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Riflessioni in tema di non conformità al contratto di assicurazione del contrassegno esposto
Giorgio RISPOLI
SOMMARIO: 1. L’ambito d’indagine. – 2. Le soluzioni giurisprudenziali. – 3. Il principio dell’apparenza giuridica nel nostro ordinamento: nozione, ambito applicativo, profili critici. – 4. La preferibile concezione dell’apparenza giuridica come conseguenza di un’effettiva lesione dell’altrui buona fede risarcibile solo ove fonte d’illecito extracontrattuale. – 5. Profili di rilevanza penalistica. – 6. Conclusioni.
1. L’ambito d’indagine.
Asseriva Hegel che nulla è più profondo di ciò che appare in superficie. Un popolare adagio ci rammenta tuttavia che l’apparenza inganna. La presente indagine è volta ad analizzare le soluzioni offerte dalla giurisprudenza e dalla dottrina al problema della non conformità al contratto di assicurazione r.c. auto (stipulato fra il proprietario del veicolo e la compagnia di assicurazione) del contrassegno esposto sull’autoveicolo in ossequio all’obbligo legale[1]. Siffatta difformità può verificarsi per cause differenti: a) erronea emissione da parte della compagnia assicuratrice; b) emissione da parte di un soggetto non legittimato a rappresentare la compagnia assicuratrice (cd. difetto di potere); c) trasferimento del contratto di assicurazione ad altro veicolo rispetto a quello che espone il relativo contrassegno; d) contraffazione del contrassegno da parte del proprietario o del fruitore del veicolo. In particolare parrebbe opportuno porre in luce le criticità della prospettazione giurisprudenziale – imperniata sul principio dell’apparenza e del legittimo affidamento dei terzi – volta ad allocare principalmente in capo alle compagnie assicuratrici le conseguenze giuridiche di tale incongruenza e suggerire un’analisi ricostruttiva idonea ad ovviare ai menzionati profili critici.
2. Le soluzioni giurisprudenziali.
Il contrassegno assicurativo, in tema di r.c. auto, è disciplinato dall’ art. 127 del cd. codice delle assicurazioni private (D. lgs. 7 settembre 2005 n. 209) e dal regolamento ISVAP 6 febbraio 2008 n. 13. In armonia con detta disciplina, il documento deve contenere la ragione sociale dell’assicuratore, la targa ed il modello del veicolo assicurato nonché la scadenza del periodo assicurativo. Secondo un filone giurisprudenziale il semplice rilascio del contrassegno da parte dell’assicuratore – o di un suo incaricato od intermediario – sarebbe idoneo a vincolare l’assicuratore nei confronti del terzo (danneggiato dalla circolazione del veicolo assicurato) ancorché in difetto di corresponsione del premio da parte dell’assicurato[2]. Ciò in virtù della funzione lato sensu pubblicitaria che sarebbe propria di siffatto certificato. In tale prospettiva questo servirebbe dunque a consentire ai terzi l’immediata conoscenza degli estremi del contratto assicurativo e del periodo di copertura nell’immediatezza di un eventuale sinistro. Di conseguenza nel caso in cui un sinistro avvenga nel lasso temporale ivi indicato l’assicuratore emittente sarebbe obbligato ad indennizzare la vittima anche allorchè il certificato sia stato emesso per errore anteriormente all’avvenuta corresponsione del premio[3] o addirittura prima della stipula del contratto. Analogamente in ipotesi di contrassegno rilasciato da un soggetto privo del potere di rappresentare la compagnia assicuratrice o di agire per conto di essa[4] oppure di trasferimento del contratto ad altro veicolo rispetto a quello che continua ad esporre l’originario contrassegno[5]. Occorre peraltro segnalare