione o di comunicazione sistematica delle tariffe. Il legislatore comunitario ha in tal modo inteso garantire il principio della libertà tariffaria nel settore dell’assicurazione non vita. La legge n. 990/69 e il codice delle assicurazioni private obbligano le imprese che forniscono l’assicurazione responsabilità civile auto a calcolare in modo distinto i premi puri e i ricarichi; essi non hanno peraltro istituito un sistema di previa autorizzazione o di comunicazione sistematica delle tariffe e non impongono alle imprese di assicurazioni di orientare le loro tariffe in base alla media del mercato.
3.3 Sul controllo delle modalità di calcolo dei premi e l’applicazione di sanzioni.
Secondo quanto avvalorato dalla Commissione, il controllo esercitato dall’Isvap sulle modalità con cui le imprese di assicurazioni operanti in Italia calcolano i loro premi assicurativi, nonché l’imposizione di sanzioni costituiscono una violazione della ripartizione di competenze tra lo Stato membro di origine e lo Stato membro ospitante. La Repubblica italiana osserva che gli interventi in materia tariffaria aventi ad oggetto la tutela dei consumatori non rientrano nell’ambito della vigilanza finanziaria delle imprese di assicurazione. Infatti, gli strumenti di protezione della stabilità finanziaria, il cui utilizzo è di competenza esclusiva delle autorità dello Stato membro di origine, sono costituiti dai margini di solvibilità e dalla copertura delle riserve tecniche. Per la Corte, la direttiva 92/49 CEE non esclude la possibilità di controlli come quelli esercitati dall’Isvap. Sulla base di tutti motivi sovraesposti, la Corte di Giustizia CE – Grande Sezione – respinge il ricorso proposto dalla Commissione delle Comunità europee, spese di lite compensate.
4. Conclusioni.
Con la sentenza in esame – di cui non constano precedenti in termini – la Grande Sezione della Corte di giustizia ha respinto il ricorso proposto dalla Commissione nei confronti dell'Italia in relazione all'obbligo a contrarre imposto dalla legge italiana alle imprese di assicurazione, le quali, come si diceva inizialmente, «sono tenute ad accettare [...] le proposte per l'assicurazione obbligatoria che sono loro presentate» dai proprietari dei veicoli a motore. La Corte ha, in sintesi, ritenuto che detto obbligo è coerente con i principi del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, e con la direttiva n. 92/49/CEE in materia di contratti di assicurazione «non vita». Il profilo più controverso tra le autorità italiane e la Commissione riguardava la natura indirettamente discriminatoria dell'obbligo a contrarre che è applicabile indistintamente a tutte le imprese, italiane e comunitarie, che offrono l'assicurazione responsabilità civile auto sul nostro Paese. La Commissione sosteneva che detto obbligo, in una alla possibilità offerta all'Isvap di irrogare sanzioni in caso di sua violazione, si rivelava di fatto più gravoso per le imprese di assicurazioni stabilite in altri Stati membri, dissuadendole dall'insediarsi o dal prestare servizi in Italia e pregiudicandone quindi l'accesso al mercato italiano. Lo Stato italiano replicava che tale regime, a prescindere dalla sua natura privatistica, è ispirato a finalità sociali, essendo, in particolare, diretto a garantire il risarcimento delle vittime di incidenti stradali, le quali, proprio in virtù dell'obbligo medesimo, possono contare sull'esistenza di un ente assicurativo che le risarcisca. In pratica, l'obbligo a contrarre imposto ad imprese ed utenti tutela, da un lato, i contraenti, nella loro qualità di consumatori, contro le discriminazioni in materia di accesso all'assicurazione obbligatoria e di libertà di circolazione e, dall'altro, le vittime degli incidenti stradali. La Corte, pur ritenendo che il regime italiano determini una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi (punti 60-71), ne ha affermato la legittimità perché rispondente a ragioni imperative di interesse pubblico e perché conforme al principio di proporzionalità (punti 72-94), in virtù del consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di esigenze imperative connesse ad interesse generale[18]. In effetti, lo Stato italiano aveva giustificato la misura sulla base del perseguimento di una serie di obiettivi di interesse generale, tra i quali la protezione sociale delle vittime di incidenti stradali. Nel rilevare che dalla stessa normativa comunitaria sorge l'esigenza di tutela delle vittime di incidenti stradali e che l'obbligo di cui trattasi è correlato a tale esigenza, la Sezione Grande ha altresì riconosciuto agli Stati un margine di discrezionalità in tale ambito poiché la situazione della circolazione stradale e degli obiettivi di interesse pubblico pertinenti in tale settore varia da uno Stato membro ad un altro.
