• Giurisprudenza
  • Guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza di stupefacenti ed omicidio stradale
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Reato di guida in stato d'ebbrezza: è applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto

Corte di Cassazione Penale Sezioni Unite
Sentenza n. 13681 del 6 aprile 2016

Guida in stato di ebbrezza – art. 131 bis codice penale – causa di non punibilità - particolare tenuità del fatto – illecito con presenza di soglie di punibilità – applicabilità - abitualità - esclusione

Le Sezioni Unite hanno stabilito che l’istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotto dalla nuova disposizione dell’art. 131 bis del codice penale di cui al Decreto legislativo n. 28/2015, è compatibile con il reato di guida in stato d’ebbrezza, disciplinato dall’art. 186 comma 2 lett b) e c) del codice della strada. 

Il reato di guida in stato d’ebbrezza si connota come reato di pericolo presunto dove non è richiesta nessuna indagine  da parte del giudice sulla concreta pericolosità  in  relazione al  bene  giuridico  oggetto di  tutela, in quanto tale analisi è stata già compiuta ex ante dal legislatore.  Si  tratta di  una  categoria di illeciti connotati da una gradazione dell’offensività,  dovuta al superamento di  “valori soglia”  all’interno della fattispecie tipica,  ritenuti   pericolosi e strutturati sul parametro del tasso alcolemico.  E’ indubbio che il superamento del tasso alcolemico consentito esprima l’offensività dell’azione. Il principio di offensività  attiene all'essere o non  essere   di   un  reato, alla sua tipizzazione, pertanto superare il tasso alcolemico consentito comporta l’offesa del bene giuridico tutelato, ossia nel caso di specie la sicurezza nella circolazione stradale. 

Ma all’interno di questa fattispecie tipica esiste ancora un margine di analisi che riguarda l’applicazione della causa  di  non  punibilità ex art 131 bis cp. Quindi, accertata  la  situazione pericolosa tipica   e  dunque l'offesa, resta   pur  sempre spazio  per  apprezzare in concreto sulla base delle modalità di manifestazione  del reato,  l’applicazione o meno della causa di non punibilità, che richiede una valutazione in merito alla particolare  tenuità  del fatto,  sulla base di  tre  indicatori: la  condotta,  le  conseguenze  del  reato  e il grado  della  colpevolezza. 

L’analisi di questi tre fattori consente di identificare un fatto tipizzato come reato ma concretamente poco pericoloso e quindi non idoneo ad entrare nella macchina giuridica processuale in virtù dell’intrinseca tenuità. Altro fattore di indagine ai fini dell’accertamento della particolare tenuità del fatto, è  l'abitualità  della condotta. La  norma   intende   escludere   dall'ambito   della particolare  tenuità  del fatto  comportamenti  "seriali". Il terzo comma dell’art 131 bis cp, letto in combinato disposto con il  richiamato art. 133 cp afferma che il comportamento è da considerarsi abituale non solo quando l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale ma anche nel caso in cui abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Importante è rilevare che il testo parla di reati e non di condanne, quindi anche di fatti pendenti al momento del processo, fattori in grado di offrire il discernimento al giudice in ordine alla questione  dell'applicabilità dell'art. 131-bis.  

RITENUTO IN  FATTO

1. Il Tribunale di Monza  ha affermato la responsabilità dell'imputato indicato in epigrafe in ordine al reato  di cui all'art. 186, commi 2, lettera b),  e 2-bis,  del codice della strada commesso il 15 marzo   2011.

La sentenza è stata  parzialmente riformata dalla  Corte  di appello di  Milano che ha escluso l'aggravante di cui al richiamato  comma 2 bis ed ha rideterminato la pena.

2. L'imputato ha presentato ricorso per cassazione, deducendo tre  motivi.

2.1.   Con   il primo   motivo  si   prospetta  violazione  di   legge   e  vizio   della motivazione in  ordine  alla  mancata  concessione  della  sospensione  condizionale della  pena.  L'imputato, contrariamente a quanto  ritenuto nella pronuncia impugnata,  non   ha   subito    condanne  per   reati    analoghi;  e   la   precedente concessione del beneficio non  è ostativa alla sua reiterazione.

2.2.  Con  il secondo  motivo s'invoca   l'applicazione della  causa  di  esclusione della  punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.

2.3.  Infine, si denunzia mancanza di  motivazione in  ordine alla  richiesta di riduzione della  pena.

2.4. Ha fatto seguito la presentazione di una memoria difensiva.

3. La Quarta  Sezione  penale, cui  il ricorso  era  stato  assegnato, ha rimesso alle  Sezioni   Unite   la  questione relativa  alla   compatibilità  della   causa   di  non punibilità per  particolare tenuità del  fatto di  cui all'art. 131-bis cod.  pen.  con  i reati   previsti dall'art.  186, comma   2,   lettere  b)  e  c),   cod.   strada,  e  più  in generale con gli illeciti caratterizzati dalla  presenza  di soglie  di punibilità.

L'ordinanza   richiama   la   pronunzia   di    legittimità   che    ha    ritenuto    la compatibilità tra  il nuovo   istituto ed  i  reati   di  cui  all'art. 186, comma 2,  cod. strada   (Sez.   4,   n.  44132  del  09/09/2015,   Longoni, Rv.  264829)  e  propone argomenti critici.

Si rammenta che l'art. 186,  comma  2,  lettera a),  prevede un illecito amministrativo costituito dalla  guida in stato  di ebbrezza con tasso alcoolemico superiore a 0,5  e non  superiore a 0,8  g/1; mentre le  successive lettere b)  e c) dello  stesso comma disciplinano distinti illeciti penali  definiti da valori crescenti.

Si considera che  il legislatore ha  già  compiuto a monte una  valutazione di maggiore o minore pericolosità, rapportata ad  un  preciso  dato  tecnico  costituito dal tasso alcoolemico. Pertanto il giudice, applicando la nuova  normativa, si sostituirebbe al  legislatore,  non  disponendo  di  altri  parametri cui  ancorare il giudizio  di tenuità; ed essendo irrilevanti le modalità  della condotta  di guida, che ben possono variare  da caso a caso.

