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- Dott.ssa Maristella Giuliano
Pensiline aree tranviarie: gestione spazi pubblicitari
Consiglio di Stato V sez.
1 agosto 2007, n. 4270
La concessione di servizi pubblici è un “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo …” (art. 3, co. 12).
Nel caso di affidamento della gestione degli spazi pubblicitari ricavabili sulle pensiline delle fermate della rete autotranvaria si realizza un rapporto trilaterale tra amministrazione concedente, concessionario ed utenti, nel quale il concessionario agisce in luogo dell’amministrazione cedendo gli spazi a terzi, dietro compenso, e, nei confronti dell’amministrazione, è tenuto al pagamento di un canone, al quale, nella specie, si aggiunge la fornitura ed il servizio di manutenzione suddetti. Sussistono, pertanto, i caratteri distintivi della concessione di servizio pubblico.
Ex art. 33 decreto 80/98, così come risulta dopo la sentenza 204/2004 le relative controversie appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - Con bando di gara pubblicato dal 21 aprile 2004, l’Azienda Trasporti Milanesi s.p.a. – A.T.M. (di seguito, ATM) ha sollecitato gli operatori del settore a manifestare formalmente il proprio “interesse allo sfruttamento degli spazi pubblicitari sulle pensiline di fermata esistenti e di futura installazione, comprensivo della fornitura di nuove pensiline o sostituzione delle pensiline esistenti”.
Tanto al fine della stipula, tramite negoziazione di tipo privatistico, di un contratto che prevede, da parte dell’operatore privato, la sostituzione delle pensiline di fermata sulla rete autofilotramviaria di Milano, la fornitura di nuove e la manutenzione di quelle installate, nonché la corresponsione di un canone in favore di ATM; il tutto, a fronte del diritto di sfruttare gli spazi pubblicitari sulle pensiline.
I requisiti per l’ammissione alla selezione sono stati successivamente precisati con nota pubblicata l’11 maggio 2004.
Avverso i menzionati atti la Cemusa s.a. (di seguito, Cemusa), intenzionata a partecipare alla procedura, ha adito il competente TAR Lombardia con ricorso, contraddistinto dal numero 3057/2004, successivamente integrato da due atti di motivi aggiunti, diretti a censurare, rispettivamente, la lettera di invito e la nota ATM n. 1284 del 30 marzo 2005.
La ricorrente, che ha partecipato con tempestiva offerta alla procedura, ha poi impugnato con altro ricorso l’aggiudicazione in favore dell’associazione temporanea d’imprese capeggiata dalla Società IGP Decaux.
Il primo ricorso è stato deciso dalla III Sezione del T.A.R. con la sentenza n. 2306, pubblicata in data 22 giugno 2005, che ha in parte dichiarato inammissibili per carenza di interesse ed in parte respinto le censure dedotte.
In particolare, il giudice di primo grado: ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’ATM; ha dichiarato inammissibili i primi sette motivi del gravame; e, previo rigetto di altre eccezioni, ha respinto nel merito i motivi ottavo, nono, decimo ed undicesimo, oggetto del primo atto di motivi aggiunti, ed i motivi dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo, oggetto del secondo atto di motivi aggiunti.
Avverso la citata pronuncia, di cui si lamenta l’erroneità, si dirige l’appello in epigrafe, con il quale sono riproposti i motivi di censura non esaminati in primo grado e si contesta le ragioni sulle quali la sentenza si fonda; chiedendo, in conclusione, che, in riforma di questa, sia accolto l’originario ricorso e siano annullati i provvedimenti impugnati; con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio.
Per resistere si è costituita in giudizio l’ATM, la quale, riproposta con appello incidentale l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, ha controdedotto, concludendo perché sia respinto l’appello principale, siccome inammissibile, improcedibile e comunque infondato; sia, in ogni caso, accolto l’appello incidentale; con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio.
La causa è stata trattata all’udienza pubblica del 23 Giugno 2006, nella quale, sentiti i difensori presenti, il Collegio si è riservata la decisione.