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[1] Per un approfondimento sul punto vedasi A. Piras, Principi del diritto comunitario e obbligo a contrarre nel ramo rc auto, in Resp. civ. e prev. 2009, 11, 2263, Stolfi, L'obbligo legale a contrarre, in Riv. dir. civ., 1932, 105; P. Perlingieri, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, Napoli, 2000, 327. [2] Art. 132 d.lgs. n. 209 del 2005. Obbligo a contrarre. Le imprese di assicurazione sono tenute ad accettare, secondo le condizioni di polizza e le tariffe che hanno l'obbligo di stabilire preventivamente per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, le proposte per l'assicurazione obbligatoria che sono loro presentate, fatta salva la necessaria verifica della correttezza dei dati risultanti dall'attestato di rischio, nonché dell'identità del contraente e dell'intestatario del veicolo, se persona diversa. Le imprese di assicurazione possono richiedere che l'autorizzazione sia limitata, ai fini dell'assolvimento agli obblighi derivanti dal comma 1, ai rischi derivanti dalla circolazione di flotte di veicoli a motore o di natanti. Al fine di facilitare le verifiche propedeutiche all'osservanza dell'obbligo a contrarre di cui al comma 1, le imprese di assicurazione hanno diritto di accedere in via telematica al pubblico registro automobilistico ed all'archivio nazionale dei veicoli previsto dal codice della strada secondo condizioni economiche e tecniche strettamente correlate ai costi del servizio erogato in ragione dell'esigenza di consultazioni anche sistematiche nell'ambito delle attività di prevenzione e contrasto delle frodi nell'assicurazione obbligatoria. Con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono adottate le disposizioni di attuazione. [3] Grosso, Mercato unico europeo e concorrenza nel settore r.c. auto, in Contr. impr. Europa, 2007, II, 828, definisce le flotte come "un certo numero minimo di autoveicoli, gestiti da un'unica persona fisica o giuridica, costituenti un gruppo omogeneo di modalità di utilizzo" che dà luogo ad una "omogeneità di rischio". Ad esempio, il "parco auto aziendale" o "le flotte di piccoli e grandi noleggiatori di veicoli", come ricordano Ogliari-Costa, Riflessioni sull'obbligo a contrarre, in Dir. prat. ass., 2006, I, 497 ss. [4] La questione è stata approfondita da Pisci, Esercizio dell'assicurazione, in Commentario al Codice delle Assicurazioni, a cura di Bin, Padova, 2006, 346 ss. [5] V. supra, nota 3. [6] Vedasi Grosso, Mercato unico europeo e concorrenza nel settore r.c. auto, in cit. e Corapi, La liberalizzazione delle tariffe per l'assicurazione r.c.a., in Riv. dir. comm., 1997, I, 2, 601. [7] Grosso, Mercato unico europeo e concorrenza nel settore r.c. auto: l'obbligo a contrarre e i suoi limiti, in Contr. impr. Europa, 2007, II, 825; A. Piras, Principi del diritto comunitario e obbligo a contrarre nel ramo rc auto, in Resp. civ. e prev. 2009, 11. [8] Buzzacchi-Siri, Efficienza ed equità nell'assicurazione r.c.a.: ri-regolamentare per liberalizzare?, in Mercatoconc.regole, 2002, 436. Il sistema delle bad companies viene ritenuto incompatibile con quello dell'obbligo a contrarre da Orio, La funzione dell'assicurazione tra libero mercato e obbligatorietà: un difficile binomio, in L'assicurazione della responsabilità civile da circolazione veicoli tra mercato, concorrenza e obbligatorietà, a cura di G. Morbidelli, Torino, 2003,61. [9] Nel titolo II della direttiva 92/49, rubricato «Accesso all’attività assicurativa», l’art. 6 dispone quanto segue: «Il testo dell’art. 8 della [prima] direttiva [del Consiglio 24 luglio 1973], 73/239/CEE, [recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di accesso e di esercizio dell’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita (GU L 228, pag. 3),] è sostituito dal testo seguente: “(...) [G]li Stati membri non stabiliscono disposizioni che esigano la preventiva approvazione