- Giurisprudenza
- Sanzioni pecuniarie
- Dott.ssa Maristella Giuliano
Pagamento in misura ridotta
Corte di Cassazione II sez. civile
23 luglio 2007, n. 16222
Il pagamento in misura ridotta, ex art. 202 del codice della strada, strumento deflativo dei procedimenti contenziosi, sia amministravi che giurisdizionali, preclude tanto al contravventore, quanto all’amministrazione, la possibilità di contestazione in ordine ai presupposti e alle condizioni di applicazione delle sanzioni.
Il contravventore, infatti, secondo la disciplina di cui agli artt. 203 e 204 bis del codice della strada, può far valere i rilievi di infondatezza direttamente avverso il verbale di contestazione dell’infrazione, il quale, peraltro, non costituisce atto impositivo con cui si assoggetti il contravventore all’obbligo di pagamento della sanzione, ma rappresenta il primo atto di un procedimento a formazione progressiva, concluso il quale, solo ove non siano state esercitate le azioni impugnatorie previste ( ricorso al prefetto o al giudice di pace) l’amministrazione competente può procedere all’iscrizione al ruolo della somma corrispondente alla sanzione.
Il Comune di Torre Annunziata impugna per cassazione la sentenza n. 795/05 con la quale il G.d.P. del luogo, accogliendo la domanda di XXXXXXX Annunziata, l'ha condannato al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. nei confronti della parte attrice, nella misura di € 74,89, per avergli quest'ultima corrisposto pari somma, ex art. 202 C.d.S., a seguito di contestatele infrazioni all'art. 41 C.d.S. in relazione all'art. 146/III C.d.S.; somma che l'attrice aveva sostenuto essere stata corrisposta ingiustificatamente, attesa l'invalidità della contestazione in quanto effettuata sulla base di documentazione proveniente da apparecchiatura elettronica non omologata all'epoca delle pretese infrazioni e, quindi, inidonea all'accertamento delle stesse senza la presenza d'un agente all'uopo addetto.
A tale decisione il giudice a quo è pervenuto sulla considerazione che il pagamento della sanzione pecuniaria non costituisse né ammissione di colpa né rinunzia all’impugnazione; che la proposta azione fosse da qualificare come domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c.; che alla data delle contestate infrazioni l'accertamento delle stesse a mezzo dell'apparecchiatura in questione senza la presenza d'un agente addetto al servizio fosse illegittimo; che il Comune, asserendo nel verbale notificato l'insussistente legittimità dell'accertamento mediante apparecchiatura elettronica, avesse artatamente indotto in. errore il destinatario della comunicazione sulla consequenziale legittimità della pretesa e sulla convenienza del pagamento immediato; che tale comportamento avesse determinato un danno ingiusto all'interesse legittimo alla correttezza dell'azione amministrativa; che tale danno fosse da considerare risarcibile ex art. 2043 c.c..
Di detta decisione si duole il ricorrente denunziando: con un primo motivo, nel quale deduce la violazione degli artt. 22 e 23 L 689/81 e 203 204 204 bis C.d.S. nonché vizi di motivazione, che il giudice a quo non abbia considerato come le invocate norme consentano i ricorsi amministrativo e giurisdizionale solo ove non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta e, quindi, precludano la contestazione per altra via dell'accertamento, specie una volta decorsi i termini per l'adempimento e per le impugnazioni espressamente previstivi; con un secondo motivo, nel quale deduce la violazione degli artt. 4 e 5 L 2248/1865 all. E nonché vizi di motivazione, che il giudice a quo abbia illegittimamente disapplicato il provvedimento amministrativo e riconosciuto la risarcibilità del preteso danno; con un terzo motivo, nel quale deduce la violazione di norme di diritto e vizi di motivazione, che il giudice a quo non abbia rilevato l'effetto preclusivo del pagamento della sanzione; con un quarto motivo, nel quale deduce il travisamento del thema decidendum e vizi di motivazione, che il giudice a quo abbia deciso della disapplicazione in via principale e non incidentale; con un quinto motivo, denunziando la violazione dell'art. 112 c.p.c., che il giudice a quo abbia deciso ex art. 2043 c.c. una domanda proposta ex art. 2033 c.c.; con un sesto motivo, denunziando vizi di motivazione, che il giudice a quo abbia erroneamente provveduto sulle spese.
Segue anche memoria.
Parte intimata non resiste con controricorso.
Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale fa pervenire requisitoria scritta nella quale, non concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude chiedendo l'inammissibilità del ricorso, richiesta, poi modificata dal P.G. d'udienza nel senso dell'accoglimento.
Tale conclusione, conforme alla scheda valutativa, è da condividere.
Preliminarmente, va disattesa l'eccezione, originariamente formulata dal P.G., d'inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura ad litem, per mancanza di autorizzazione al Sindaco da parte della Giunta per la proposizione dell'impugnazione.
Nelle brevi note conclusionali e di discussione il Comune ha chiarito di stare in giudizio in virtù di procura a margine del ricorso e di delibera G.M. n. 101 del 1°.6.2005.
Il quinto motivo di ricorso, da trattare preliminarmente in quanto attiene alla nullità in rito della sentenza, è manifestamente fondato ed assorbente.
Risulta dalla stessa sentenza impugnata che parte attrice aveva citato il Comune "onde ottenere la restituzione della somma di € 74,89 indebitamente pagata".
È ben vero che, nell'esercizio del potere d'interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito ha il potere, ma anche il dovere, d'accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale risulta desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché di tener conto del provvedimento richiesto in concreto; ma è anche vero che tale potere incontra il limite, imposto dall'art. 112 c.p.c., di rispettare i principi, da un lato, della corrispondenza della pronunzia alla richiesta e, dall'altro, dell'insostituibilità ex officio d'una diversa azione a quella formalmente proposta, dacché, in caso di violazione dei detti principi, non d'eventualmente erronee interpretazione e conseguente qualificazione della domanda tratterebbesi, bensì d'immutazione, per alterazione o sostituzione, d'uno o d'entrambi gli elementi identificativi dell’azione, petitum e/o causa petendi, e, correlativamente, di decisione estranea al thema decidendum effettivamente introdotto in giudizio e d'omessa pronunzia su di esso.
Nella specie, pertanto, espressamente propostasi un’azione di ripetizione d'indebito ex art. 2033 c.c., non poteva il giudice immutare d'ufficio il thema decidendum giudicando d'un'azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. non proposta e, comunque, estranea ad esso.
Del pari manifestamente fondati, per quanto di ragione, sono gli altri motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per palese connessione.
Devesi ricordare: come l'art. 202/I C.d.S. preveda che “Per le violazioni per le quali il presente codice stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria, ferma restando l'applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme.”; come l'art. 203/I C.d.S. preveda che “Il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell'art. 196, nel termine di giorni sessanta dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al prefetto...”; come l'art. 204bis/I C.d.S. preveda che “Alternativamente alla proposizione del ricorso di cui all'art. 203, il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell'art. 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al giudice di pace …”.
In riferimento alla ricordata normativa, il principio richiamato dal giudice a quo, per il quale “in tema di sanzioni amministrative il pagamento della somma portata dall'ordinanza ingiunzione, potendo ricollegarsi alla volontà dell'intimato di sottrarsi all'esecuzione forzata esperibile in base a detto provvedimento (il quale è titolo esecutivo e la cui efficacia non è di regola sospesa dall'opposizione) non comporta di per sé acquiescenza né incide sull'interesse ad insorgere avverso il provvedimento medesimo”, è all'evidenza non pertinente, in quanto, nella specie, il pagamento non è avvenuto a seguito d'intimazione mediante ordinanza-ingiunzione ma a seguito di contestazione mediante verbale d'accertamento notificato ed, inoltre, il detto principio opera in relazione alle sanzioni amministrative irrogate, appunto, a mezzo d'ordinanza-ingiunzione sulla base di normative diverse dal codice della strada, per le quali non è consentita l'impugnazione immediata in sede giudiziaria del verbale ma solo quella dell'ordinanzaingiunzione stessa, mentre le impugnazioni tanto in sede amministrativa quanto in sede giudiziaria sono autonomamente regolate dal codice della strada con la normativa surrichiamata che consente, tra l'altro, l'immediata impugnazione del verbale così in sede amministrativa come in sede giudiziaria e connette il potere dell'Amministrazione di formare il titolo esecutivo, diverso ed autonomo rispetto al verbale (del che in seguito) solo all'acquiescenza del destinatario.
