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R.C.A., straniero ed azione diretta nei confronti dell'assicuratore (Commento a Cass. civ. n. 450/2011)

Di Giorgio RISPOLI

SOMMARIO: 1. Il fatto. – 2. Le posizioni della giurisprudenza di merito. – 3. Le posizioni della giurisprudenza di legittimità. – 4. Il trattamento giuridico dello straniero nel codice previgente ed in quello attuale. 5. Lo straniero ed il risarcimento del danno. 6. La tutela risarcitoria dello straniero: l’azione diretta contro l’assicuratore e nei confronti del Fgvs ex art. 144 d.p.r. 209/2005. 7) Gli strumenti di tutela riconosciuti allo straniero. – 8) Conclusioni.

 

1. Il fatto.

La madre di un cittadino extracomunitario deceduto in seguito ad un incidente stradale cita in giudizio il danneggiante nonché la sua compagnia assicuratrice per sentirli condannare al risarcimento del danno che ella ha subito a cagione della dipartita di suo figlio, investito dall’auto di grossa cilindrata del danneggiante mentre viaggiava in bicicletta in un piccolo centro. La compagnia assicuratrice de quo si costituisce in tale giudizio eccependo – fra l’altro – la mancanza della reciprocità ai sensi dell’art. 16 disp. prel. c.c. in relazione a parte attrice, di nazionalità albanese. Per tale motivo il Tribunale adito rigetta la pretesa attorea. Parte soccombente propone allora appello. Anche in sede di gravame l’istanza viene però rigettata ravvisando l’operatività della condizione di reciprocità ex art. 16 disp. prel. c.c. in relazione all’ordinamento albanese e la necessarietà per parte attrice di fornire la prova di siffatta condizione. Proprio l’omesso adempimento del predetto onere probatorio avrebbe determinato – a giudizio della Corte adita – l’inammissibilità della domanda di parte attrice che propone ricorso per Cassazione ove viene riconosciuto il suo diritto al risarcimento del danno.

 2. Le posizioni della giurisprudenza di merito.

La questione relativa all’applicabilità o meno dell’art. 16 disp. prel. c.c. in ipotesi di richiesta di risarcimento danni derivanti dalla morte dello straniero in seguito a sinistro avanzata dai suoi prossimi congiunti è argomento vivacemente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza. Si registrano a tal proposito – nelle pronunce edite – un caleidoscopio di opinioni differenti. Nel presente paragrafo si esaminano le conclusioni sul punto proposte dalla giurisprudenza di merito e si rinvia al prossimo per l’esame delle decisioni di legittimità. Siffatte decisioni sono qui esposte in linea generale. L’approfondimento delle singole problematiche peculiari è infatti contenuto nei paragrafi ad esse dedicati. A tal proposito la decisione da cui prendere le mosse – anche in ordine cronologico – è una sentenza del Tribunale di Roma[1] secondo cui l’ente gestore di un’assicurazione sociale (nella fattispecie tedesco) che abbia corrisposto ad un cittadino italiano – sotto forma di pensione – l’indennizzo dei danni subiti a causa di un sinistro stradale ha diritto di agire in surroga per le somme erogate, sia ex art. 1916 c.c., contro il responsabile civile nel limite posto dall’ammontare del risarcimento, sia ex art. 18 della legge n. 990 del 1969, contro l’assicuratore dello stesso responsabile, con l’ulteriore limite dell’entità del massimale, al fine di ottenere nei confronti di costoro la condanna solidale al rimborso. Invero poiché l’ordinamento giuridico tedesco consente all’assicuratore straniero – anche sociale – di agire in surroga nei confronti sia del responsabile civile che del suo assicuratore per la ripetizione di quanto pagato al proprio assicurato, ricorre, ai sensi dell’ art. 16 disp. prel. c.c. il presupposto della condizione di reciprocità legittimante l’esperimento dinanzi al giudice italiano delle sopra citate azioni di surroga. Alcune pronunce di due diverse corti di merito emiliane[2] – successive di un quinquennio rispetto alla precedente – hanno precisato che l’esistenza della condizione di reciprocità prevista dall’ art. 16 disp. prel. c.c. per il cittadino straniero, pur traendo fondamento da norme di legge (straniere) si pone come fatto costitutivo della domanda e deve essere provato dalla parte, sottraendosi quale dato di fatto al principio jura novit curia e rimanendo ancorato al principio dispositivo. Nella fattispecie un cittadino tunisino veniva convenuto per il risarcimento dei danni conseguenti a sinistro stradale. Nell’ipotesi contraria, ossia ove lo straniero – che non sia cittadino di paesi della Comunità europea – abbia riportato danni alla persona in conseguenza di un sinistro stradale causato da un veicolo rimasto ignoto, ha azione nei confronti del Fondo di garanzia soltanto se dimostri la sussistenza della condizione di reciprocità ex art. 16 disp. prel. c.c. Siffatto orientamento è stato corroborato da una pronuncia del Giudice di pace di Novara[3] ad avviso del quale il danno morale sofferto dal cittadino straniero – privo di permesso di soggiorno – in seguito alla morte del fratello – titolare invece di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro – avvenuta a causa di sinistro stradale, è risarcibile sono allorché il cittadino provi, oltre al legame parentale con la vittima, l’esistenza della condizione di reciprocità imposta dall’ art. 16 disp. prel. c.c. , alla stregua del proprio ordinamento nazionale. Le sentenze più recenti sono invece pervenute a soluzioni antitetiche circa il problema della possibilità per lo straniero di esercitare la pretesa risarcitoria nei confronti del fondo di garanzia per le vittime della strada in ipotesi di lesioni personali riportare a seguito di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato. Secondo una tesi, in tale fattispecie lo straniero non dovrebbe dimostrare la condizione di reciprocità predetta e cioè che lo Stato cui appartiene riconosce – senza limitazioni discriminatorie per il diritto italiano – i diritti civili connessi al risarcimento del danno ed all’istituto dell’assicurazione[4]. Tale legittimazione è altresì estesa ai prossimi congiunti in ipotesi di straniero deceduto a seguito d’incidente stradale, ancorché residenti in uno stato estero qualora agiscano – anche nei confronti dell’assicuratore del responsabile – chiedendo il risarcimento del danno biologico iure proprio e del danno non patrimoniale conseguente alla compromissione definitiva del rapporto parentale, limitatamente alla sua componente satisfattiva, trattandosi di pregiudizi derivanti dalla lesione di diritti inviolabili costituzionalmente garantiti[5]. A siffatta prospettazione si contrappone l’impostazione per cui in ipotesi di sinistro stradale causato da un veicolo non identificato o sprovvisto di assicurazione lo straniero, il quale intenda esercitare il diritto al risarcimento del danno nei confronti del fondo di garanzia per le vittime della strada, previsto dall’art. 19 l. 24 dicembre 1969 n. 990, deve dimostrare – ai sensi dell’ art. 16 disp. prel. c.c., che lo stato cui egli appartiene riconosce senza limitazioni discriminatorie per il cittadino italiano i diritti civili connessi al risarcimento del danno e all’istituto dell’assicurazione. Inoltre l’accertamento della legge straniera che assicura la condizione di reciprocità, configurandosi questa legge come mero fatto, come evidenziato in precedenza, non è soggetto al principio iura novit curia bensì a quello relativo all’onere della prova. Rappresentando peraltro la sussistenza della condizione di reciprocità elemento costitutivo della pretesa del danneggiato[6].