DIRITTO
Va esaminata in via preliminare l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, disattesa in primo grado, che l’Azienda pubblica resistente ripropone con appello incidentale, impugnando il relativo capo della sentenza gravata e sostenendo che nella specie non si tratta di appalto, né di concessione di servizio pubblico, né di procedura per la quale il soggetto procedente sarebbe tenuto all’applicazione di norme comunitarie.
Al fine di valutare la fondatezza dell’eccezione, è necessario qualificare il rapporto che l’Azienda ha voluto instaurare con la procedura contestata e, in particolare, accertare se, nella specie, si verta in materia di appalto o di concessione di servizi.
In proposito, la giurisprudenza distingue l’appalto dalla concessione per il fatto che, nel primo, le prestazioni (di servizio, di fornitura o di lavori) sono rese in favore dell’amministrazione, mentre la seconda è caratterizzata dalla costituzione di un rapporto trilaterale, tra amministrazione, concessionario ed utenti.
Nella concessione di servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nel corrispondente appalto l’obbligazione di compensare l’attività svolta dal privato grava a carico all’amministrazione. Nello stesso senso dispone attualmente il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, emanato con D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, che definisce la concessione di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo …” (art. 3, co. 12).
Nel caso in esame, il procedimento controverso è diretto ad individuare il soggetto che, a fronte dell’affidamento del servizio di gestione degli spazi pubblicitari ricavabili sulle pensiline di fermata della rete autofilotranviaria, faccia la migliore offerta tecnico-economica, comprensiva di un canone per l’utilizzazione di quegli spazi, della fornitura di nuove pensiline e del servizio di manutenzione sia di quelle esistenti che di quelle future.
Si instaura, dunque, un rapporto trilaterale tra amministrazione concedente, concessionario ed utenti, nel quale il concessionario agisce in luogo dell’amministrazione cedendo gli spazi a terzi, dietro compenso, e, nei confronti dell’amministrazione, è tenuto al pagamento di un canone, al quale, nella specie, si aggiunge la fornitura ed il servizio di manutenzione suddetti. Sussistono, pertanto, i caratteri distintivi della concessione di servizio pubblico (cfr. in termini, con specifico riguardo all’affidamento della gestione di spazi pubblicitari, Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 2006 n. 3333).
La controversia, allora, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 33 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come modificato dall’art. 7 L. n. 205 del 2000, nella stesura risultante dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, che al giudice amministrativo attribuisce “le controversie in materia di pubblici servizi, relative a concessioni di pubblici servizi”.
Siccome infondata, l’eccezione di difetto di giurisdizione va, quindi, respinta e ciò comporta la reiezione altresì dell’appello incidentale, di cui essa costituisce oggetto esclusivo.
Può passarsi, ora, all’esame dell’appello principale.
In primo luogo, la società ricorrente si duole che il Tribunale abbia dichiarato inammissibili i primi sette motivi del ricorso originario, a causa dell’acquiescenza da essa sostanzialmente prestata manifestando, con la partecipazione alla gara in questione, il proprio interesse all’aggiudicazione a mezzo del sistema a trattativa privata prescelto dall’amministrazione.
L’argomentazione, secondo l’appellante, sarebbe inconferente in quanto relativa all’ipotesi di trattativa privata in senso proprio impiegata, come metodo di scelta del contraente, in luogo di una gara pubblica. Nel caso di specie, invece, ricorrendo una procedura di selezione comparativa, assimilabile in tutto e per tutto ad una gara pubblica, troverebbe applicazione il principio giurisprudenziale in base al quale è solo con la presentazione della domanda di partecipazione alla gara che l’impresa assume una posizione giuridica differenziata rispetto alle altre ditte presenti sul mercato, come titolare di un interesse legittimo giudizialmente tutelato, che l’abilita a sindacare la legittimità del bando della gara alla quale ha dimostrato in concreto di voler prendere parte.
Alla stregua di tale principio i primi sette motivi di ricorso sarebbero ammissibili.