come alcune sentenze di merito giungono a conclusioni antitetiche, sostenendo che l’esposizione del contrassegno non sarebbe di per se sufficiente ad obbligare l’assicuratore verso il danneggiato qualora – in ipotesi di trasferimento del contratto – l’assicuratore provveda a ritirare il certificato ma non il relativo contrassegno[6]. Secondo altra opinione, invece, il diritto del terzo danneggiato da un sinistro stradale al pagamento dell’indennizzo scaturirebbe dalla compilazione e dall’emissione del certificato e del contrassegno. Questi documenti sarebbero dunque gli unici elementi essenziali ai fini della configurabilità del predetto diritto. Il credito del terzo danneggiato si sostanzierebbe dunque in un diritto cartolare che presupporrebbe l’esistenza dei documenti sopra citati[7]. Una recente decisione di legittimità[8] precisa che la disciplina del contrassegno assicurativo costituirebbe un caso di tutela dell’affidamento espressamente previsto dalla legge. Questo perché l’apparenza del diritto – al di fuori dei casi particolari della tutela dell’affidamento previsti dalla legge – non integrerebbe un istituto a carattere generale con connotazioni definite e precise. Tuttavia sarebbe idoneo ad operare nell’ambito dei singoli rapporti giuridici secondo il vario grado di tolleranza di questi in ordine alla prevalenza dello schema apparente su quello reale. Di conseguenza nei confronti del danneggiato non rileverebbe la validità del rapporto assicurato, ma soltanto l’autenticità e dunque la provenienza del certificato e del contrassegno. Ciò in quanto la disciplina normativa del contrassegno mirerebbe a tutelare l’affidamento del danneggiato e coprirebbe perciò anche l’ipotesi dell’apparenza del diritto. Sicchè la responsabilità dell’assicuratore sarebbe configurabile anche in presenza di un certificato o contrassegno assicurativo falsificato o contraffatto, ipotesi in cui si dovrebbe provare – a discarico dell’assicuratore – che questi non abbia tenuto un comportamento tale da ingenerare l’erroneo affidamento in questione. Ne consegue che – in presenza di una situazione di tutela dell’affidamento del danneggiato sulla copertura assicurativa (anche eventualmente apparente) – competerebbe all’assicuratore provare non solo che il contrassegno ed il certificato assicurativo sono stati contraffatti nei dati, ma anche che nessun comportamento colpevole possa a lui ascriversi.
3. Il principio dell’apparenza giuridica nel nostro ordinamento: nozione, ambito applicativo, profili critici.
Dall’analisi del dato giurisprudenziale si evince dunque come la tesi, che tende a riconoscere la responsabilità indennitaria e risarcitoria, anche in caso di difformità dal contratto di assicurazione r.c. auto del contrassegno esposto sull’autoveicolo, in capo alle compagnie assicuratrici, si polarizzi intorno al principio dell’apparenza giuridica. Sembrerebbe perciò adeguato offrire alcuni sintetici riferimenti inerenti tale principio. La teoria dell’apparenza giuridica è stata elaborata in Germania nel XIX secolo per offrire una marcata forma di tutela ai terzi coinvolti a vario titolo nelle vicende di circolazione dei beni[9] e poi tralatiziamente ripresa dalla dottrina italiana che ha riconosciuto sic et simpliciter vigente il relativo principio all’interno del nostro ordinamento[10]. Il fondamento normativo di siffatto principio risiederebbe in una serie di norme che attraversano trasversalmente il sistema civilistico: l’art. 1189 c.c. in tema di pagamento al creditore apparente, l’art. 534, comma 2, c.c., relativo all’acquisto dall’erede apparente, l’art. 