Per il che risulta del tutto priva di giustificazione la tesi per cui l’ammissibilità d'un pagamento della sanzione con riserva, non previsto dalla richiamata normativa, troverebbe la propria ragion d'essere e la propria ammissibilità nello scopo d'evitare la riscossione coattiva della sanzione, riscossione che non può verificarsi sino all'esito dei procedimenti oppositori amministrativo e giurisdizionale, mentre il pagamento ex art. 202 C.d.S., proprio perché previsto in misura ridotta, costituisce solo una forma d'agevolazione accordata al contravventore in considerazione della sua rinunzia ad avvalersi dei mezzi oppositivi.
In vero, la normativa posta con il C.d.S., regolando compiutamente la materia, si pone con carattere di specialità e, quindi, con vis derogatoria, rispetto a quella generale sulle impugnazioni delle sanzioni amministrative di cui alla L 689/81.
Va, pertanto, anzi tutto sottolineato come il tenore letterale degli artt. 203/I e 204bis/I C.d.S. non consenta altra lettura se non quella per cui, una volta effettuato il pagamento in misura ridotta consentito dal precedente art. 202/I entro sessanta giorni dalla contestazione o notificazione del verbale, id est entro il medesimo termine nel quale sono consentiti, alternativamente, i ricorsi in sede amministrativa o giurisdizionale, rimane preclusa la possibilità d'impugnare l'accertamento dell'infrazione nell'una come nell'altra sede.
La ratio di tale disposizione è evidente ed analoga a quella dell'istituto dell'oblazione beneficio che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale riconoscendo la legittimità proprio dell'art. 202 C.d.S. in esame (sent. 25.7.94 n. 350), è offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali con la quale s'intende estinguere la specifica controversia con il versamento d'una somma di danaro, precludendo, peraltro, ad entrambe parti qualsivoglia possibilità di contestazione in ordine ai presupposti ed alle condizioni d'applicazione delle sanzioni; per il che, come già evidenziato da questa Corte, la formulazione dell'art. 202 C.d.S., prevedendo, al pari dell'art. 16 L 24.11.81 n. 689, il "pagamento in misura ridotta" corrispondente al minimo della sanzione comminata dalla legge da parte dell'indicato (nel processo verbale di contestazione) autore della violazione, implica necessariamente l'accettazione della sanzione e, quindi, il riconoscimento, da parte dello stesso, della propria responsabilità e, conseguentemente, nel sistema delineato dal legislatore anche a fini di deflazione dei processi, la rinuncia ad esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale, esperibile anche immediatamente avverso i verbali di contestazione delle violazioni alle norme del C.d.S. (Cass. 11.2.05 n. 2862).
Devesi, infatti, al riguardo ulteriormente precisare che il processo verbale d'accertamento e contestazione delle violazioni al C.d.S. non costituisce atto impositivo e non determina di per sé l'assoggettamento concreto ed attuale del contravventore all'obbligo di pagamento della sanzione pecuniaria conseguente alla violazione constatata dagli agenti verbalizzanti com'è invece per l’ordinanza ingiunzione che consegue alla reiezione del ricorso in sede amministrativa ma costituisce solo il primo atto d'un procedimento a formazione progressiva, all'esito del quale, in mancanza d'impugnazione da parte dell'interessato in sede amministrativa o giudiziaria nel prescritto termine di sessanta giorni, l'Amministrazione cui appartengono gli agenti accertatori può procedere all'iscrizione a ruolo della somma corrispondente alla sanzione effettivamente irrogata, determinata tra il minimo ed il massimo edittali, e predisporre cosi il titolo esecutivo in base al quale far luogo all'esazione forzata previa notificazione della cartella esattoriale che del ruolo costituisce un estratto.
Il contravventore, ove ritenga che i rilievi dei verbalizzanti siano infondati od ingiustificati, può esporre le sue ragioni e sollevare le sue contestazioni nello stesso verbale e, comunque, può proporle e riproporle, sia in sede amministrativa con il ricorso al Prefetto, sia direttamente in sede giudiziaria con l'opposizione innanzi al G.d.P., per far riconoscere l'infondatezza, totale o parziale, della contestazione, come in concreto in quell'atto verbalizzata, così per quanto riguarda l'infrazione propriamente detta, come per quanto riguarda la sua contestazione e la sanzione indicata.