Si aggiunge  che si tratta  di reati  di pericolo  intesi  a proteggere  i beni della regolarità della circolazione  e della sicurezza  stradale,  distinti da quelli della vita o della  incolumità dei  singoli,  protetti dai  reati  di  lesioni  colpose  ed  omicidio colposo. Se ne inferisce  che nessun rilievo  possono avere, ai fini della punibilità, le modalità  della  condotta  di guida.  Infatti, in  relazione  ai  beni  protetti, non  è possibile  ipotizzare  una gradualità dell'offesa,  atteso  che lo stesso legislatore  ha previsto  circostanze aggravanti connesse a contingenze  di particolare  allarme e maggiore  pericolo  per  la sicurezza:  la guida  in ora  notturna e la causazione  di

incidente  stradale.

Si argomenta infine  che l'applicazione della normativa di cui si discute condurrebbe ad  un  esito  paradossale: l'autore  di  un  illecito  di  minore  gravità andrebbe   incontro  ad  una  sanzione  amministrativa  pecuniaria  ed  alla sospensione  della  patente  di guida, mentre  l'autore  dell'illecito penale  potrebbe evitare  le relative  sanzioni.

Si conclude  che  occorre  ritenere  che  il legislatore  abbia  già  implicitamente escluso la possibilità  di attribuire connotazioni di particolare  tenuità  ai reati di cui si discute.

L'ordinanza  discute  criticamente pure  l'affermazione della  sentenza  Longoni secondo cui, nel caso in cui sia ritenuta la particolare  tenuità del fatto,  il giudice penale deve applicare  le sanzioni  amministrative accessorie. Si considera  che tali sanzioni  sono applicabili solo nel caso di sentenza  di condanna  o di applicazione della  pena,  come  emerge   testualmente  dall'art.  186,  comma   2-quater,  cod. strada. Pertanto,  non  è possibile ritenere  che il mero accertamento dell'esistenza del  reato, che costituisce  il presupposto  della  causa di non  punibilità, consenta l'applicazione  delle dette sanzioni.

Dunque, valutando le cose "da  un punto  di  vista  sostanziale" l'applicazione del nuovo  istituto avrebbe  l'effetto, ritenuto non  congruo,  di escludere  pure  le sanzioni  amministrative accessorie,  che  non  di  rado  costituiscono la  parte  più afflittiva dell'apparato sanzionatorio.

4.  Con decreto  del  21 dicembre   2015  il Primo  Presidente  ha  assegnato  il ricorso alle Sezioni Unite e ne ha disposto  la trattazione nell'udienza  odierna.

CONSIDERATO IN  DIRITTO

1. Va dapprima esaminato   il  secondo  motivo  di  ricorso,  che  propone  una questione  pregiudiziale rispetto  a quelle dedotte  con gli altri  motivi.

Al riguardo  occorre considerare che l'art. 131bis cod. pen.  è stato  introdotto con l'art. 1, comma  2, d.lgs. 16 marzo  2015, n. 28, e quindi  in epoca successiva alla pronunzia  d'appello, emessa il 10 febbraio  2015  e relativa  a fatto  commesso il 15  marzo  2011.

Questa  Corte   ha  in  numerose occasioni condivisibilmente ritenuto  che,  se non    è   stato     possibile   proporlo   in    grado   di    appello,   il   tema    afferente all'applicazione  del   nuovo   istituto  può   essere   dedotto  davanti  alla   Corte   di cassazione e può  essere  altresì  rilevato d'ufficio ai sensi  dell'art. 609,  comma 2, cod.   proc.   pen.   (da   ultimo   Sez.   3,   n.   24358  del   14/05/2015,  Ferretti,  Rv. 264109; Sez. 4,  n.  22381 del  17/04/2015, Mauri,  Rv. 263496; Sez. 3,  n. 15449 del  08/04/2015,  Mazzarotto, Rv. 263308).

Si   è  infatti  in   presenza,   come   sarà   meglio  esposto  nel   prosieguo,  di innovazione di diritto penale  sostanziale che disciplina l'esclusione della  punibilità e  che  reca  senza  dubbio una  disciplina  più  favorevole. Il novum  trova quindi applicazione  retroattiva ai  sensi  dell'art. 2, quarto  comma, cod.  pen.  L'elevato rango  del principio espresso da tale ultima  norma  impone  la sua applicazione  ex officio, anche  in  caso di ricorso inammissibile, come  ritenuto recentemente dalle Sezioni   unite.  Si  è  infatti condivisibilmente affermato il  diritto  dell'imputato, desumibile  dal principio in questione, ad essere giudicato  in base al trattamento più  favorevole   tra   quelli   succedutisi   nel  tempo;  ed  il  dovere   del  giudice   di applicare  la !ex mitior, anche nel caso in cui il ricorso  sia inammissibile (Sez. U,n. 46653 del  26/06/2015, Della Fazia,  Rv. 265110).

Naturalmente, quando  non sia in questione  l'applicazione della sopravvenuta legge   più  favorevole   ai  sensi   dell'art.  609,   comma   2,   cod.   proc.   pen.,   la inammissibilità del ricorso  per cassazione preclude  la deducibilità e la rilevabilità di ufficio  della causa di non punibilità.

2. Appurata  la rilevanza  della nuova disciplina, resta da intendere quale sia il ruolo della Corte di cassazione. In proposito  si è ripetutamente  ritenuto che vada compiuta   una  preliminare  delibazione in  ordine  all'applicabilità in  astratto  del nuovo  istituto sulla  base degli  elementi  di giudizio  disponibili alla  stregua  delle risultanze  processuali  e della  motivazione della  decisione  impugnata; e che, in caso di valutazione positiva,  la sentenza  impugnata debba  essere annullata  con rinvio  al giudice  di merito  per  le  pertinenti valutazioni e  statuizioni (oltre  alle sentenze  sub  § 1,  da  ultimo, Sez. 3, n. 21474  del  22/04/2015, Fantoni,  Rv.263693; Sez.  4, n. 33821 del  01/07/2015, Pasolini,  Rv. 264357).