3. Le posizioni della giurisprudenza di legittimità.

Occorre ora esaminare le argomentazioni espresse sul punto dalle decisioni edite della Cassazione. La Suprema Corte si è infatti occupata – in alcuni recenti pronunciati – della necessità della prova relativa alla condizione di reciprocità ex art. 16 preleggi in capo allo straniero – o ai suoi prossimi congiunti – che esperiscono un’istanza risarcitoria nei confronti del danneggiante o del FGVS, aderendo alla tesi ampliativa già evidenziata nell’esposizione delle più recenti decisioni di merito. Nel caso[7] di soggetto imputato per omicidio colposo cagionato da condotta di guida negligente, imperita, imprudente nonché contraria alle norme del C. d. S. (l’omicida procedeva a velocità superiore al consentito e comunque eccessiva rispetto all’ora notturna ed alle caratteristiche dei luoghi ed aveva operato un sorpasso superando le linee continue di mezzeria, così da invadere l’opposta corsia di marcia lungo la quale procedeva la vettura della vittima, che proveniva in senso contrario, andando a collidere con la stessa), la Cassazione ha riformato la statuizione della Corte d’Appello a quo con cui questa aveva estromesso le parti civili (i prossimi congiunti della vittima cittadino extracomunitario) ritenendo che tali soggetti non fossero legittimati ad ottenere il risarcimento del danno in difetto di condizioni di reciprocità. Secondo la Suprema Corte invece l’art. 16 disp. prel. c.c. si riferisce unicamente alla capacità di diritto privato, mentre i diritti politici rimangono riservati in linea di massima ai cittadini, indipendentemente da qualsiasi riferimento alla regolamentazione che essi assumono in altri stati. Pertanto la reciprocità sarebbe da intendersi soddisfatta allorché risulta che lo stato estero non pone alcuna discriminazione a danno del cittadino italiano e quindi si deve del tutto prescindere dalle modalità di esercizio regolamentate dalla legge straniera rispetto a quella italiana e si deve aver riguardo solo al diritto nella sua oggettiva natura. Sicchè il principio di reciprocità costituirebbe una condizione di efficacia della norma che attribuirebbe un diritto allo straniero e non dovrebbe essere dunque confuso con il riconoscimento di tale diritto. Ne consegue che in caso di contestazione la condizione di reciprocità dovrebbe essere provata da chi invoca il diritto, trattandosi di un fatto costitutivo della relativa pretesa. In particolare il relativo accertamento costituirebbe un giudizio di fatto riservato al giudice di merito[8]. È altresì affermato in giurisprudenza[9] che tale condizione non è richiesta qualora il diritto azionato è compreso nel novero dei diritti inviolabili (ad es. quello alla libertà personale, all’inviolabilità del domicilio, alla libertà e segretezza della corrispondenza, alla libertà religiosa e di manifestazione del pensiero, all’accesso alla tutela giurisdizionale o principi cardine dell’ordinamento quale la personalità della responsabilità penale). Oltre a questi diritti la Cassazione ha riconosciuto[10] che esistono anche altre situazioni per le quali non opera la condizione di reciprocità. Ad esempio i diritti inviolabili come quelli alla vita ed alla salute, che non possono dipendere dalla legislazione vigente nel paese dello straniero senza porsi in contrasto con i principi contenuti nella Costituzione italiana, con la quale l’art. 16 delle preleggi deve comunque confrontarsi. Inoltre la norma medesima contiene un riferimento espresso ad eventuali disposizioni contenute in leggi speciali, che esonerano lo straniero dalla condizione di reciprocità. Si pensi alla normativa contenuta nel testo unico di disciplina dell’immigrazione, che all’art. 2 regolamenta i diritti ed i doveri dello straniero – al quale – se regolarmente soggiornante in Italia, riconosce i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, facendo tuttavia salva una diversa disposizione del testo unico medesimo o di altre convenzioni internazionali. Inoltre l’art. 1 reg. att. che disciplina l’accertamento della condizione di reciprocità afferma che siffatto accertamento non è richiesto per i cittadini stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, oppure per l’esercizio di un’impresa individuale e per i relativi familiari. Sul punto la Suprema Corte ha osservato che la norma citata – in ordine all’estensione dei diritti del soggiornante ai familiari – non distingue fra quelli residenti in Italia ed i non residenti, condizione eventuale che potrebbe dipendere da molteplici situazioni (ad es. l’attesa di un sospirato ricongiungimento familiare dilazionato dalla lunghezza del relativo procedimento amministrativo). In tale prospettiva parrebbe ovvio che il non residente in Italia possa non avere né l’interesse né la possibilità di attivare alcune posizioni giuridiche soggettive intimamente connesse allo status di residente quale il diritto all’istruzione oppure all’assistenza sanitaria ma ciò non significa che la legge intenda determinare asimmetrie disciplinari nelle situazioni che non dipendono dalla residenza. È proprio questo il caso dei prossimi congiunti che agiscono iure proprio e non iure successionis allorché il loro diritto discende dalla perdita del bene fondamentale della vita del loro familiare, causata da un fatto penalmente rilevante e che quindi i diritti azionati sono intimamente dipendenti dalla lesione di un diritto che la Costituzione italiana riconosce a tutte le persone a prescindere dal loro status di cittadini o di stranieri. Questo legame non è infatti indifferente alla valutazione che occorre dare del contenuto della disciplina dell’immigrazione, che in linea generale riconosce ai familiari dell’immigrato i diritti attribuiti al cittadino italiano, non essendo ragionevole escludere – soltanto in virtù dell’assenza di costoro in Italia – le conseguenze giuridiche che la perdita della vita per colpa altrui determina nella sfera degli stretti congiunti della vittima. Ciò in quanto è principio costituzionale che la garanzia dei diritti fondamentali e di quelli inviolabili si fondano anche sui doveri inderogabili di solidarietà sociale. Pertanto – a giudizio della Suprema Corte – la loro tutela la presuppone il rispetto del principio di eguaglianza e non discriminazione. In tale ottica i familiari del congiunto extracomunitario deceduto in seguito a sinistro stradale potrebbero ottenere anche il ristoro dei danni per il lucro cessante e per gli oneri delle spese funerarie. Questo perché tali spese sarebbero necessarie per onorare degnamente la sepoltura della vittima e dunque strettamente collegate alla sua persona, laddove il risarcimento del lucro cessante deriverebbe dai vincoli di solidarietà familiare che impongono alla persona il sostentamento dei propri congiunti. Alla luce di quanto prospettato emerge come discriminare la posizione e sostenere che solo i familiari stranieri soggiornanti in Italia hanno diritto al predetto trattamento – senza condizione di reciprocità – mentre coloro che vivono all’estero non ne sono soggetti, rivelerebbe un’irragionevole disparità di trattamento, fondata peraltro su di un’interpretazione della normativa in tema d’immigrazione del tutto avulsa dai sopra citati principi costituzionali. Ne discenderebbe anche che la tutela del bene-vita dello straniero avrebbe rilievo solo in ambito penalistico, senza alcuna conseguenza civilistica, per cui i legami solidaristici che sono a fondamento dei rapporti familiari cesserebbero con la sua morte nei confronti di persone destinatarie del suo apporto patrimoniale, se viventi all’estero, mentre essi potrebbero dispiegare i loro effetti e tradursi in diritti risarcitori nei confronti dei familiari regolarmente soggiornanti in Italia. Si verrebbe quindi a creare una diversità di trattamento che inciderebbe anche sul valore della vita di colui che è la vittima del fatto lesivo: vita che è tale non solo per il valore biologico della persona, ma per i rapporti che questa ha sviluppato, che ne estendono i limiti oltre quelli strettamente riguardanti il corpo e rappresentano la parte spirituale, relazionale, affettiva che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi. Ne conseguirebbe che la vita di uno straniero senza congiunti in Italia varrebbe molto meno di quella del cittadino italiano, pur essendogli attribuiti in vita gli stessi diritti, perché verrebbe escluso ogni rilievo alla sua valenza spirituale, che si traduce nei molteplici diritti e doveri di relazione che ad altri soggetti vengono riconosciuti come produttivi di effetti giuridici dopo la morte. Verrebbe infatti negato il suo diritto di essere tenuto in considerazione anche post mortem, per la perdita che i suoi congiunti subiscono altresì dal punto di vista economico. La perdita della vita umana così opinando non troverebbe alcuna forma di risarcimento, nonostante il rapporto del cittadino con lo Stato Italiano non sia stato occasionale, ma dovuto ad una richiesta di lavoro di cui la nazione si è giovata. Pertanto – precisa la Cassazione – andrebbe invece effettuata una ragionevole lettura della disciplina relativa all’immigrazione tale da ritenere che il trattamento giuridico conseguente alla lesione del bene vita spetta ai familiari dello straniero alla stessa stregua di quelli del cittadino italiano, siano o non siano questi residenti in Italia. In altra fattispecie all’attenzione della Suprema Corte[11] i prossimi congiunti di un cittadino extracomunitario deceduto dopo essere stato investito da un veicolo che viaggiava a forte velocità hanno proposto istanza risarcitoria al FGVS, essendo rimasto ignoto il conducente del veicolo investitore. La Cassazione ha così censurato la decisione della corte di merito a quo nel punto ove ha qualificato l’accertamento della legge straniera sullo stesso piano di un mero fatto, ponendo a carico della parte l’onere della prova della sussistenza della condizione di reciprocità ex art. 16 disp. prel. c.c. Questo perché l’individuazione della legge applicabile discenderebbe dalle norme di conflitto dell’ordinamento italiano e non potrebbe considerarsi, considerato che spetta al giudice individuare la normativa che regola un rapporto[12]. Tale principio è sancito all’art. 14 della L. 31 maggio 1995 n. 218[13] che recita “l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice”. In virtù di tale norma – applicabile secondo un filone giurisprudenziale anche ai processi iniziati prima della sua entrata in vigore[14] – è compito del giudice accertare il contenuto della normativa straniera applicabile al caso, eventualmente avvalendosi anche degli strumenti indicati nelle convenzioni internazionali e delle informazioni acquisite tramite il Ministero della giustizia oppure avvalendosi di quelle assunte tramite esperti o istituzioni specializzate. In tale prospettiva il giudice può dunque ricorrere a qualsiasi mezzo – anche informale – al fine di garantire effettività al diritto straniero applicabile, valorizzando altresì il ruolo attivo delle parti come strumento utile per la relativa acquisizione.