1153 c.c. inerente l’acquisto a non domino, l’art. 1415 c.c. relativo all’acquisto dal simulato acquirente. Secondo autorevole dottrina[11], in particolare, l’apparenza di diritto si sostanzierebbe in una relazione fra due fenomeni per cui una situazione di fatto farebbe apparire reale una situazione giuridica in realtà difforme o inesistente. Tuttavia siffatta costruzione è criticata – non senza mordente – dalle tesi[12] che sottolineano come il principio dell’apparenza non rivestirebbe autonomo rilievo, risolvendosi in un’indicazione meramente descrittiva di fattispecie differenti e fra loro non collegabili perché suffragate ciascuna da un’autonoma e peculiare ratio. Secondo tale visione, infatti, le ipotesi che parte della dottrina considera paradigmatica esemplificazione della tutela dell’apparenza sarebbero, in realtà, tutte fattispecie di tutela della buona fede espressamente contemplate dal sistema civilistico. Pertanto, riconoscere autonoma dignità alla tutela dell’apparenza all’interno del nostro ordinamento risulterebbe quanto mai pleonastico, fuorviante, nonché idoneo a fondare un’inaccettabile commistione concettuale fra la nozione positivizzata della buona fede ed un preteso principio di tutela legittimo affidamento dei terzi. La fallacia della nozione di apparenza giuridica si riverberebbe poi inevitabilmente sulle applicazioni più ricorrenti che la giurisprudenza ha fatto di tale principio. Ed infatti uno degli approdi giurisprudenziali più celebri e ricorrenti del menzionato principio è rappresentato dall’evanescente figura della cd. società apparente[13]. A tal proposito la giurisprudenza[14] ha sostenuto la peculiare tesi secondo cui perché una società di fatto possa considerarsi esistente nel mondo esterno – con tutte le conseguenze d’ordine sostanziale circa la responsabilità del patrimonio sociale e di quello individuale dei soci – sarebbe sufficiente che questa appaia esistente di fronte ai terzi. Tale circostanza si verificherebbe allorchè due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare nei terzi il ragionevole convincimento che essi agiscano come soci. Precisa inoltre il dato giurisprudenziale che la prova contraria richiesta per contrastare le pretese dei terzi dovrebbe volgersi ad individuare indici che consentano di smentire l’apparenza della società. Di conseguenza non potrebbe limitarsi a mostrare la reale inesistenza fra le parti del vincolo societario. La dottrina ha tuttavia criticato il ricorso allo schema della società apparente rilevando che questo implicherebbe una contraddizione logica nella pretesa di considerare il fenomeno societario esistente ad alcuni fini ed inesistente per altri[15]. Anche in materia societaria si ritiene pertanto che la tutela dei terzi dovrebbe essere ricercata sul piano risarcitorio quale ristoro del pregiudizio subìto a causa dell’incolpevole affidamento nell’esistenza di una società inesistente senza dunque ricorrere allo schermo dell’apparenza del diritto che risulterebbe dunque un’aberrante fictio. La medesima obiezione, circa la contraddittorietà della menzionata ricostruzione giurisprudenziale che implica l’efficacia del contratto di assicurazione solo nei confronti di alcuni soggetti (i danneggiati) e non di altri (gli assicuratori fra loro) può integralmente riproporsi a proposito della criticabile applicazione del principio dell’apparenza in materia di contrassegno assicurativo.
4. La preferibile concezione dell’apparenza giuridica come conseguenza di un’effettiva lesione dell’altrui buona fede risarcibile solo ove fonte d’illecito extracontrattuale.