Quanto a quest'ultima, peraltro, la legge, con la disposizione contenuta nell'art. 202 C.d.S., ammette a favore del contravventore la possibilità di prevenirne l'irrogazione e di impedirne l'esercizio, mediante il versamento all'Amministrazione, nel termine di sessanta giorni dalla data della contestazione immediata o della notificazione del verbale, id est nello stesso termine stabilito per la proposizione delle impugnazioni in sede amministrativa o giurisdizionale, di una somma pari al minimo della sanzione pecuniaria edittale prevista dalla legge per le violazioni contestate nel verbale stesso.
Si tratta d'una facoltà d'oblazione concessa dalla legge, il cui esercizio è rimesso alla libera valutazione le determinazione del contravventore, con funzione ed effetto di chiudere immediatamente e definitivamente, in termini e secondo modalità e parametri oggettivi prefissati dalla stessa legge, il rapporto tra contravventore ed Amministrazione in ordine alle conseguenze sanzionatorie delle violazioni rilevate, definizione dalla quale l'Amministrazione trae il vantaggio della pronta e incontestata riscossione d'una somma oggettivamente commisurata nel minimo della sanzione pecuniaria edittale, ed il contribuente quello dell'abbandono totale ed incondizionato d'ogni altra e maggiore pretesa sanzionatoria da parte dell'Amministrazione.
Ma proprio per ciò, perché la detta funzione non venga ad essere vanificata, una volta che la facoltà di oblazione sia stata esercitata, essa, impedendo in maniera definitiva l'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'ufficio, non può non comportare correlativamente, stante la sua sostanziale natura transattiva, la definitiva preclusione per il contravventore di contestare e mettere in discussione i presupposti di fatto della sanzione, id est la legittimità dell'accertamento della violazione, e la sua applicabilità in concreto; in caso contrario, essendosi ormai estinto il potere sanzionatorio dell'Amministrazione, che non può più determinare la misura della sanzione pecuniaria questa rapportando alla concreta gravità della violazione, sia pur tra il minimo ed il massimo edittali, ne deriverebbe un inammissibile ed ingiustificabile privilegio per il contravventore.
D'altra parte espressamente preclusi, come inequivocamente precisato dal primo comma sia dell'art. 203 sia dell'art. 204 bis C.d.S., entrambi i mezzi oppositori nell'ipotesi in cui il contravventore si sia avvalso della facoltà di pagamento ridotto e non prevedendo le disposizioni citate alcuna possibilità di pagamento con riserva di ripetizione l'operata soluzione comporta la legittimità dell'incasso della somma da parte dell'amministrazione titolare della pretesa sanzionatoria, la cui fondatezza non può più essere rimessa in discussione attraverso un tardivo sindacato sul pregresso accertamento dell'illecito; diversamente argomentando, sarebbero surrettiziamente aggirati i termini e le preclusioni previsti dalle norme sul relativo contenzioso sia in sede amministrativa sia in sede giurisdizionale e si darebbe ingresso ad un inammissibile sindacato peraltro diretto ad hoc e non meramente incidentale, quale previsto dalle fondamentali regole di riparto poste dalle disposizioni degli artt. 4 e 5 della L 20.3.1865 n. 2248 all. E sul diritto dovere della P.A. a far proprie le somme derivanti dal pagamento delle sanzioni, ormai divenute inoppugnabili con conseguente liceità della relativa percezione e ritenzione.
Per tutte le esposte ragioni, l'effetto di definitività e preclusione dell'oblazione s'estende, poi, a qualsiasi attività delle parti, onde anche un'eventuale revisione della situazione ad iniziativa dell'Amministrazione, con annullamento d'altri provvedimenti ancora in itinere, non consentirebbe interventi sui procedimenti ormai definiti con oblazione.
Tale conclusione vale, parimenti, per le azioni di qualsivoglia natura con le quali il contravventore pretenda di rimettere in discussione la legittimità dell'accertamento dell'infrazione sulla quale, per quanto sopra evidenziato, con il pagamento in misura ridotta ha fatto acquiescenza e, quindi, non solo per l'impugnazione ex art. 204 bis C.d.S., ma anche per eventuali pretese civilistiche quali la condictio indebiti e l'actio damni.
Le ulteriori ragioni di censura restano assorbite.
Il ricorso va, pertanto, accolto per le esposte ragioni e l'impugnata sentenza va, consequenzialmente, cassata, peraltro senza rinvio, potendo la rilevata improponibilità dell'originaria domanda essere dichiarata in questa sede ex art. 384/I c.p.c. con reiezione della domanda stessa.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l'originaria domanda; condanna parte intimata alle spese che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 400,00 per onorari oltre ad accessori di legge.
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