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  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Omissione di soccorso

Corte di Cassazione sez. IV pen.
28 gennaio 2010, n. 3568

Circolazione stradale – Comportamento in caso di incidente – Art. 189 c.s. – Obbligo di fermarsi e prestare assistenza – Sinistri con danni alla persona – Adempimento dell’obbligo di solidarietà - Allontanamento dal luogo del sinistro prima dell’arrivo degli agenti di polizia stradale – Art. 189, c.s., comma 6 - Omissione di soccorso – Configurabilità.

 

L’automobilista coinvolto in un incidente stradale con danni alle persone ha, indipendentemente dalla colpa, l’obbligo di fermarsi e prestare l’assistenza necessaria a coloro che abbiano eventualmente subito danni alla persona ed è, altresì, tenuto a non allontanarsi dal luogo del sinistro prima dell’arrivo degli organi di polizia stradale in modo tale da consentire gli accertamenti necessari per la ricostruzione della dinamica del sinistro e l’identificazione di tutti i soggetti coinvolti.
Conseguentemente, risponde del reato di cui all’art. 189, comma 6, del Codice della Strada, l’automobilista che pur essendosi fermato per prestare l’assistenza necessaria alle persone coinvolte nell’incidente stradale, si sia però allontanato dal luogo del sinistro prima dell’arrivo degli organi di polizia stradale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
(omissis) ha proposto ricorso avverso la sentenza 6 luglio 2007 della Corte d’Appello di Venezia che ha parzialmente confermato la sentenza 3 ottobre 2006 del Tribunale di Padova, sez. dist. di Este, che l’aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione per il delitto di cui all’art. 189 C.d.S., comma 6 per non aver ottemperato all’obbligo di fermarsi in occasione di un incidente stradale nel quale era rimasto coinvolto l’11 novembre 2004 in (omissis).
La Corte di merito ha confermato l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato indicato (correggendo la qualificazione impropriamente attribuita dal primo giudice che faceva riferimento all’art. 186 C.d.S.) e ha ridotto la durata della sospensione della patente di guida determinata dal primo giudice.
A fondamento del ricorso si deducono i seguenti motivi di censura:
- il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta esistenza dell’elemento soggettivo posto che il ricorrente non si era reso conto che la persona coinvolta nell’incidente avesse subito lesioni e quindi non poteva essere ritenuta l’esistenza del dolo potendosi al più ravvisare una negligenza;
- il vizio di violazione di legge con riferimento alla circostanza che la previsione incriminatrice non prevedrebbe l’obbligo di attendere l’intervento della polizia giudiziaria dopo un incidente con danni alle persone.
Il ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.
Il primo motivo deve anzi essere ritenuto inammissibile perché, con la censura proposta, il ricorrente pone in discussione la ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito i quali hanno ritenuto accertato che l’imputato, malgrado la gravità dell’incidente (l’autovettura dell’altra conducente era finita fuori strada finendo la sua marcia contro un muretto), si fosse fermato solo per protestare la sua mancanza di colpa allontanandosi subito dopo senza neppure scendere per rendersi conto delle condizioni della persona che guidava l’altro veicolo.
La gravità dell’infortunio rende quindi del tutto logica la conclusione del Tribunale secondo cui la violenza dell’urto rendeva del tutto probabile che si fosse verificato anche un danno alla persona e che quindi il ricorrente si sia allontanato a costo che questo danno esistesse (e non certo con il convincimento che invece fosse stato evitato).
Ne consegue che la valutazione sul punto dei giudici di merito si sottrae al vaglio di legittimità perché adeguatamente e logicamente motivato.
Del resto l’elemento soggettivo del reato in esame può essere integrato anche dal solo dolo eventuale, non essendo necessario il dolo intenzionale (v. Cass., sez. IV, 10 aprile 2006 n. 21445, Marangoni, rv. 234570).
Il secondo motivo di ricorso è invece da ritenere infondato.