 4. Il trattamento giuridico dello straniero nel codice previgente ed in quello attuale.

 Alla luce di quanto prospettato l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 16 disp. prel. c.c. – fatta propria dalla Cassazione sia nelle decisioni più recenti sia nel provvedimento in epigrafe – comporta non solo che della condizione di reciprocità non debba tenersi conto al fine di assicurare allo straniero il risarcimento della lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito (argomentando ex art. 2 Cost), ma anche che lo straniero danneggiato possa avvalersi di tutti gli strumenti risarcitori apprestati per il cittadino, anche quelli diretti verso un soggetto diverso da quello che ha provocato la lesione[15]. Pertanto a tale assunto si perviene non da una mera esegesi del testo normativo bensì attraverso un’operazione ermeneutica che implica una lettura costituzionalmente orientata del dato letterale. Ciò a causa della scelta del legislatore del 1942 di inserire nel corpo delle disposizioni preliminari il principio di reciprocità, che a quell’epoca era risultata innovativa rispetto alla precedente codificazione. Ed infatti il codice del 1865 – in ossequio ad un principio di solidarietà dei popoli mutuato dalle vicende risorgimentali – equiparava ai sensi dell’art. 3 il trattamento giuridico dello straniero a quello del cittadino italiano, ammettendo lo straniero a godere incondizionatamente dei diritti civili riconosciuti all’italiano. Tale visione si contrapponeva peraltro all’art. 11 del code civil francese del 1804. Tuttavia la successiva legislazione complementare ha operato un temperamento della tendenziale equiparazione fra cittadini e stranieri, apportando numerose deroghe ed introducendo svariate misure restrittive che limitavano per gli stranieri in Italia la libertà di commercio, la facoltà di alienazione e disposizione dei beni, la tutela giurisdizionale, lo svolgimento di determinate attività professionali e cariche pubbliche. In virtù delle condizioni storiche certamente più sensibili al principio di nazionalità il legislatore del 1942 ha subordinato il godimento dei diritti da parte dello straniero nel territorio dello Stato al principio di reciprocità, giudicando illusoria “la speranza nutrita dal legislatore del 1865” nonché eccessivamente liberale e tale da rappresentare un motivo di debolezza per il Governo nei rapporti internazionali nonché un intralcio nel campo della legislazione interna[16]. Ciò anche a tutela dell’aumentato flusso migratorio degli italiani verso l’estero. È tuttavia da ritenere che siffatta condizione – derivante dal rilievo della diversità di trattamento riservata allo straniero – costituisce una sorta di ritorsione (per alcuni addirittura di rappresaglia) idonea a stimolare i vari ordinamenti verso una parificazione dei trattamenti. Sembrerebbe inoltre adeguato sottolineare come l’art. 16 disp. prel. c.c. si riferisce esclusivamente alla capacità di diritto privato, ossia quella concernente ad es. la materia familiare, testamentari o, contrattuale. I diritti politici restano invece in linea di massima riservati ai cittadini, indipendentemente da qualsiasi riferimento alla regolamentazione che assumono negli altri Stati. Tuttavia in epoca odierna l’art. 16 delle preleggi sembrerebbe quanto mai anacronistico in un contesto di globalizzazione, integrazione europea, cooperazione fra Stati e flussi migratori consistenti quale quello attuale. Pertanto il suo ambito applicativo è stato considerato in dottrina residuale e se ne propugna un’interpretazione in un ottica particolarmente sensibile ai diritti umani[17].

5. Lo straniero ed il risarcimento del danno.

La sentenza in commento si sofferma inoltre sulle categorie concettuali dei danni risarcibili così come modulate da un’accorta giurisprudenza pretoria svolgendo tutta una serie di considerazioni – in un certo senso quasi obiter – relative agli ultimi sviluppi di siffatta evoluzione giurisprudenziale[18]. Per comprendere meglio il contenuto e la portata di tali riflessioni sono opportuni alcuni sintetici riferimenti circa le nozioni fondamentali di quell’articolato sottosistema del diritto privato rappresentato dalla responsabilità civile. Ai sensi dell’art. 2043 c.c. – norma cardine in tema d’illecito aquiliano – “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Come peraltro precisato in dottrina ed in giurisprudenza non ogni danno è ingiusto, ma soltanto quello che risulti lesivo di una posizione giuridica astrattamente tutelata dall’ordinamento nell’attuale momento storico[19]. Inoltre l’art. 2059 c.c. limita il risarcimento dei danni non patrimoniali (ossia quelli non coincidenti con una mera perdita economica) ai “casi determinati dalla legge”. Pertanto la risarcibilità di tali danni sembrerebbe richiedere un’ulteriore ed espressa disposizione di legge[20]. La più recente giurisprudenza di legittimità[21] muove tuttavia nel senso dell’ampliamento di siffatto limite, affermando che qualsiasi lesione di un interesse costituzionalmente protetto determina la risarcibilità del danno. In tal modo alla norma costituzionale è rimessa l’individuazione – ancorché indiretta – del novero dei danni risarcibili. In tale prospettiva la sopra citata riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c. sembrerebbe dover essere superata in favore di una concezione del danno non patrimoniale quale conseguenza della lesione d’interessi costituzionalmente protetti[22]. Ciò in un’ottica di valorizzazione degli interessi della persona volta a coprire l’intera sfera delle proprie potenzialità relazionali e non più confinata entro gli angusti confini compresi fra il danno patrimoniale (ossia la lesione suscettibile di valutazione economica) ed il danno morale (patema, sofferenza d’animo). La sentenza in epigrafe si pone peraltro in una posizione di complementarità con il filone giurisprudenziale riferito perché – una volta allargati i confini del danno non patrimoniale dalla strettoia normativa della riserva di legge – ne condivide le conclusioni volte prevenire le conseguenze negative di un ampliamento ipertrofico delle fattispecie di danni risarcibili. A tal proposito la Corte rammenta come non bisogna moltiplicare la tutela risarcitoria mediante l’attribuzione di nomi diversi allo stesso pregiudizio. Da ciò deriverebbe l’inammissibilità della sovrapposizione fra il risarcimento per il danno biologico e quello per il danno morale oppure fra il danno estetico ed il danno esistenziale nei confronti della vittima di lesioni personali. Questo perché il riferimento a determinati tipi di pregiudizio avrebbe un valore soltanto descrittivo ma non sarebbe idoneo a fondare distinte categorie di danno. In tal senso acquisirebbe rilievo centrale il ruolo dell’operatore giuridico concreto, che dovrebbe verificare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato – prescindendo dal nomen attribuito – individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro riparazione. Siffatta visione unitaria del danno non patrimoniale determinerebbe peraltro il tramonto della disputa relativa al riconoscimento o meno – in favore dello straniero – del risarcimento del danno morale in aggiunta a quello biologico. Ed infatti il tratto saliente della sentenza in epigrafe – nonché l’elemento di maggiore novità ed interesse – consiste nell’aver ricondotto nell’alveo dei diritti inviolabili della persona – spettanti allo straniero indipendentemente dalla condizione di reciprocità – il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dal sinistro ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c., in difformità da quella parte della giurisprudenza in precedenza esaminata – soprattutto di merito – che ritiene necessaria la verifica della condizione di reciprocità per la risarcibilità del danno patrimoniale allo straniero.