In   qualche   pronunzia,  peraltro,  è  stata   pure   ritenuta  la   possibilità   di applicare  direttamente, ai sensi dell'art. 620, comma  1, lett.  /), cod. proc.  pen., la  causa  di  non  punibilità  quando   risulti   palese  dalla  sentenza   impugnata   la ricorrenza dei  presupposti oggettivi e soggettivi formali della  stessa,  e un apprezzamento  del   giudice  di   merito  che   consenta  di   ritenere  coerente  la conclusione che  il caso  di  specie  debba  essere   ricondotto alla  previsione di  cui all'art.  131-bis cod.   pen.   (Sez.   6,   n.   45073  del   16/09/2015,   Barrara,  Rv. 265224; Sez.  5,  n. 48020 del  07/10/2015, v., Rv. 265467).

Il tema  di cui  si discute chiama effettivamente  in  campo  l'art. 620,  comma 1,  lett. 1),  cod.   proc.   pen.  che  consente  alla   Corte   di  cassazione  di  adottare pronunzia di annullamento senza  rinvio quando la  restituzione del  giudizio nella sede  di  merito è "superflua";  quando, cioè,  per  quel  che  qui  interessa, non  è richiesta una valutazione sul fatto estranea al sindacato di legittimità.

Tale   norma  è  stata   ripetutamente ritenuta  dalle   Sezioni   Unite   fonte   per l'adozione di pronunzie assolutorie nella  sede  di legittimità (Sez. U, n. 22327  de 30/10/2003,   Andreotti, Rv. 226100; Sez.   U, n. 22327  del 21/05/2003, Carnevale,  Rv.   224181);  oltre    che   dalle    sezioni    semplici  (ad   es.   Sez.   2, 11/11/2010,  n.  41461,  Franzi,   Rv.  248927).  Essa   ha  costituito  pure   la  base normativa per applicare una  causa  di non punibilità sopravvenuta (ad  es. Sez. 6, n. 9727 del  18/02/2014, Grieco,  Rv 259110; Sez.  6,  n.  17065 del  26/04/2012, Cirillo, Rv. 252506).

In tali  situazioni la pronunzia è adottata ai sensi dell'art. 129  cod.  proc.  pen. Né un ostacolo può essere  rinvenuto nel fatto che tale  articolo, pur dedicato nella rubrica  all'obbligo  della   immediata  declaratoria  di   determinate  cause   di   non punibilità, non  fa menzione dell'ipotesi in  cui ricorra una  causa  di  non  punibilità. Invero la  norma ha  portata  generale, sistemica. Essa,  come  già  ritenuto dalle Sezioni   unite (Sez.   U, n.   12283 del  25/01/2005, De  Rosa,  Rv.   230529), non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già   riconosciutogli  dalle  specifiche norme  che  regolano l'epilogo proscioglitivo nelle   varie   fasi  e  nei  diversi  gradi  del   processo,  ma   enuncia  una   regola  di condotta rivolta  al  giudice che,  operando in  ogni   stato   e  grado   del  processo, presuppone  l'esercizio  della   giurisdizione  con   effettiva   pienezza  del contraddittorio.  In  breve,  atteso  l'indicato  ruolo    sistemico,  l'articolo  citato consente l'adozione di tutte le formule di proscioglimento.

Occorre  infine aggiungere che  l'applicazione del  meccanismo processuale di cui  si  discute non  è  preclusa nell'ambito  del  nuovo   istituto, a causa  del  diritto dell'imputato all'interlocuzione. Invero, il giudizio di  legittimità è  caratterizzato da  ampio   contraddittorio scritto ed  orale   su  ogni  aspetto della   regiudicanda. E d'altra  parte,  naturalmente,  la   Corte   non   potrebbe  comunque  prosciogliere l'imputato con una  formula meno  favorevole di quella enunciata nella  sentenza di merito; ma  dovrebbe semmai addivenire ad esito  più  favorevole, come  nel  caso di sopravvenuta prescrizione, pure  se il fatto è specialmente tenue.

 

3.  Resta da  intendere   quale  sia  la  natura  e  la  conformazione   del  giudizio demandato  alla Corte dì cassazione.

Anticipando quanto   sarà esposto più   avanti,  va considerato che   la valutazione  sulla particolare  tenuità  del fatto  richiede  l'analisi  e la considerazione della  condotta,  delle  conseguenze  del  reato  e del grado  della  colpevolezza.  Si tratta di ponderazioni che sono parte  ineliminabile del giudizio  di merito  e che sono conseguentemente espresse in motivazione, magari  in guisa implicita. Sulla base del fatto  accertato  e valutato dalla sentenza  impugnata, dunque, il giudice di legittimità è nella condizione  di esperire  il giudizio  che gli è proprio, afferente all'applicazione  della   legge;   di  accertare,   cioè,   se  la  fattispecie  concreta   è collocata  entro  il modello  legale espresso dal nuovo istituto.

Conclusivamente, quando  la sentenza  impugnata   sia anteriore  alla  novella, l'applicazione dell'istituto  nel giudizio  di legittimità va  ritenuta o esclusa  senza che si debba rinviare il processo nella  sede di merito. Ove esistano  le condizioni di legge, l'epilogo  decisorio  è costituito, alla luce di quanto  si è prima  esposto ed alla  stregua   degli   artt.   620,  comma   1,  lett.   1),  e  129  cod.  proc.   pen.,  da pronunzia  di annullamento senza rinvio  perché  l'imputato non è punibile  a causa della particolare  tenuità  del fatto.

4. Chiarito  il contenuto  del giudizio  di legittimità, occorre  intendere  se l'art. 131-bis cod. pen. sia applicabile  al reato oggetto del giudizio.

Il quesito  di diritto devoluto  alle Sezioni Unite  è infatti "se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto  sia compatibile con il reato  di guida  in stato di ebbrezza".

La sentenza  Longoni,  evocata  nell'ordinanza di rimessione, ha dato  risposta positiva.   Si  è  considerato     che  il  nuovo   istituto  si  giustifica   alla  luce  della riconosciuta  graduabilità del reato  in  relazione  al disvalore  d'azione  e d'evento nonché    all'intensità   della    colpevolezza.    Occorre,    dunque,    compiere    una valutazione  relativa  al fatto concreto;  verificare  se la irripetibile manifestazione dell'illecito presenti  un ridottissimo grado di offensività.