Alla luce di quanto prospettato sembrerebbe opportuno rifiutare le tesi – fondate sul principio dell’apparenza del diritto – volte ad allocare tralatiziamente in capo alle compagnie di assicurazione la responsabilità risarcitoria in ipotesi di difformità fra contrassegno esposto sul veicolo e contratto di assicurazione. Questo perché – come in precedenza evidenziato – al di fuori dei casi previsti dalla legge (ad. pagamento al creditore apparente, acquisto a non domino, etc.), le ipotesi che parte della dottrina e della giurisprudenza unificano sotto il comune e discutibile nomen di tutela dell’apparenza altro non sarebbero che fattispecie di generale tutela della buona fede[16]. In particolare non sembrerebbe condivisibile l’analisi ricostruttiva per cui il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell’assicuratore della r.c. auto vincolerebbe quest’ultimo a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, ancorché il premio assicurativo non sia stato corrisposto oppure il contratto di assicurazione non sia efficace[17]. Secondo tale visione, infatti, ciò che rileverebbe ai fini della promuovibilità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile sarebbe l’autenticità del contrassegno, non già la validità del rapporto assicurativo. Il medesimo principio non troverebbe invece applicazione nei rapporti fra l’assicuratore del responsabile e gli altri assicuratori che – risarcita la vittima – intendano agire in regresso o surrogazione nei suoi confronti. Tale prospettazione presenta una pluralità di profili critici. Anzitutto la sopra evidenziata contraddizione – già rilevata dalla dottrina in materia di cd. società apparente – insita nel considerare un rapporto giuridico esistente per alcuni (il terzo danneggiato) e non per altri (gli assicuratori che intendano agire in regresso o surrogazione). In secundis, occorre precisare che l’art. 127 del D. lg. 209/205 (cd. Codice delle assicurazioni private) dispone che l’impresa di assicurazione è obbligata nei confronti dei terzi danneggiati per il periodo di tempo indicato nel certificato e non già nel contrassegno[18]. Se il legislatore avesse voluto estendere siffatto obbligo al periodo indicato dal contrassegno, presumibilmente lo avrebbe fatto espressamente: per cui ubi dixit voluit, ubi tacuit noluit! Del resto è altresì discutibile l’assunto secondo cui la norma de quo individuerebbe un caso di tutela dell’apparenza espressamente previsto. Ed infatti all’art. 127 del D. lg. 209/205 potrebbe essere assegnata una funzione meramente ricognitiva consistente nel ribadire che l’impresa di assicurazione è obbligata per il periodo di tempo indicato nel certificato e non già per un periodo maggiore o minore. Ciò in quanto il primo comma dello stesso articolo collega testualmente il rilascio del certificato al periodo per cui è stato pagato il premio. Ed inoltre laddove il legislatore ha inteso dare rilievo e conseguente tutela ad una situazione di apparenza giuridica, lo ha testualmente specificato (si pensi agli artt. 1189, 534, 1415 e 1153 c.c.). La norma parrebbe dunque contemplare l’ipotesi fisiologica, ossia quella in cui al rilascio del certificato sia sottesa la corresponsione del premio per il periodo di efficacia del assicurazione. Tuttavia – come precisato – l’asserita situazione di apparenza sarebbe riferibile esclusivamente al certificato e non al contrassegno. Ne consegue che la difformità del contrassegno assicurativo dal contratto di assicurazione cui inerisce non costituirebbe un’ipotesi di apparenza prevista dalla legge, sicchè – come precisato da attenta dottrina – rileverebbe come fonte di responsabilità risarcitoria nella residuale ipotesi in cui si acclarasse una contestuale lesione della buona fede. Ciò anche in virtù del disposto dell’art. 1372, comma 2, c.c., per cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge. In questi casi, tuttavia, gli assicuratori potrebbero forse prevenire ex ante siffatte conseguenze risarcitorie inserendo all’interno del contrassegno assicurativo una menzione circa l’assenza di valore probatorio del contratto di assicurazione in essere di tale documento. In tal modo