6. La tutela risarcitoria dello straniero: l’azione diretta contro l’assicuratore e nei confronti del Fgvs ex art. 144 d.p.r. 209/2005.

Occorre ora analizzare – in armonia con i principi fatti propri dalla Cassazione – gli strumenti di tutela concretamente utilizzabili dallo straniero per ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali derivanti dalla lesione del bene vita di un prossimo congiunto. Da un’analisi del complesso normativo inerente le tematiche risarcitorie da sinistro stradale emerge che al cittadino italiano spetta sia la generale azione aquiliana ex art. 2043 c.c. sia l’azione per responsabilità solidale nei confronti del proprietario e del conducente del veicolo ai sensi dell’art. 2054 c.c. assistita da una presunzione di colpa. Ciò significa che spetta al convenuto fornire la prova liberatoria dell’assenza di una propria colpa nel cagionare l’incidente. In favore del cittadino italiano è inoltre prevista l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile – o del Fondo di garanzia vittime della strada[23] – introdotta dalla legge 990/1969 (artt. 18 ss.) e la cui disciplina è stata integralmente trasfusa nel D.p.r. 209 del 2005 (artt. 283 ss.). Ci si chiede se tale ultima azione sia esperibile anche dallo straniero non comunitario. Sul punto si registrano una miriade di opinioni divergenti[24]. Secondo alcuni tale esperibilità sarebbe subordinata al rispetto della condizione di reciprocità prevista dall’art. 16 delle preleggi e – a tal proposito – per la ricorrenza di siffatto presupposto sarebbe sufficiente che non vi fossero nei confronti del cittadino italiano discriminazioni nell’ordinamento dello straniero. Ciò indipendentemente dal tipo di tutela ivi accordata. La Cassazione non condivide tale visione perché postulerebbe un’accezione solo parziale od approssimativa, ma comunque imprecisa, del principio di reciprocità. Questo perché la reciprocità dovrebbe essere verificata sotto un duplice e concorrente profilo. Da un lato che lo Stato cui lo straniero appartiene riconosca nel proprio ordinamento un diritto corrispondente – in via generale ed astratta – a quello che intende esercitare in Italia, dall’altro che l’ordinamento de quo non ponga discriminazioni a danno del cittadino italiano in relazione all’esercizio del diritto considerato nello Stato estero. Ulteriore prospettazione – condivisa da un filone giurisprudenziale anche di legittimità – ha ritenuto esperibile dallo straniero la sopra citata azione diretta mediante un’interpretazione ampliativi del sintagma “diritti civili” e del principio di reciprocità. In tale prospettiva la mancanza di un istituto analogo al Fondo di garanzia nel paese d’origine dello straniero sarebbe irrilevante perché non atterrebbe al diritto risolvendosi in una mera modalità risarcitoria[25]. Tale orientamento ha pertanto ritenuto applicabile la condizione di reciprocità ex art. 16 disp. prel. c.c., qualificando tuttavia le disposizioni di cui agli artt. 19 e 20 della l. n. 990/1969 a mere modalità di esercizio di un diritto risarcitorio genericamente riconosciuto, in considerazione dell’attribuita possibilità di azionarlo nei confronti di soggetti ulteriori rispetto al conducente ed al proprietario del veicolo danneggiante. Secondo parte della dottrina, tuttavia, il predetto complesso normativo costituirebbe non una modalità di esercizio della pretesa risarcitoria bensì la creazione di un’ulteriore situazione giuridica soggettiva in capo al danneggiato. Ciò in quanto consentirebbe a quest’ultimo di agire nei confronti di soggetti (ad es. il Fondo di garanzia) in capo ai quali altrimenti non potrebbe essere allocata alcuna responsabilità[26].

7) Gli strumenti di tutela riconosciuti allo straniero.

Alla luce dei ragionamenti esposti nei paragrafi precedenti emerge tuttavia come anche allo straniero extracomunitario – in presenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica oppure di altro valore della persona umana costituzionalmente garantito – devono essere riconosciuti tutti gli strumenti di tutela spettanti al cittadino italiano, compresa l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile[27] o del Fondo di garanzia vittime della strada[28]. Tale azione si aggiunge dunque a quella aquiliana generale ex art. 2043 c.c. ed a quella più specifica in tema di danno da circolazione di veicoli prevista all’art. 2054 c.c. L’ambito residuo di applicazione del principio di reciprocità ex art. 16 disp. prel. c.c. in tema di risarcimento danni da circolazione di veicoli sembrerebbe allora essere esclusivamente quello per soli danni alle cose, non involgendo detta fattispecie la lesione d’interessi costituzionalmente protetti. In tal caso allo straniero extracomunitario il risarcimento per danni alle cose conseguenti a sinistro stradale è concesso nei limiti in cui eguale azione è esperibile dal cittadino italiano nella nazione d’appartenenza del danneggiato. Tale regola non si applica invece al cittadino comunitario in virtù del principio di non discriminazione sancito dal trattato CE.

 8) Conclusioni.