Si sostiene che, ad ogni modo, la ritenuta acquiescenza non sarebbe configurabile nella specie, avendo la ricorrente provveduto ad impugnare sia il bando della procedura indetta o avviso di negoziazione che la lettera d’invito, prima di presentare offerta, con ciò effettuando ben più di una semplice riserva in ordine alla contestazione del metodo di selezione prescelto.
La censura non è condivisibile.
Nel caso in esame, invero, che la concessione sarebbe stata attribuita tramite negoziazione di tipo privatistico risultava dall’avviso pubblicato il 21 aprile 2004 che l’appellante ha impugnato con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado proprio contestando la scelta del sistema, cosicché la dimostrazione dell’interesse all’impugnativa e, quindi, del requisito di ammissibilità di questa, l’interessata l’ha data con la richiesta di essere invitata alla successiva procedura di negoziazione. Quel che induce a ritenere sopravvenuta l’acquiescenza è, invece, l’ulteriore comportamento tenuto dalla società ricorrente, la quale dopo aver sollecitato chiarimenti sulle modalità di formulazione dell’offerta ha presentato la sua offerta senza alcuna contestuale riserva, manifestando, così, la volontà incondizionata di partecipare alla procedura in un primo tempo contestata. Né la precedente attività giudiziaria può essere intesa come univoco indice di una diversa volontà, sia perché la sua anteriorità la rende suscettibile di essere contraddetta da un successivo comportamento incompatibile; sia perché espressamente qualificata come cautelativa, vale a dire posta in essere per precostituirsi il mezzo di tutela in vista di un possibile esito non gradito della procedura.
La prima parte dei motivi d’appello, contrassegnata dalle lettere B) e C), pertanto, va respinta siccome infondata; con preclusione dell’esame dei motivi dichiarati inammissibili dal Tribunale.
Nella seconda parte del gravame, contraddistinta dalla lettera D), la ricorrente censura la decisione di rigetto assunta dal primo giudice sui motivi di ricorso dedotti con i due atti di motivi aggiunti e, dunque, a partire dall’ottavo.
Si tratta di doglianze relative a singole disposizioni della lettera d’invito e degli elaborati ad essa allegati, quali in particolare il disciplinare d’oneri e la specifica tecnica, nonché alla successiva lettera di chiarimenti.
Le disposizioni considerate, tuttavia, non attengono alla possibilità di partecipare alla procedura, né tanto meno l’impediscono, ma riguardano l’oggetto del contratto da stipularsi da parte dell’aggiudicatario ovvero le prestazioni gravanti a carico delle parti contraenti. Esse, peraltro, non risultano neppure annoverabili, come invece assume la ricorrente per prevenire un giudizio d’inammissibilità della loro autonoma impugnativa, tra quelle clausole degli atti regolatori della gara tanto irragionevoli, contraddittorie od incongrue, da precludere in radice la formulazione dell’offerta sulla base di un attendibile calcolo di convenienza tecnica od economica.
Ne consegue che le clausole contestate, in realtà, non consentivano l’impugnazione degli atti in cui sono contenute se non unitamente ai provvedimenti che di esse avessero fatto applicazione in danno dell’interesse del concorrente, come l’esclusione dell’offerta dalla valutazione o l’aggiudicazione ad altro concorrente.
E ciò nel rispetto dei principi in tema di concretezza e attualità della titolarità dell’interesse all’azione, che consentono possa dolersi dell’illegittimità degli atti amministrativi solo chi da essi riceva una lesione immediata e certa, non essendo il ricorso giurisdizionale rimedio dato nell’interesse astratto della giustizia o per ottenere la mera enunciazione dei parametri di legalità dell’azione amministrativa, disancorati da un effettivo e non ipotetico vantaggio derivante all’attore nel caso in contestazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2003 n. 1634).
L’autonoma impugnazione avanzata in primo grado con gli atti di motivi aggiunti, dunque, prima che infondata, andava dichiarata inammissibile. Di qui l’infondatezza delle censure di appello che di quei motivi costituiscono sostanziale riproposizione.
Per le ragioni tutte fin qui esposte, anche l’appello principale deve essere respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello principale in epigrafe e l’appello incidentale.
Documenti allegati
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