o la comunicazione sistematica delle condizioni generali e speciali delle polizze di assicurazione, delle tariffe nonché di formulari e altri stampati che l’impresa abbia intenzione di utilizzare nelle sue relazioni con i contraenti. Gli Stati membri possono mantenere o introdurre la notifica preventiva o l’approvazione delle maggiorazioni di tariffe proposte solo in quanto elementi di un sistema generale di controllo dei prezzi. [10] L’art. 29 della direttiva 92/49 prevede: «Gli Stati membri non applicano disposizioni che prevedano la necessità di un’approvazione preliminare o di una comunicazione sistematica delle condizioni generali e speciali delle polizze d’assicurazione, delle tariffe nonché di formulari ed altri stampati che l’impresa di assicurazione abbia l’intenzione di utilizzare nelle sue relazioni con i contraenti. Per controllare l’osservanza delle disposizioni legislative, amministrative e regolamentari relative ai contratti di assicurazione, essi possono esigere solo la comunicazione non sistematica di queste condizioni e di questi altri documenti, senza che tale esigenza possa costituire per l’impresa una condizione preliminare per l’esercizio delle sue attività. Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre la notifica preliminare o l’approvazione delle maggiorazioni di tariffe proposte solo come elementi di un sistema generale di controllo dei prezzi». [11] Ai sensi dell’art. 39, nn. 2 e 3, della direttiva medesima, collocato nel titolo IV, rubricato «Disposizioni sulla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi»: «2. Lo Stato membro della succursale o della prestazione dei servizi non stabilisce disposizioni che prescrivano l’approvazione preventiva o la comunicazione sistematica delle condizioni generali e speciali delle polizze di assicurazioni, delle tariffe, dei formulari e degli altri stampati che l’impresa si propone di utilizzare nei rapporti con il contraente. Al fine di controllare l’osservanza delle disposizioni nazionali, esso può esigere unicamente da ogni impresa che intenda effettuare sul suo territorio operazioni assicurative, in regime di stabilimento o in regime di libera prestazione dei servizi, la comunicazione non sistematica di queste condizioni o di questi altri documenti che essa intende applicare, senza che tale prescrizione possa costituire per l’impresa una condizione preliminare per l’esercizio della sua attività. 3. Lo Stato membro della succursale o di prestazione dei servizi può mantenere in vigore o introdurre la notifica preventiva o l’approvazione delle maggiorazioni tariffarie proposte solo in quanto elemento di un sistema generale di controllo dei prezzi». [12] Ai sensi dell’art. 9 di tale direttiva, collocato nel titolo III della medesima, rubricato «Armonizzazione delle condizioni di esercizio»: «Il testo dell’articolo 13 della direttiva 73/239/CEE è sostituito dal testo seguente: (…) 1. La vigilanza finanziaria su un’impresa di assicurazione, compresa quella sulle attività da questa esercitate tramite succursali e in regime di prestazione di servizi, rientra nella competenza esclusiva dello Stato membro d’origine. 2. La vigilanza finanziaria comprende in particolare la verifica, per l’insieme delle attività dell’impresa di assicurazione, dello stato di solvibilità e della costituzione di riserve tecniche e delle attività di contropartita in conformità delle norme o della prassi stabilite nello Stato membro d’origine, ai sensi delle disposizioni adottate a livello comunitario. [13] Il Trattato che ha istituito la Comunità Europea è stato firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed è entrato in vigore il 1° gennaio 1958 dopo essere stato reso esecutivo dall'Italia con l. 14 ottobre 1957, n. 1203. Il Trattato è stato, poi, modificato sia dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, sia dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001. Gli artt. 