Si  è  conseguentemente ritenuto  che  non  vi  sono  ostacoli   ad  applicare

l'istituto  anche   ai   reati   di   pericolo   astratto  o   presunto.   In  particolare, la previsione   di  un  valore-soglia  per  la  configurazione  del  reato  svolge  la  sua funzione  sul  piano  della  selezione  categoriale, mentre  la particolare  tenuità  del fatto  richiede un "vaglio tra le epifanie  nella dimensione effettuale".

Il principio, si  è  aggiunto,  è  applicabile   anche  il relazione  alla  più  grave fattispecie   di  cui  all'art.  186,  comma   2,  lettera   c),  cod.  strada,   dovendosi considerare  non solo l'entità dello stato  di ebbrezza,  ma anche le modalità  della condotta  e l'entità del pericolo o del danno cagionato.

Tale  esito  interpretativo non  è  pregiudicato dalla  previsione di  un  minore grado  di  alterazione   che  configura   un  illecito amministrativo. Infatti, reato  ed illecito  amministrativo presentano  differenze  evidenti  e rilevanti, che definiscono autonomi  statuti e discipline  differenziate. Peraltro,  si è  infine  aggiunto, l'applicazione  della  causa di non punibilità presuppone  l'accertamento del reato, dal  quale  discende  l'applicazione  della  sanzione  amministrativa  accessoria  ad opera del giudice  penale.

5. Questo approccio  non presenta  aspetti  critici  per ciò che attiene all'applicabilità del nuovo istituto al caso in esame;  e le obiezioni  esposte nell'ordinanza di rimessione  non colgono nel segno.

Il tema,   peraltro, non  può  essere  esaminato   in  astratto,  ma  richiede  di partire   dal  dato  testuale. Occorre  considerare   che  il legislatore   ha  limitato il campo  d'applicazione  del   nuovo   istituto  in  relazione   alla  gravità   del   reato, desunta  dalla pena edittale massima; ed alla non abitualità del comportamento. In  tale  ambito, come sarà  meglio  esplicitato più avanti,  il fatto  particolarmente tenue  va  individuato  alla  stregua   di  caratteri  riconducibili a  tre  categorie   di indicatori: le modalità  della condotta, l'esiguità  del danno  o del pericolo,  il grado della colpevolezza.

L'ordinanza   di   rimessione,   dunque,   non   coglie   nel   segno   e   pecca  di astrattezza quando lega il nuovo istituto al principio  di offensività.

Le Sezioni  Unite  hanno  già  avuto  occasione,  recentemente, di  evocare  le radici  e le inespresse  potenzialità ermeneutiche del principio  di offensività (Sez. U, n.  40354 del  18/07/2013, Sciuscio, Rv.  255974). Si   è  rammentata  la  sua costituzionalizzazione, conseguita  attraverso la lettura  integrata di diverse  norme della legge fondamentale. Si è pure posto in luce (e lo si ribadisce  nella presente sede) che l'interprete  delle norme    penali    ha l'obbligo    di   adattarle   alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole  applicabili solo ai fatti concretamente offensivi; offensivi  in misura  apprezzabile. I beni giuridici e la loro offesa  costituiscono la  chiave  per  una  interpretazione teleologica  dei  fatti  che renda visibile  la specifica offesa già contenuta  nel tipo  legale del fatto.  Sul piano ermeneutico viene così superato  lo stacco tra  tipicità  ed offensività. I singoli tipi di  reato  vanno  ricostruiti in  conformità   al  principio   di  offensività, sicché  tra  i molteplici significati  eventualmente compatibili con la lettera  della legge si dovrà operare  una  scelta  con l'aiuto  del criterio  del bene giuridico, considerando  fuori del tipo  di fatto  incriminato i comportamenti non offensivi  dell'interesse protetto.

In breve,   è  proprio   il  parametro valutativo di  offensività  che  consente   di individuare gli  elementi fattuali dotati di  tipicità; e  di  dare  contenuto tangibile alle espressioni vaghe  che spesso compaiono nelle  formule legali.

Da quanto precede  emerge che  il principio di offensività  attiene all'essere o non  essere   di   un  reato   o  di  una   sua  circostanza  e  non  è  invece   implicato nell'ambito di cui ci si occupa,  che riguarda  per definizione fatti senza  incertezze pienamente riconducibili alla  fattispecie legale.

La  distinzione  va   sottolineata,  anche   per   rispondere  alle   preoccupazioni espresse  da chi  teme  che  la  nuova  figura, consentendo di devitalizzare vicende marginali, finisca  con il depotenziare il principio di offensività quale  chiave  per  la congrua restrizione dell'area del penalmente rilevante.

6.  In realtà   il nuovo   istituto è  esplicitamente, indiscutibilmente  definito  e disciplinato come  causa  di  non  punibilità e costituisce dunque figura   di  diritto penale  sostanziale. Esso persegue finalità connesse  ai principi di  proporzione ed extrema  ratio; con effetti anche  in tema  di deflazione. Lo scopo  primario è quello di  espungere dal  circuito penale   fatti marginali, che  non  mostrano bisogno di pena  e, dunque, neppure la  necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo. Proporzione e deflazione s'intrecciano coerentemente.

Il dato  normativa conduce senza  dubbi  di sorta  a tale  esito  interpretativo. Il giudizio sulla  tenuità del fatto richiede, infatti, una  valutazione complessa che ha ad  oggetto  le  modalità  della   condotta  e  l'esiguità  del   danno   o  del   pericolo valutate ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen.  Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di  tutte le peculiarità della  fattispecie concreta; e non solo   di   quelle    che   attengono  all'entità   dell'aggressione  del   bene   giuridico protetto.

Per  ciò  che  qui   interessa,  non  esiste   un'offesa  tenue   o  grave   in  chiave archetipica. E'  la  concreta manifestazione  del  reato   che  ne  segna  il  disvalore. Come  è stato persuasivamente considerato, qualunque reato, anche  l'omicidio, può essere  tenue, come  quando  la condotta illecita conduce ad abbreviare la vita solo di poco.

7.  Di particolare ed  illuminante rilievo è il riferimento testuale alle  modalità della   condotta, al  comportamento.  La  nuova   normativa non  si  interessa della condotta   tipica,    bensì    ha    riguardo   alle    forme     di    estrinsecazione    del comportamento, al  fine  di  valutarne  complessivamente la  gravità,  l'entità  del contrasto rispetto alla legge  e conseguentemente il bisogno di pena.