Va premesso che le argomentazioni riguardanti questo motivo di ricorso sono estranee al tema accennato nell’intitolazione (che sembrerebbe riferirsi all’inammissibilità del dolo eventuale nel reato in esame); il motivo si riferisce infatti ad un’ipotesi particolare diversa quella cui si riferisce il motivo.
Il ricorrente lamenta infatti che la sentenza impugnata abbia ritenuto che il reato in esame si consuma se chi è stato coinvolto in un incidente non attende l’arrivo degli organi di polizia giudiziaria. In realtà la condotta accertata nel caso in esame è ben diversa essendo stato accertato che (omissis), dopo l’incidente, neppure era sceso dall’autovettura da lui condotta ma si era avvicinato all’altra autovettura per protestare la sua mancanza di colpa allontanandosi subito dopo.
È dunque ravvisabile l’ipotesi tipica prevista dalla norma in esame atteso che ottemperare all’obbligo di fermarsi implica che l’agente si fermi effettivamente sul luogo dell’incidente. Condotta osservante che non può certo ravvisarsi nella condotta di chi, dopo aver pronunciato qualche parola, si allontani senza neppure fornire alla controparte le proprie generalità .
Deve peraltro osservarsi che l’ipotesi di reato in esame -qualificabile come reato omissivo di pericolo - deve ritenersi realizzata anche nei casi in cui la persona, al cui comportamento sia comunque ricollegabile un incidente stradale con danni alle persone, si sia fermata (eventualmente anche prestando l’assistenza necessaria) ma si sia allontanata prima dell’arrivo degli appartenenti agli organi di polizia preposti all’accertamento dell’esistenza di eventuali reati o comunque agli accertamenti in materia di infortunistica stradale.
Interpretata restrittivamente la norma sarebbe infatti applicabile esclusivamente ai casi nei quali il conducente si sia dato immediatamente alla fuga dopo che si è verificato l’incidente: ma allora non si comprenderebbe perché il comma 6 in esame abbia usato questa terminologia (“si sia dato alla fuga”), sia pure ai ristretti fini di consentire l’arresto, diversa da quella usata nella prima parte del comma (“non ottempera all’obbligo di fermarsi”) che dunque deve avere un significato diverso e certamente più ampio che non può essere ricondotto ad una semplice ed istantanea fermata anche se, in ipotesi (ma ciò non è avvenuto nel caso in esame), accompagnata dal soccorso alla persona infortunata.
E allora deve essere individuata la ratio della norma che non può che riferirsi all’esigenza che le persone coinvolte in un incidente stradale non solo adempiano agli obblighi di solidarietà prestando assistenza alle persone che, in conseguenza del loro comportamento (indipendentemente dall’esistenza della colpa) abbiano subito danni alla persona ma altresì si sottopongano all’identificazione e consentano i necessari accertamenti sul luogo dell’incidente da parte degli organi di polizia per consentire la ricostruzione dell’incidente ai fini dell’eventuale instaurazione del procedimento penale e comunque ai fini di conoscenza per eventuali iniziative risarcitorie.
Se questa è la ragione giustificativa della norma appare conseguente dedurne che l’obbligo di fermarsi non sia adempiuto allorché la persona coinvolta si allontani dal luogo dell’incidente prima dell’intervento degli organi di polizia perché, con tale comportamento, i medesimi sono posti nell’impossibilità di compiere questi accertamenti o viene comunque seriamente ostacolata la loro iniziativa; ciò anche se, in ipotesi, l’interessato abbia operato in modo da poter essere identificato perché viene comunque ostacolata l’altra finalità costituita dalle necessità ricollegate alla ricostruzione delle modalità dell’incidente.
Questa interpretazione è condivisa dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. IV, 25 gennaio 2006 n. 20235, Mischiatti, rv. 234581; 27 maggio 2003 n. 34621, Campisi, rv. 225622) ed analoga era l’interpretazione sul reato di natura contravvenzionale previsto dall’abrogato codice della strada (D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 133) sul quale la Corte di cassazione si era espressa nel senso indicato (cfr. sez. IV, 2 novembre 1990 n. 14358, Andreola; sez. III, 26 gennaio 1984 n. 692, Lavezzi).
Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M. la Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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