si eviterebbe di ingenerare alcun tipo di affidamento in capo ai terzi danneggiati. Pertanto le compagnie assicuratrici dovrebbero essere ritenute responsabili della difformità fra il contrassegno assicurativo ed il relativo contratto solo ove sia ravvisabile la sussistenza di una lesione della buona fede da queste posta in essere che possa acquisire rilievo nei loro confronti perché conseguenza dell’inosservanza di un dovere specifico. Da ciò deriva che i terzi danneggiati dalla circolazione del veicolo che espone il contrassegno – in assenza di un contratto valido ed efficace fra le parti – non potrebbero avvalersi della disciplina relativa alla responsabilità contrattuale, che invece presuppone tale vincolo, ed alle ipotesi di lesione della buona fede a tal proposito previste (artt. 1175, 1337, 1358, 1366, 1460 c.c.). Sicchè l’unica forma di responsabilità da questi invocabile sembrerebbe quella da illecito extracontrattuale[19] (artt. 2043 ss. c.c.) derivante dalla lesione di una posizione giuridica astrattamente tutelata dall’ordinamento che non richiede l’esistenza di un pregresso vincolo giuridicamente rilevante fra le parti. Ciò con contestuale applicazione delle regole sottese a tale forma di responsabilità, fra cui il termine quinquennale di prescrizione e la previsione dell’onere probatorio gravante in capo al danneggiato. In particolare, le compagnie assicuratrici potrebbero essere chiamate a rispondere soltanto nei circoscritti casi in cui sia dimostrato che il loro comportamento doloso o colposo (ad es. un rilascio generalizzato di contrassegni assicurativi cui non si accompagna una verifica della regolarità dei relativi contratti) abbia cagionato un ingiusto danno patrimoniale ai terzi danneggiati (ad es. perché questi abbiano omesso di esercitare l’azione di risarcimento dei danni anche nei confronti del conducente o del proprietario del veicolo solidalmente obbligati confidando nella maggiore solvibilità dell’assicurazione e siano spirati i termini per la proposizione di siffatta azione). Quanto poi alla peculiare ipotesi di contrassegno rilasciato da un soggetto privo del potere di rappresentare la compagnia assicuratrice o di agire per conto di essa, sembrerebbe trovare applicazione il disposto dell’art. 1398 c.c., in virtù del quale colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto[20]. Anche in questo caso, dunque, l’applicazione (preferibile) delle regole generali porterebbe all’allocazione della responsabilità in capo al falsus procurator e non alla compagnia assicuratrice.
5. Profili di rilevanza penalistica.
Ulteriori argomenti a sostegno della soluzione sopra citata sembrerebbero trarsi dal dibattito giurisprudenziale relativo ai profili penalistici inerenti la contraffazione del contrassegno assicurativo. A tal proposito si discute anzitutto se la condotta consistente nell’esposizione sul proprio autoveicolo di un falso contrassegno assicurativo possa o meno integrare il reato di truffa, tentata o consumata, ai sensi dell’art. 640 c.p. Secondo una tesi[21] tale delitto non sarebbe nella fattispecie configurabile perché il reato previsto dall’art. 640 c.p. necessiterebbe – ai fini della sua sussistenza – di un atto di disposizione patrimoniale, realizzato attraverso artifizi o raggiri, che procuri all’agente l’ingiusto profitto contestuale all’altrui danno. Orbene nella fattispecie in esame difetterebbe proprio l’atto di disposizione patrimoniale lesivo dell’altrui sfera giuridica. Ulteriore prospettazione[22] perviene invece a conclusioni antitetiche, sottolineando come l’esposizione del contrassegno assicurativo materialmente falsificato integrerebbe il reato di truffa consumata. Ciò sul rilievo che l’agente si sottrarrebbe al pagamento dell’importo dovuto all’erario, falsificando la ricevuta di versamento in conto corrente postale della tassa di circolazione per i veicoli a motore ed il relativo contrassegno e facendo così abusivamente risultare l’adempimento dell’obbligo fiscale. Tale assunto è stato fatto proprio anche dalle Sezioni Unite della Cassazione[23]. Altro filone giurisprudenziale si interroga se la falsificazione e la successiva