Insomma, si è qui entro  la distinzione tra  fatto legale,  tipico, e fatto  storico,situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente  realizzati  dall'agente;  secondo    l'insegnamento  espresso    nella pagina  fondativa   del  fatto  nella  teoria  generale  del  reato.  Ed è  chiaro  che la novella  intende  per  l'appunto riferirsi   alla  connotazione   storica  della  condotta, essendo in questione  non la conformità  al tipo, bensì l'entità del suo complessivo disvalore.

Allora, essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto  storico  nella sua  interezza, non  si  dà  tipologia   di  reato  per  la  quale  non  sia   possibile  la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi  inibita antologicamente    l'applicazione     del    nuovo     istituto.    L'opinione     contraria manifestata  dall'ordinanza   di   rimessione   è  deviata   dalla   impropria sovrapposizione tra il fatto tipico ed il fatto  storico; tra l'offesa e la sua entità.

Dunque, pure nei reati  senza offesa, di disobbedienza, o comunque  poveri di tratti descrittivi, contrassegnati  magari da una mera omissione  o da un rifiuto, la valutazione  richiesta  dalla legge è possibile e doverosa, dovendosi  considerare  la concreta manifestazione del fatto  illecito.

Del  resto,   l'esperienza   giuridica   mostra   esempi   eloquenti:  non  è  certo indifferente, nella  ponderazione  del disvalore  del fatto  e del bisogno  di pena, se un comportamento che si estrinseca in un mero rifiuto  sia accompagnato  da manifestazioni di irriguardosa  e violenta  opposizione  o sia invece  dovuto  ad una non   completa   comprensione  del   contesto,   ovvero   a  concomitanti   esigenze personali  socialmente  apprezzabili.

Per di più, la tesi espressa dall'ordinanza di rimessione  condurrebbe a conseguenze  paradossali:   l'inapplicabilità dell'istituto  ai  reati  bagatellari, caratterizzati di solito dall'omissione di una prescrizione, con conseguente frustrazione delle finalità  deflative sottese alla novella.  Pure per tali reati, invece, occorre  considerare   il contesto:   l'entità, l'oggetto, gli  effetti della  condotta  ed ogni altro elemento  significativo.

8. Tale ricostruzione dell'istituto  trova  ulteriore  conferma  nella  necessità di compiere  le valutazioni  di cui si discute alla luce dell'art. 133, primo  comma, cod. pen.

Il richiamo mette  in campo, oltre  alle caratteristiche dell'azione  e alla gravità del danno  o del  pericolo, anche l'intensità del dolo  e il  grado  della  colpa. A tale riguardo  sono state  manifestate perplessità, alimentate dal timore  che vengano richieste   indagini   complesse  sulla  sfera  interiore, incompatibili con  la  spedita applicazione    del   nuovo   istituto,   e nell'esercizio della discrezionalità possibili   cause   di   derive   incontrollabili

 

Si tratta  di dubbi che non sono fondati.  La pertinenza  del richiamo  emerge icasticamente dalla  stessa  intitolazione dell'art.  133,  dedicato  alla  valutazione della gravità  del reato  agli effetti della pena;  atteso  che il nuovo  istituto è stato configurato proprio  come una causa di esclusione della punibilità.

D'altra  parte, occorre considerare  che se è vero che lo sviluppo  del progetto normativa ha  in  più  occasioni  mostrato di preferire la considerazione dei tratti più  obiettivabili  rifuggendo   dai  profili   interiori,  tuttavia,  come  ormai comunemente   ritenuto,  anche   l'elemento   soggettivo  del  reato   penetra   nella tipicità  oggettiva. Ciò è particolarmente chiaro  nell'ambito della colpa, ove rileva il tratto obiettivo della violazione  della regola cautelare.  Ma anche nell'ambito del dolo condotta  e colpevolezza s'intrecciano.

Soprattutto, infine,  la  dottrina della  colpevolezza  è troppo  profondamente legata  al  tema   della   pena  e  della  sua  commisurazione  perché  se  ne  possa prescindere   del   tutto  nell'ambito della   valutazione    sulla   sua   meritevolezza richiesta   dalla   novella.   Si  vuoi   dire   che   razionalmente,  nel  disciplinare  la graduazione  dell'illecito, si è fatto  riferimento non solo al disvalore  di azione e di evento ma anche al grado della colpevolezza.

La rilevanza  del profilo  soggettivo emerge,  del resto,  dal  parere  espresso dalla   Camera   sullo   schema   di   decreto   legislativo.  Si  è   considerato   che  il parametro   della  modalità   della  condotta   consente  valutazioni anche  di  natura soggettiva  sul grado della colpa e sull'intensità del dolo; e si  è quindi proposto  di introdurre il richiamo esplicito  all'art. 133, primo  comma, cod. pen. che compare nell'atto normativa.

Tali brevi considerazioni corroborano la prospettata ricostruzione della nuova figura  giuridica. Essendo richiesta  la ponderazione  della  colpevolezza  in termini di esiguità  e quindi  la sua  graduazione, è  del  tutto naturale  che  il giudice  sia chiamato    ad    un    apprezzamento   di    tutte     le    rilevanti   contingenze    che caratterizzano ciascuna  vicenda  concreta   ed  in  specie  di  quelle  afferenti   alla condotta; ed è quindi  escluso che una preclusione  possa derivare  dalla modesta caratterizzazione, sul piano descrittivo, della fattispecie  tipica.

9. L'approccio  proposto  può essere ripetuto in guisa non molto  dissimile  per ciò che riguarda  la ponderazione dell'entità del danno  o del pericolo.  Anche qui nessuna precostituita preclusione  categoriale  è consentita, dovendosi  invece compiere  una valutazione  mirata  sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze.

L'ordinanza   di  rimessione   sembra  dubitare che  siffatta   valutazione  possa esser fatta  con riguardo a illeciti  nei quali  sia impossibile o difficile  compiere  un apprezzamento gradualistico rapportato all'entità  della  lesione  od esposizione  a pericolo   di  un  bene  giuridico;  o  nei  quali   la  misurazione  sia  stata  espressa direttamente  dal   legislatore    attraverso   l'individuazione  di   soglie,   fasce   di rilevanza  penale o di graduazione  dell'entità dell'illecito.