È opportuno sottolineare – in sede di considerazioni conclusive – come anche attraverso un ragionamento squisitamente civilistico sia possibile pervenire al riconoscimento della legittimità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore danneggiante da parte dello straniero extracomunitario. Occorre a tal proposito porsi nella prospettiva del danneggiante che abbia stipulato un contratto per la r.c.a. ai sensi del d. lgs. 209 del 7 settembre 2005 al fine di ottenere la copertura da ogni rischio risarcitorio nei confronti di ogni soggetto danneggiato e dunque anche eventualmente uno straniero extracomunitario. La natura giuridica di siffatto contratto è discussa. Secondo alcuni si tratterebbe di un contratto a favore di terzo, eventualmente atipico. Per altri sarebbe addirittura un contratto per conto dello stesso danneggiato[29]. Orbene se si ritenesse nella fattispecie non possibile l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore da parte del danneggiato extracomunitario il danneggiante risulterebbe scoperto sotto il profilo assicurativo in relazione all’obbligazione risarcitoria derivante dalla lesione del diritto inviolabile dell’extracomunitario. Ciò nonostante il danneggiante abbia stipulato un contratto volto ad offrire ad ogni danneggiato – in conformità alla legge sull’assicurazione obbligatoria dell’rca – la possibilità di essere risarcito direttamente dall’assicuratore. In tal modo sarebbe altresì lesa la posizione giuridica del danneggiato, che parte della dottrina qualifica alla stregua di un diritto autonomo di natura sostanziale, il cui contenuto si sostanzia nell’aspirazione ad ottenere il pagamento da parte dell’assicuratore del danneggiante[30]. Sembrerebbe così doversi concludere con una valutazione positiva della soluzione prospettata dalla Cassazione, sul rilievo che, ove allo straniero extracomunitario non sia assicurata l’azionabilità giudiziale dei diritti fondamentali a questi spettanti, l’attribuzione in suo favore di siffatti diritti si risolverebbe in una mera disposizione a carattere programmatico, del tutto analoga ai castelli in aria di Keynesiana memoria.

 