utilizzazione del contrassegno di assicurazione obbligatoria contro la responsabilità civile da circolazione dei veicoli costituisca una condotta punibile a titolo di falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.), oppure in atto pubblico (art. 481 c.p.). Secondo un’interpretazione consolidata la legge sull’assicurazione obbligatoria non avrebbe modificato la natura giuridica delle compagnie di assicurazione, caratterizzate dall’esplicazione di un’attività di natura eminentemente commerciale. Ciò anche allorché uno dei rami in cui la predetta attività si articola sia connesso ad un interesse superindividuale di natura generale. Di conseguenza, gli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’attività assicurativa permangono esclusivamente nell’ambito del diritto privato[24]. La giurisprudenza ha peraltro ribadito[25] che l’agente di assicurazione che rilascia il certificato per la r.c. auto ed il relativo contrassegno a sua firma non rivestirebbe la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio – se impiegato pubblico – necessaria per integrare il delitto di cui agli artt. 477 e 482 c.p. Questo perché, non modificando la L. 24 dicembre 1969 n. 990 – e successive modifiche ed integrazioni – il contenuto dell’attività assicurativa, il falso commesso dall’agente di assicurazione sul certificato da lui rilasciato sarebbe punibile ai sensi dell’art. 485 c.p. L’opposta visione propenderebbe invece per la comprensione del certificato di assicurazione obbligatoria e del relativo contrassegno fra i documenti tutelati ai sensi dell’art. 481 c.p., qualificando l’attività di assicurazione contro i rischi della responsabilità civile nella circolazione dei veicoli e dei natanti alla stregua di un servizio di pubblica necessità[26]. Ciò sul discutibile rilievo che si tratterebbe di un’attività autorizzata in virtù di un atto della Pubblica Amministrazione. In particolare, pur essendo i documenti de quo (ossia contrassegno e certificato) ontologicamente scritture private la loro falsità ideologica sarebbe eccezionalmente punita secondo la previsione dell’art. 481 c.p. Questo perché si tratterebbe di atti formati da persona esercente un servizio di pubblica necessità contenenti attestazioni – di verità o di scienza – con riguardo a fatti dei quali sono destinati a provare la verità[27]. Tuttavia, la prima impostazione parrebbe preferibile perché la costruzione sopra riferita – pur pregevolmente argomentata – sembrerebbe inevitabilmente contraddittoria ed apodittica nell’estendere alle scritture private – in assenza di esplicita previsione normativa – la disciplina penale degli atti pubblici. Ciò anche alla luce del principio di stretta legalità, tipicità e tassatività che informa la materia penale. Ed infatti la soluzione per cui la contraffazione del contrassegno assicurativo costituirebbe falsità in scrittura privata – punibile ex art. 485 c.p. – è stata fatta propria anche dalla Cassazione a Sezioni Unite[28]. Secondo la Suprema Corte, infatti, considerata la natura commerciale dell’attività delle compagnie di assicurazione, i relativi atti o negozi rimangono nell’ambito del diritto privato. Di conseguenza, anche in relazione a quanto si evince dall’analisi dei risvolti penalistici della tematica in esame, non sembrerebbe opportuno discostarsi dai principi generali del diritto privato – sotto il peculiare profilo della responsabilità risarcitoria – nel tracciare la posizione giuridica inerente la compagnia assicuratrice nei confronti dei terzi danneggiati in ipotesi di mancata conformità del contrassegno esposto al contratto di assicurazione.
6. Conclusioni.