Pure  tale  dubbio   è  ingiustificato.  Esso  è  ancora   una  volta   determinato dall'idea  che  la  valutazione   afferente   all'esiguità  del  fatto  o  dell'offesa   debba essere  articolata   nel rispetto  della  tradizione   che  lega  il principio   di offensività alla lesione od esposizione  a pericolo  del bene giuridico. Si tratta  di un approccio che non tiene conto della disciplina  legale.

Il legislatore, come si è accennato, ha esplicato  una complessa elaborazione per  definire   l'ambito  dell'istituto.  Da  un  lato   ha  compiuto   una  graduazione qualitativa, astratta, basata sull'entità e sulla natura  della pena; e vi ha aggiunto un  elemento  d'impronta personale,  pure  esso  tipizzato, tassativo, relativo   alla abitualità o meno  del  comportamento. Dall'altro  lato  ha  demandato  al giudice una  ponderazione   quantitativa  rapportata  al  disvalore   di  azione,  a quello  di evento,  nonché  al grado  della  colpevolezza.  Ha infine  limitato la discrezionalità del giudizio  escludendo  alcune  contingenze ritenute incompatibili con l'idea  di speciale  tenuità:  motivi  abietti  o  futili, crudeltà, minorata   difesa  della  vittima ecc..

Da  tale  connotazione   dell'istituto emerge  un  dato  di  cruciale  rilievo, che deve   essere   con   forza   rimarcato:  l'esiguità  del   disvalore    è  frutto  di   una valutazione   congiunta   degli  indicatori  afferenti alla  condotta,  al  danno  ed alla colpevolezza.  E potrà  ben accadere che si sia in presenza di elementi  di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare  prudentemente.

Da quanto  precede discende che la valutazione inerente  all'entità del danno o  del  pericolo   non  è  da  sola  sufficiente   a  fondare  o  escludere  il giudizio   di marginalità del fatto. Tale conclusione  è desunta non solo dalla complessiva articolazione  della  disciplina   cui  si  è   sopra  fatto   cenno,   ma  anche  da  due argomenti specifici.

In primo   luogo,   il legislatore   ha  espressamente   previsto   che  la  nuova disciplina  trova  applicazione  anche quando la legge prevede  la particolare  tenuità del   danno   o  del   pericolo   come   circostanza   attenuante.  Dunque,   anche   in presenza  di  un  danno  di  speciale  tenuità  l'applicazione   dell'art. 131-bis è  pur sempre  legata  anche  alla  considerazione  dei  già evocati  indicatori afferenti  alla condotta  ed alla colpevolezza.

D'altra   parte,   quando   si  è  voluto   evitare   che  la  graduazione   del  reato espressa  in  una  circostanza  aggravante   ragguagliata all'entità  della  lesione  sia travolta   da  elementi   di  giudizio  di  segno  opposto  afferenti   agli  altri  indicatori previsti   dalla   legge  lo  si  è  ha  fatto   esplicitamente:  l'offesa   non  può  essere ritenuta tenue quando  la condotta  ha cagionato, quale conseguenza  non voluta, lesioni gravissime.

In  breve,  è stata  accolta  in tutto  e per tutto la concezione  gradualistica del reato  già  nitidamente scolpita  nell'insegnamento Carrariano:  «nella  ricerca  sul grado si esamina  un fatto  nelle eccezionali accidentalità del suo concreto  modo di essere  nella  individualità  criminosa nella  quale  si  estrinseca»;  e,  nel  rispetto della  legge,  tale  giudizio   non   può  che  essere  rimesso  al  magistrato  «perché l'uomo  deve essere condannato  secondo la verità  e non secondo le presunzioni». Si tratta, d'altra   parte,  di  approccio  non  solo  tradizionale ma  anche  moderno, ripreso   dagli   studiosi   che   hanno   analizzato    i   mutevoli  pesi  dell'esperienza giuridica  proprio  per cogliervi  criteri  di selezione  di comportamenti per l'appunto minori, meritevoli di trattamento differenziato.

10. Alla luce di tali considerazioni è possibile  rispondere  agli interrogativi che riguardano la  fattispecie  in  esame.  Essa si inscrive  nella  categoria   degli  illeciti che presentano  una soglia quantitativa che segna l'ambito di rilevanza  penale del fatto  o che regola  la gravità  dell'offesa.  Qui il dato  oggetto  di misurazione  è il tasso alcoolemico.

Orbene, è chiaro  che il superamento  della  soglia di rilevanza  penale coglie  il minimo disvalore   della  situazione   dannosa  o  pericolosa.  Il giudice  che  ritiene tenue una condotta  collocata  attorno all'entità minima  del fatto  conforme  al tipo, contrariamente a quanto  ritenuto dall'ordinanza di rimessione, non si sostituisce al legislatore, ma anzi ne recepisce fedelmente la valutazione.

Naturalmente,  pure   in   tale   caso   la  valutazione  riguarda    la  fattispecie concreta  nel  suo  complesso  e quindi  tutti gli  aspetti  già  più  volte  evocati,  che afferiscono  alla condotta, alle conseguenze  del reato   ed alla colpevolezza.

Chiaramente,  quanto   più   ci  si  allontana   dal   valore-soglia  tanto   più  è verosimile  che  ci  si  trovi   in  presenza  di  un  fatto   non  specialmente   esiguo. Tuttavia, nessuna  conclusione  può  essere  tratta in  astratto, senza  considerare cioè   le   peculiarità   del   caso   concreto.    Insomma,   nessuna   presunzione   è consentita.

Tale  conclusione,   desunta   dai  principi  espressi  dalla   nuova  normativa,  è anche  perfettamente aderente   al  senso  comune  ed  alla  pratica   giudiziaria.  E' illuminante  l'esempio, già  evocato  dalla  sentenza   Longoni,  dell'agente che, in stato  di grave  alterazione alcoolica  integrante la  fattispecie   di cui  all'art.  186, comma   2,  lettera   c),  si  pone  alla  guida  di  un'auto   in  un  parcheggio   isolato, spostandola di qualche metro    e senza determinare alcuna pregiudizievole situazione.