43 e 49, così come modificati dall'art. 6 del Trattato di Amsterdam, corrispondono, rispettivamente, ai previgenti artt. 52 e 59 del Trattato di Roma (così come risultava dalla numerazione anteriore alle citate variazioni). L'art. 43 sancisce il diritto di stabilimento, in base al quale vengono vietate le restrizioni alla libertà dei cittadini di uno Stato membro di stabilirsi nel territorio di un altro Stato membro; come precisa il comma 2, tale libertà di stabilimento comprende anche "la costituzione e la gestione di imprese alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento per i propri cittadini". L'art. 49, invece, vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità "durante il periodo transitorio nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un Paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione". Si deve, pertanto, ritenere che il diritto di stabilimento concerna attività economiche svolte "con continuità temporale" e sulla base di un'installazione permanente" in un altro Stato membro diverso da quello in cui l'impresa ha sede; mentre il diritto di libera prestazione di servizi riguarda "lo spostamento temporaneo del prestatore per lo svolgimento dei suoi servizi". Così Bassan, Art. 23, Attività in regime di stabilimento; art. 24, Attività in regime di prestazione di servizi, in Il Codice delle assicurazioni private, diretto da Capriglione, Padova, 2007 , I, 1, 205. [14] Così, ex plurimis, sentenze CaixaBank France, punto 11; 13 dicembre 2007, causa C-465/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I-11091, punto 17, e 17 luglio 2008, causa C-389/05, Commissione/Francia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 52. Per quanto attiene alla questione dell’individuazione delle circostanze in presenza delle quali una misura indistintamente applicabile, quale l’obbligo di contrarre di cui è causa nella specie, possa ricadere in tale nozione, si deve rammentare che una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più interessanti ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (vedasi, in tal senso, sentenze 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments, Racc. pag. I-1141, punto 27, e 12 luglio 2005, causa C-403/03, chempp, Racc. pag. I-6421, punto 45). Per contro, la nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per le imprese di altri Stati membri, ostacolando in tal modo il commercio intracomunitario (vedasi, in tal senso, sentenze Alpine Investments, punti 35 e 38, nonché CaixaBank France, punto 12). [15] Vedasi, in particolare, sentenze 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 61; 13 dicembre 2007, causa C-250/06, United Pan-Europe Communications Belgium e a., Racc. pag. I-11135, punto 39, nonché 1° aprile 2008, causa C-212/06, Governo della Comunità francese e Governo vallone, Racc. pag. I-1683, punto 55. [16] Sentenza del 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Procedimento penale a carico di Donatella Calfa, Raccolta 1999, pag. I-11, punti 21 e 23. [17] Anche i recenti dati raccolti dai Focus regionali attivati appositamente nel meridione confermano quanto sostenuto dall’Area Mezzogiorno Sna: un fattore di rilevantissima incidenza sul costo del mercato assicurativo italiano è l’elevato numero di sinistri auto più direttamente collegati a fenomeni criminosi. Vedasi il sito www.snaservice.it [18] Cfr., ex multis, C. giust. Ce 21 ottobre 1999 in causa C-67/98, in Racc. Giuffrè, 2000, I, 8 ss., con nota di Baratta, In tema di libera circolazione dei servizi; C. giust. Ce 5 dicembre 2006 in cause riun. C-94/04 e C-202/04, Cipolla, in Raccolta, 2006, p. I-11421, punto 61; C. giust. Ce 13 dicembre 2007 in causa C-250/06, United Pan-Europe Communications Belgium, in Raccolta, 2007, p. I-11135, punto 39, nonché C. giust. Ce 1° aprile 2008 in causa C-212/06, Governo della Comunità francese e Governo vallone, in Raccolta, 2008, p. I-1683, punto 55.