Con precipuo riferimento alle composite ed articolate problematiche derivanti dalla difformità del contrassegno assicurativo al relativo contratto – enunciate nei paragrafi precedenti – è dunque possibile delineare alcune considerazioni conclusive. Una ricorrente giurisprudenza – argomentando ex art. 127 del cd. codice delle assicurazioni private (D. lgs. 7 settembre 2005 n. 209) – ritiene l’assicuratore responsabile dei danni cagionati a terzi anche in ipotesi di rilascio del contrassegno non suffragato da un efficace contratto di assicurazione in essere con il danneggiante[29]. Siffatto filone giurisprudenziale rinviene il suo fulcro nel principio di apparenza e di tutela del legittimo affidamento dei terzi che attenta dottrina ritiene invece di applicazione circoscritta alle ipotesi espressamente previste dalla legge (ad es. agli artt. 1189, 534 secondo comma, 1415 e 1153 c.c.). In tale prospettiva il fondamento della responsabilità risarcitoria gravante in capo alla compagnia assicuratrice per la difformità del contrassegno dal relativo contratto sussisterebbe entro i ben più angusti confini delle regole generali elaborate in tema di responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c. Ne consegue che il contrassegno assicurativo cui sia sotteso un contratto inefficace dovrebbe determinare un effetto – nei rapporti fra la compagnia assicuratrice ed i terzi danneggiati – equiparabile alla mancanza della copertura assicurativa. Ciò essenzialmente per due concorrenti ragioni di politica legislativa. Anzitutto questa interpretazione preserverebbe le compagnie di assicurazione da un eccessivo proliferare di ricorsi volto ad ampliare in modo ipertrofico l’area della risarcibilità anche nei confronti di danni provocati da soggetti privi di qualunque valido rapporto giuridico in essere con le stesse. Una simile interpretazione estensiva ben potrebbe infatti determinare – nel lungo periodo – una situazione di crisi del settore assicurativo analoga a quella verificatasi negli Stati Uniti all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso, allorché le compagnie non riuscivano a far adeguatamente fronte all’incremento delle pretese risarcitorie dei soggetti assicurati[30]. Inoltre, si eviterebbe di allocare in ultima analisi in capo all’assicurato diligente – ossia colui che corrisponde regolarmente il premio a fronte di un rapporto assicurativo regolarmente costituito – il costo dell’inevitabile incremento annuale del premio per la r.c. auto determinato dagli indennizzi corrisposti a copertura di rapporti assicurativi inesistenti o almeno inefficaci. Pertanto – in ipotesi di difformità fra contrassegno assicurativo esposto e relativo contratto di assicurazione – il ricorso tralatizio ad un asserito principio dell’apparenza giuridica sembrerebbe rivelarsi nulla di più che un artificio linguistico, analogo alla proverbiale punta dell’iceberg, idonea a nascondere molti più aspetti di quanti ne mostra.
------------------------------------------------------------------------------------------------------- [1] In argomento Cfr., ex multis, BUGIOLACCHI, Sull’assicurazione r.c. auto, in Resp. Civ. Prev., 2011, 6, 1395 ss.; TRUCANO, In tema di alterazione di contrassegno, in Giur. It., 2011, 5, 1143 ss.; CARRATO, Natura giuridica ed efficacia del contrassegno assicurativo, in Corr. Giur., 2011, 3, 345 ss. [2] Così Cass. 17 luglio 2009 n. 16726, in Mass. Giur. It., 2009, secondo cui «Il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell'assicuratore della r.c.a. vincola quest'ultimo a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo quand'anche il premio assicurativo non sia stato pagato, ovvero il contratto di assicurazione non sia efficace, giacché nei confronti del danneggiato quel che rileva ai fini della promovibilità dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile è l'autenticità del contrassegno, non la validità del rapporto assicurativo. Il medesimo principio non trova, invece, applicazione nei rapporti tra l'assicuratore del responsabile e gli altri assicuratori che, risarcita la vittima, intendano agire in regresso o surrogazione nei confronti di quello, poiché rispetto a questi ultimi non sussiste alcuna necessità di tutela di un legittimo affidamento. Pertanto, chi intende agire in regresso o surrogazione nei confronti dell'assicuratore del responsabile, non può limitarsi ad invocare l'esistenza di un contrassegno assicurativo formalmente valido, ma deve provare che al momento del sinistro esisteva una copertura assicurativa valida ed efficace»; Cfr. altresì Cass. 21 novembre 2001 n. 14734, in Assicur., 2002, II, 2, 73; Cass. 24 aprile 2001 n. 6026, in Dir. e Giust., 