 

11.  Resta da  esaminare  l'obiezione  per  cui  la  valutazione sulla  tenuità  del fatto è preclusa nell'ambito delle  fattispecie in cui non  è richiesto l'accertamento della concreta  pericolosità  della condotta  tipica.

A tale  riguardo occorre  considerare che  la  contravvenzione di  cui si discute si  inscrive effettivamente  nella   categoria  di  illeciti in  cui  la  pericolosità  della condotta tipica  è tratteggiata in guisa  categoriale: è ritenuta una  volta  per  tutte dal   legislatore,  che  individua   comportamenti  contrassegnati,  alla  stregua   di informazioni scientifiche  o di comune  esperienza, dall'attitudine  ad  aggredire il bene  oggetto di  protezione. Si  tratta, in  breve, dei  reati  di  pericolo presunto: nessunaindagine   è richiesta   sulla fattispecie concreta e   sulla    concreta pericolosità  in  relazione al  bene  giuridico  oggetto di  tutela. Si  tratta, è  bene rammentarlo, di  una  categoria di  illeciti che  trova frequente espressione in  reati contravvenzionali connotati proprio dal superamento di  valori soglia  ritenuti  per l'appunto tipicamente pericolosi.

Orbene,  non  è  da  credere che  tale   conformazione della   fattispecie  faccia perdere il  suo  ancoraggio all'idea di  pericolo ed  ai  beni  giuridici che  si trovano sullo  sfondo. Al contrario, come  ormai diffusamente ritenuto, si tratta di  illeciti che presentano un  forte  legame con l'archetipo della  pericolosità e garantiscono, anzi,  il rispetto del  principio di  tassatività, assicurando la definita conformazione della  fattispecie alla  stregua di accreditate informazioni scientifiche e di razionale ponderazione degli   interessi  in  gioco;   ed  eliminando  gli   spazi   di  vaghezza  e discrezionalità  connessi alla  necessità  di  accertare in  concreto l'offensività  del fatto.

Da  tale  ricostruzione della  categoria  discende che,  accertata  la  situazione pericolosa tipica   e  dunque l'offesa, resta   pur  sempre spazio   per  apprezzare in concreto,  alla   stregua  della   manifestazione  del   reato,  ed   al   solo   fine   della ponderazione in  ordine alla  gravità dell'illecito, quale sia  lo  sfondo   fattuale nel quale   la  condotta si  inscrive e  quale sia,  in  conseguenza, il  concreto  possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene  tutelato.

Per esemplificare, non  è  per  nulla indifferente nella  ottica   gradualistica  che qui  interessa, che  l'irregolare scarico   di  acque   reflue avvenga in  un  territorio riccamente urbanizzato, magari con  fonti  di approvvigionamento idrico; o che avvenga,  invece, in  un    luogo   assai  remoto  privo   di  significative  connessioni, dirette o indirette, con oggetti pertinenti alfa tutela ambientale.

E'  agevole, a  questo punto, tradurre  le  indicate  enunciazioni di   principio nell'ambito  di   cui   ci   si   occupa,    non   prima,  però,   di   aver    posto   un'ultima preliminare precisazione. Non può  ritenersi che lo sfondo  di tutela del reato  di cui all'art. 186, comma   2,  sia  quello della   regolarità della  circolazione. Istanze di sicurezza e regolarità della  circolazione permeano, nel  complesso, il codice  della strada. Tuttavia  la nostra contravvenzione ha una evidente  e ben poco mediata correlazione  con i beni della  vita  e dell'integrità personale.  Tale conclusione  non si trae  solo da diretta, vivida  e comune fonte esperienziale. E' la stessa  disciplina legale a fornire  univoca  indicazione  in tal senso. Il comma 2-bis  prevede  che se il conducente   in  stato   di  ebbrezza   provoca   un  incidente   stradale,  il   reato   è aggravato.  Più  in  generale, l'art.  222   prevede severe   sanzioni amministrative accessorie  quando   dalla  violazione   di  norme   del  Codice  derivano   danni  alle persone.

Dunque,  conclusivamente, il doveroso  apprezzamento in ordine  alla  gravità dell'illecito connesso all'applicazione dell'art. 131-bis consente ed anzi  impone di considerare  se   il  fatto  illecito abbia   generato  un   contesto  concretamente  e significativamente  pericoloso con  riguardo ai  beni  indicati. Nuovamente, appare illuminante l'esempio prima proposto: non  è  indifferente che  il veicolo sia  stato guidato per  pochi  metri in  un  solitario parcheggio o ad  elevata velocità in  una strada  affollata, magari generando un incidente.

12. Tale  conclusione non  è ostacolata neppure dalla  considerazione che al di sotto della  soglia  di rilevanza penale  esiste  una  fattispecie minore che integra un illecito amministrativo. Invero, come   già   evidenziato  dalla   sentenza  Longoni, l'illecito penale  e quello amministrativo, pur  essendo   parti  del  più  ampio  diritto punitivo,  presentano differenze tanto  evidenti quanto rilevanti,  che  delineano autonomi statuti. Tale  condivisa enunciazione si pone  sulla  scia  di ripetute prese di posizioni delle  Sezioni  Unite  che, da ultimo, hanno  avuto occasione di ribadire la  piena  autonomia  dei  connotati e  dei  principi delle   violazioni amministrative rispetto a quelle penali (Sez.  U, n. 25457  del  29/03/2012, Campagne Rudie, Rv. 252694).

Ancor  più, occorre considerare che la pena  costituisce sanzione specialmente afflittiva e reca  comunque un  peculiare stigma. Ciò giustifica  razionalmente che la  sua  inflizione sia  oggetto di  una  speciale considerazione ispirata, appunto, dalla  valutazione in ordine sua concreta necessità.

13.  Il tema   da  ultimo trattato  impone di  esaminare, infine,  la  questione problematica afferente agli  effetti della  pronunzia ex art.  131-bis cod.  pen.  sulle sanzioni  amministrative   accessorie.  Come   si  è   visto,  la  sentenza  Longoni   e l'ordinanza di  rimessione propongono soluzioni opposte:  l'una   ammette, l'altra esclude   l'irrogazione  di   tale   sanzione.  Le  diverse  soluzioni,  come   pure   si  è accennato, hanno   qualche riflesso nella  discussione sull'applicabilità  del  nuovo istituto al reato  di guida  in stato  di ebbrezza.