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[1] Trib. Roma 23 settembre 1991, in Riv. Giur. Circol. Trasp., 1992, 321. [2] Trib. Parma 28 luglio 1998, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1999, 541; Trib. Reggio Emilia 5 marzo 1999, in Arch. Giur. Circ. Sin., 1999, 713. [3] Giud. di pace Novara 1 febbraio 2002, in Arch. Giur. Circ. Sin., 2002, 584, con nota di GALLI. [4] Così Trib. Catania 13 giugno 2005, in Corr. del Merito, 2005, 1008. [5] Trib. Bergamo 14 marzo 2008, in Foro It., 2008, 6, I, 2032. [6] Trib. Napoli 12 dicembre 2005, in Resp. Civ. Prev., 2006, 5, 938. [7] Cass. 14 gennaio 2009 n. 5471, in Mass. Giur. It., 2009. [8] Così Cass. S.U. 28 novembre 2007 n. 24814, in Mass. Giur. It., 2007, per cui «L'esistenza della condizione di reciprocità prevista dall'art. 16 preleggi si pone come fatto costitutivo del diritto azionato dallo straniero, che deve essere provato in caso di contestazione; conseguentemente, la contestazione da parte del convenuto italiano della condizione di reciprocità attiene alla mera difesa nel merito e non integra l'eccezione di difetto di giurisdizione»; Cass. 30 ottobre 2008 n. 26062, in Mass. Giur. It., 2008. Per Cass. sez. un. 11 novembre 2008 n. 26972, in Resp. civ. e prev., 2009, 1, 38, con nota di MONATERI, «Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (art. 138 e 139 d.lg. n. 209 del 2005) richiede l'accertamento medico-legale, che non costituisce, però, strumento esclusivo e necessario; infatti, come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice può non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva». [9] Così Cass. 7 maggio 2009 n. 10504, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2009, 9, 697, per cui «L'art. 16 delle preleggi sulla condizione di reciprocità è applicabile solo in relazione ai diritti non fondamentali della persona; poiché i diritti fondamentali come quelli alla vita, all'incolumità, ed alla salute, in quanto riconosciuti dalla Costituzione, non possono essere limitati da detto articolo; e la relativa tutela va quindi assicurata, senza alcuna disparità di trattamento, a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza, italiana, comunitaria od extracomunitaria (nella specie, la Corte ha respinto il ricorso avanzato dalla compagnia assicurativa designata alla liquidazione per conto del Fondo di garanzia: l'extracomunitario che invoca il risarcimento del danno per la morte del congiunto causata da un pirata della strada non ha bisogno di provare che nel suo Paese un italiano avrebbe ottenuto lo stesso trattamento)». [10] In tal senso Cass. 24 febbraio 2010 n. 4484, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2010, 6, 520, secondo cui «In caso di lesioni conseguenti a infortunio stradale, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, rientrando tra i diritti fondamentali della persona, in quanto riguardante il diritto alla salute, spetta a tutte le persone, indipendente dalla cittadinanza (italiana, comunitaria ed extracomunitaria) e, quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, spetta alla vittima nella sua più ampia accezione, comprensiva del danno morale, inteso come sofferenza soggettiva causata da reato, del quale il giudice dovrà tener conto nella personalizzazione del danno biologico, non essendo consentita una liquidazione autonoma. (Sulla base del suddetto principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in un caso di gravi lesioni subite da persona extracomunitaria, aveva riconosciuto il danno alla salute, ma non il danno morale)». [11] Cass. 24 giugno 2009 n. 14777, in Mass. Giur. It., 2009. [12] Cfr. Cass. 10 febbraio 1993 n. 1681, in Giust. civ., 1994, I, 1660, per cui «In caso di sinistro stradale causato da un veicolo o natante non identificato o non coperto di assicurazione, lo straniero che vuole esercitare il diritto al risarcimento del danno nei confronti del fondo di garanzia per le vittime della strada, previsto dall'art. 19 l. 24 dicembre 1969 n. 990, deve solo dimostrare, ai sensi dell'art. 16 prel. c.c., che lo Stato cui appartiene riconosce, senza limitazioni discriminatorie per il cittadino italiano, i diritti civili connessi al risarcimento del danno ed all'istituto dell'assicurazione, essendo del tutto irrilevante la carenza, nell'ordinamento straniero, di un istituto analogo a quello del fondo di garanzia che, avendo funzione risarcitoria e non indennitaria, attiene non al diritto ma alle modalità attraverso le quali nello Stato italiano è assicurato il risarcimento del danno. L'accertamento della legge straniera che assicura la condizione di reciprocità, configurandosi questa legge come un mero fatto, per ciò stesso soggetto non al principio iura novit curia ma a quello sull'onere della prova, è riservato al giudice di merito e si sottrae, quindi, al controllo di legittimità se motivato senza vizio logico o giuridico». [13] In argomento DI MURO, La ricerca e l’interpretazione del diritto straniero. La Cassazione di fronte agli artt. 14 e 15 della L. n. 218 del 1995, in Giur. It., 2003, I, 479 ss.; ZAMBONI, Sugli strumenti di conoscenza della legge straniera da parte del giudice italiano, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2003, I, 22; CORBETTA, La Cassazione e l’interpretazione del diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto, in Corr. Giur., 2003, 396. In giurisprudenza Cfr. Cass. 12 novembre 1999 n. 12538, in Giust. civ. Mass., 1999, 2232, per cui «Secondo l'art. 14 l. 31 maggio 1995 n. 218, sulla riforma del sistema di diritto internazionale privato, l'accertamento della legge straniera dev'essere compiuto d'ufficio dal giudice e, pertanto, le norme di diritto straniero richiamate da quelle di diritto internazionale privato, vengono inserite nell'ordinamento interno e sono conseguentemente assoggettate al trattamento processuale proprio delle norme giuridiche, trovando in conseguenza piena applicazione riguardo ad esse l'art. 113 c.p.c., che attribuisce in via esclusiva al giudice il potere di individuare le norme applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio. In forza dell'art. 72, comma 1, della l. n. 218 del 1995 - che deroga alla regola generale espressa nell'art. 11 disp. prel. c.c. - il principio dell'art. 14 si applica ai giudizi iniziati successivamente all'entrata in vigore di detta legge anche con riferimento ai rapporti sorti prima di essa, con il solo limite delle situazioni che possano dirsi "esaurite", le quali restano regolate, viceversa, dalle norme di diritto internazionale previgenti e si identificano o in quelle definitivamente accertate in sede giurisdizionale o in quelle che comunque abbiano già compiutamente realizzato tutti i propri effetti. Ne discende che, in un giudizio di opposizione avverso un lodo arbitrale straniero iniziato successivamente all'entrata in vigore della suddetta legge, erroneamente la Corte d'appello avanti alla quale è stata proposta l'opposizione, reputa esistente l'onere della parte opponente di provare il diritto straniero in base alla cui applicazione detta parte sosteneva l'illegittimità della clausola arbitrale, poiché non ricorreva una situazione "esaurita" ed era, pertanto, applicabile l'art. 14, per essere stata l'invalidità della clausola in forza della quale il lodo era stato emesso (tra l'altro dopo l'entrata in vigore della legge, circostanza che a maggior ragione escludeva l'esaurimento della situazione) ancora deducibile con l'opposizione ex art. 840, comma 3, c.p.c. (Nell'affermare tali principi la S.C. ha comunque precisato che anche anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 14 cit. il giudice italiano doveva considerarsi vincolato alla ricerca della norma di diritto straniero applicabile)»; Cass. 26 febbraio 2001 n. 2791, in Riv. dir. Internaz,. 2002, 463, secondo cui «Per effetto dell'art. 15 l. 31 maggio 1995 n. 218 il diritto straniero deve essere interpretato ed applicato nella sua globalità e nella dimensione in cui si fa diritto vivente; il giudice nazionale non ha l'obbligo di acquisire fonti giurisprudenziali o dottrinali, ma è tenuto ad interpretare ed applicare la legge straniera come se fosse un giudice dello Stato cui la legge stessa appartiene, facendo applicazione dei criteri interpretativi generali esistenti in quell'ordinamento e delle rispettive norme sulla gerarchia delle fonti e sull'efficacia della legge nel tempo». [14] Così, ex multis, Cass. 17 novembre 2003 n. 17383; Cass. 29 marzo 2006 n. 7250; Cass. 19 ottobre 2006 n. 22406; Cass. 15 giugno 2007 n. 14031; Cass. 20 luglio 2007 n. 16089. [15] La letteratura sul punto è fluviale. Tuttavia Cfr., fra i contributi più recenti ed articolati, COLOMBINI, Condizione di reciprocità e Costituzione, in Arch. Giur. Circ., 2010, 3, 195 ss.; ONIDA, Lo statuto costituzionale del non cittadino, in Dir e soc., 2009, 3, 537 ss.; BONINI, Il valore della vita non dipende dallo status di cittadino o di straniero, in Corr. giur., 2009, 10, 1371 ss.; LOCCHI, La reciprocità nel trattamento giuridico degli stranieri extracomunitari: storia travagliata di un principio controverso, in Nuove aut., 2006, 2, 481 ss.; CORSI, Risarcimento del danno e condizione di reciprocità, in Dir. Imm. Citt., 2006, 1, 73 ss.; PEZONE, Sulla condizione di reciprocità ex art. 16 delle preleggi, in P.Q.M., 2005, 2, 80 ss.; CAMPIGLIO, Abrogazione dell’art. 16 delle preleggi per una nuova disciplina?, in Riv. Dir. Int. Priv., 2001, 1, 45 ss.; GAZZI, Risarcimento del danno dello straniero, condizione di reciprocità prevista dall’art. 16 delle preleggi e Fondo di garanzia vittime della strada, in Resp. Civ. Prev., 1998, 4, 1113 ss.; LAURINI, Il principio di reciprocità e la riforma del diritto internazionale privato, in Riv. Dir. Int. Priv., 1997, 1, 75 ss.; LEANZA, Considerazioni critiche sulla portata e l’efficacia dell’art. 16 delle disposizioni preliminari al codice civile, in Id., 87 ss.; NASCIMBENE, Brevi spunti in tema di trattamento dello straniero e principio di reciprocità, in Id., 93 ss.; CERRONE, Identità civica e diritti degli stranieri, in Pol. Dir., 1995, 441 ss. [16] Sul punto Rel. Min. Cod. Civ., n.7. [17] In tal senso MENGOZZI, La condizione di reciprocità ed il diritto internazionale privato, in Riv. Int. Dir. Priv. Proc., 1994, 485. [18] Si vd. GRISI, Il danno (di tipo) esistenziale e la nomofilachia creativa delle Sezioni Unite, in Eur. Dir. Priv., 2009, 2, 379 ss. [19] Cfr. MAZZAMUTO, Spunti in tema di danno ingiusto e di danno meramente patrimoniale, in Eur. Dir. Priv., 2008, 2, 349 ss. [20] Sul punto DI MAJO, Profili della responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2010, 38. [21] Cfr. Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972, in Giust. civ., 2009, 4-5, I, 913, per cui «Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione. Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (art. 138 e 139 d.lg. n. 209 del 2005) richiede l'accertamento medico-legale, che non costituisce, però, strumento esclusivo e necessario; infatti, come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice può non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali può farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale». Cass. 12 dicembre 2003 n. 19057, in Danno e resp., 2004, 762, secondo cui «Riportata la responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal codice vigente tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), e ritenuto che il danno non patrimoniale debba essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti, poiché il danno biologico, quale danno alla salute, rientra a pieno titolo, per il disposto dell'art. 32 cost., tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione, la sua tutela è apprestata dall'art. 2059 c.c., e non dall'art. 2043 c.c., che attiene esclusivamente alla tutela dei danni patrimoniali» [22] In argomento, ex multis, VIRGADAMO, Danno non patrimoniale e nuova ingiustizia conformata: le quattro stagioni dell’art. 2059 c.c. in attesa della Corte Costituzionale?, in Dir. Fam. Pers., 2010, 2, 598 ss.; COSTANZA, Le Sezioni Unite ed il danno esistenziale: meno tutela della persona o un nuovo danno patrimoniale, in Iustitia, 2009, 2, 1, 95 ss.; PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Il danno non patrimoniale secondo le Sezioni Unite. Un de profundis per il danno esistenziale, in Danno Resp., 2009, 1, 32 ss.; FACCI, Il danno non patrimoniale in attesa delle Sezioni Unite, in Resp. Civ. Prev., 2008, 7-8, 1559 ss. [23] Cfr. PAONE, Sinistro stradale, risarcimento del danno, azione di rivalsa verso l’assicurato, prescrizione dei termini, in Foro It., 2010, 7-8, 2071 ss.; PRIMICERI, Pirata della strada ed art. 2054 c.c., in Resp. Civ., 2008, 5, 441 ss.; FITTANTE, Il fondo di garanzia per le vittime della strada, in Arch. Giur. Circ. Sin., 2008, 1, 54 ss. [24] In argomento MARTINI, Lo straniero può agire contro l’assicurazione anche se non c’è condizione di reciprocità. Garantita la tutela primaria della persona con il ristoro integrale del danno patrimoniale, in Guida al dir., 2011, 5, 88 ss. [25] Così Cass. 10 febbraio 1993 n. 1681, cit. [26] Cfr., anche per riferimenti, DE STROBEL, L’art. 16 delle preleggi e il diritto al risarcimento del danno subito dallo straniero a seguito di fatto illecito, in Dir. Econom. Assicur., 2010, 2, 380 ss. [27] Si vd. LUBERTI, La Corte costituzionale sul diritto all’azione diretta nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile, in Giur. It., 2009, 12, 2634 ss. [28] Per un’analisi approfondita di siffatti strumenti si permetta di rinviare a CONDELLO, Circolazione stradale, danni al trasportato, azione risarcitoria e responsabilità solidale dei coautori dell’illecito, in Foro It., 2011, 1, 150 ss.; PRIMICERI, La colpa di un conducente e la regola del concorso nell’art. 2054, secondo comma, c.c., in Resp. Civ., 2010, 2, 128 ss.; ROSSETTI, Risarcimento diretto, il sonno della ragione genera mostri, in Assicur., 2009, 4, 385 ss.; BERTOLAZZI, La rivincita dell’azione diretta, in Resp. Civ. Prev., 2009, 10, 2022 ss. In giurisprudenza Cfr. Cass. 13 dicembre 2010 n. 25127, in Guida al dir., 2011, 7, 79, per cui «In tema di incidenti stradali la ricostruzione della loro dinamica, come pure l'accertamento delle condotte dei veicoli coinvolti e della sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e la loro eventuale graduazione, al pari dell'accertamento dell'esistenza o esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l'evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, qualora il procedimento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all'art. 2054 c.c.»; Cass. 12 ottobre 2010 n. 21011, in Arch. giur. circol. sin., 2010, 12, 1001, secondo cui «In tema di legittimazione alla domanda di danni, deve ritenersi che il diritto al risarcimento può spettare anche a colui il quale, per circostanze contingenti, si trovi ad esercitare un potere soltanto materiale sulla cosa e, dal danneggiamento di questa, possa risentire un pregiudizio al suo patrimonio, indipendentemente dal diritto, reale o personale, che egli abbia all'esercizio di quel potere. È dunque tutelabile in sede risarcitoria anche la posizione di chi eserciti nei confronti dell'autovettura danneggiata in un sinistro stradale una situazione di possesso giuridicamente qualificabile come tale ai sensi dell'art. 1140 c.c.»; Per Cass. 2 luglio 2010 n. 15737, in Foro it., 2011, 1, I, 148, «In tema di danni derivanti dalla circolazione stradale, la circostanza che la persona trasportata a bordo di uno dei mezzi coinvolti nel sinistro abbia proposto l'azione giudiziaria per l'intero risarcimento contro il conducente di uno solo dei due veicoli scontratisi non implica né la remissione tacita del debito nei confronti del corresponsabile del danno non citato in giudizio, né la rinuncia alla solidarietà». [29] In argomento GAGLIARDI, L’interesse generale nel diritto comunitario e l’obbligo a contrarre nella RC auto: una ventata di solidarismo, in Riv. Dir. Civ., 2011, 1, 97 ss.; PIRAS, Principi del diritto comunitario ed obbligo di contrarre nel ramo RC auto, in Resp. Civ. Prev., 2009, 11, 2263 ss. [30] Si vd. RODOLFI, In assenza della personalizzazione del danno violati i principi della Costituzione, in Guida al Dir., 2010, 2, 26 ss.