 

Nessuna  delle  due  prospettazioni è  fondata. La nuova  normativa non  reca alcuna   indicazione  al   riguardo. Tuttavia,  la  fattispecie  di  cui   ci  si  occupa   è collocata in  un  organico corpus  normativo che  agli  artt. 224  e 224-ter disciplina l'applicazione   delle    dette    sanzioni.Quando    la   sentenza   di   condanna,  di applicazione  della   pena  ex  art.   444  cod.   proc.   pen.  o  il decreto penale   sono irrevocabili,  l'autorità  amministrativa  dà   corso   all'esecuzione  delle    sanzioni accessorie disposte dal giudice. Invece, in caso di sentenza  di proscioglimento, la stessa   autorità  dispone la  cessazione  delle   eventuali  misure adottate  in  via provvisoria: la patente ed il veicolo  vengono restituiti.

La normativa si occupa  pure  dell'estinzione del reato  per causa  diversa dalla morte dell'imputato:  l'amministrazione, verificata l'esistenza delle  condizioni di legge, procede  all'applicazione delle  sanzioni amministrative.

In breve, quando manca  una  pronunzia di condanna o di proscioglimento, le sanzioni amministrative  riprendono la  loro  autonomia ed  entrano nella  sfera  di competenza dell'amministrazione  pubblica. Tale  regola  è espressa  testualmente con   riferimento all'istituto  della   prescrizione,  ma   ha  impronta  per   così  dire residuale: è cioè  dedicata alle  situazioni in  cui  condanna o  proscioglimento  nel merito manchino. Essa, dunque, trova  razionale applicazione anche  nel contesto in  esame  in  cui, appunto, il  fatto   non  è  punibile per  la  sua  tenuità e  non  si fa quindi luogo  ad una pronunzia di condanna.

Tale    soluzione  interpretativa,   fondata   sulla    ritrovata   autonomia   della sanzione  accessoria, trova   conferma nell'ultimo  periodo del  comma   3  dell'art. 224  e  del  comma  6  dell'art.  224-ter:  l'estinzione della   pena  successiva   alla sentenza  irrevocabile di  condanna non  ha effetto sull'applicazione della  sanzione amministrativa   accessoria. Tale   enunciazione  rende   viepiù  chiara   la  virtuale autonomia delle  sanzioni amministrative, che si manifesta anche  a seguito dell'estinzione delle  sanzioni penali. E non  vi  è chi  non  veda  che  coerenza del sistema  impone di ritenere che tale  autonomia si manifesti anche  nel  caso in  cui la punibilità sia esclusa  a mente della  nuova  normativa.

Si può  dunque concludere che  il  nuovo istituto  si  limita, razionalmente, a

richiedere un  giudizio sull'utilità  o  l'inutilità  della  pena  e  non  ha  riflessi  sulle sanzioni amministrative  previste dal  codice  della  strada, che  sono  governate da istanze  e regole  distinte.

Da  tutto  quanto precede   si  trae   la   definitiva  conclusione  che   nessuna preclusione osta all'applicazione della  nuova  normativa al reato  in discussione.

14.  Come  si  è  sopra   accennato, l'ambito  applicativo del   nuovo   istituto  è definito non solo dalla  gravità del  reato  desunta dalla  pena edittale, ma anche  da un profilo soggettivo afferente alla  non abitualità del comportamento. Tale ultimo aspetto  presenta  concreta  rilevanza  nel presente  giudizio.  Infatti, dal certificato penale  emerge  che  l'imputato ha  subito  condanne  per  violazione   delle  norme sulla  immigrazione clandestina,  con pena  sospesa; guida  in  stato  di ebbrezza; guida senza patente; uso di atto  falso e violazione  dell'obbligo di fermarsi  in caso di incidente.  Occorre  dunque  intendere   quale  sia  la  portata   del  terzo  comma dell'art. 131-bis  che definisce il comportamento abituale.

Sebbene   la   relazione   al   decreto legislativo  ritenga    esemplificative   le indicazioni  offerte  dalla  norma,  è  condivisibile l'opinione diffusa  ed  autorevole che  si  sia  in  presenza  di  norma  tassativa, di  tipizzazione   dell'abitualità.  Tale interpretazione  è   confermata dal   fatto che il   progetto  originario  aveva deliberatamente omesso  di definire  l'abitualità al fine di lasciare  al giudice  spazi di   manovra   che,   invece,   il legislatore   ha  evidentemente  ritenuto  di   dover eliminare.

Il testo della legge lascia subito  intendere che il nuovo istituto dell'abitualità è  frutto del sottosistema generato  dalla  riforma  ed al suo interno  deve  essere letto.  Sarebbe  dunque  fuorviante  riferirsi  esclusivamente alle  categorie tradizionali, come  quelle  della  condanna  e  della  recidiva.     In breve,  secondo opinione   comune   e  condivisa,   la  norma   intende   escludere   dall'ambito   della particolare  tenuità  del fatto  comportamenti  "seriali".

Alcune Indicazioni  della  nuova  normativa sono  chiare,  atteso  il riferimento ad istituti codicistici:  delinquente  abituale, professionale, per tendenza.

Parimenti  non  oscuro  è  il riferimento alla  commissione di «più  reati  della stessa indole».  In primo  luogo,  non si parla  di condanne  ma di  reati.  Inoltre, il tenore  letterale lascia intendere  che l'abitualità si concretizza  in presenza  di una pluralità   di  illeciti  della  stessa  indole  (dunque   almeno  due)  diversi  da  quello oggetto  del procedimento nel quale si pone la questione  dell'applicabilità dell'art. 131-bis.  In breve, il terzo illecito  della medesima  indole  dà legalmente  luogo alla serialità  che asta all'applicazione dell'istituto.

Tale interpretazione è in linea con l'idea  di serialità  delle condotte  che, come si è accennato, ha dall'inizio  accompagnato  l'iter

 

Documenti allegati