2001, 10. [3] In tal senso, ex pluribus, Cass. 26 settembre 2000 n. 12758, in Arch. circ. trasp., 2000, 934, per cui «In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, il rilascio del contrassegno assicurativo in data anteriore alla verificazione dell'evento rende inopponibile al terzo danneggiato l'eccezione dell'inadempimento dell'assicurato nel pagamento del premio. (Nella specie, versato il giorno dell'evento, prima della scadenza semestrale della copertura assicurativa indicata nello stesso contrassegno)»; Cass. 27 marzo 1996 n. 2724, in Riv. giur. circ. trasp., 1996, 296; Cass. 11 novembre 1995 n. 11723, in Riv. giur. circ. trasp., 1996, 514; Cass. 27 ottobre 1992 n. 11694, in Arch. circ. trasp., 1993, 153; Cass. 26 maggio 1984 n. 3243, in Riv. giur. circ. trasp., 1984, 682. [4] Così Cass. 5 agosto 1981 n. 4886, in Mass. Giur. It., 1981, secondo cui «L'assicurato, che abbia pagato il premio ad un agente dell'assicuratore, benché quest'ultimo avesse in precedenza revocato il mandato con rappresentanza conferito all'agente stesso e dato notizia della revoca, non può invocare, quale mezzo al fine di sostenere il valore liberatorio di quel pagamento, un eventuale patto di irrevocabilità di detto mandato, atteso che tale patto, riconducibile nella previsione dell'art. 1725 comma 1 c.c., non esclude l'estinzione del mandato in conseguenza della revoca, tanto fra le parti, quanto nei confronti del terzo, ma può essere solo fonte di responsabilità risarcitoria del mandante verso il mandatario». [5] Cfr. Cass. 10 aprile 1991 n. 3770, in Arch. giur. circ. trasp., 1991, 662; Trib. Roma 23 ottobre 1997, in Giur. romana, 1998, 4. [6] Si vd. Trib. Pescara 14 aprile 1990, in Assicur., 1991, 184; App. Napoli 4 marzo 1985, in Riv. giur. circ. trasp., 1986, 545. [7] Lo rileva FERRI, L’assicurazione dei veicoli a motore, in Quaderni Cirsa, 1980, 3, 18 ss. [8] Cass. 13 dicembre 2010 n. 25130, in Mass. Giur. It., 2010; Cfr. altresì, in tema di apparenza, Cass. 24 ottobre 2008 n. 25735, in Giur. It., 2009, 1934; Cass. 28 agosto 2007 n. 18191, in Mass. Giur. It., 2007, per cui «In tema di rappresentanza, l'applicabilità del principio dell'apparenza del diritto richiede che il rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo tale da ingenerare nel terzo il ragionevole convincimento che al rappresentante apparente fosse stato effettivamente conferito il relativo potere e che il terzo abbia in buona fede fatto affidamento sulla esistenza di detto potere, non potendosi in ogni caso invocare in via analogica il diverso principio ricavabile dall'art. 2384 c.c., dettato per le società. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello la quale aveva escluso che una società assicuratrice avesse indotto nel terzo alcun affidamento in ordine al potere rappresentativo dei coagenti per la stipula di contratti di assicurazione nel ramo vita, essendo stata data idonea pubblicità - con trascrizione - alla procura, che escludeva la facoltà di concludere proprio tali contratti e che comunque sottoponeva i contratti autorizzati all'impiego di formulari a stampa predisposti,salvo deroghe da consentire dalla direzione della compagnia)»; Cass. 8 febbraio 2007 n. 2725, in Mass. Giur. It., 2007. [9] Per ulteriori approfondimenti si vd. FALZEA, voce Apparenza, in Enc. del Dir., Giuffrè, Milano, 1958, 682 ss. [10] Secondo alcuni autori sarebbe infatti vigente all’interno del nostro ordinamento un generale principio di apparenza. In tal senso, per tutti, ROPPO, Il contratto, in Tratt. Dir. Priv. (a cura di) IUDICA e ZATTI, Giuffrè, Milano, 2001, XLII, 303 ss. [11] Così MENGONI, Gli acquisti a non domino, Giuffrè, Milano, 1994, III ed., rist., 343. [12] In tal senso PUGLIATTI, La trascrizione, in La pubblicità in generale, in Tratt. Dir. Civ. (diretto da) CICU e MESSINEO, Giuffrè, Milano, 1957, XIV, 257. [13] In argomento PAROLA, La rappresentanza apparente nelle società di capitali, in Obbl. Contr., 2011, 7, 525 ss.; TAMMARO, Osservazioni in tema di principio dell’apparenza del diritto e pubblicità legale, in Obbl. Contr., 2011, 6, 433 ss.; MICCIO, Il punto sulla giurisprudenza in tema di società di fatto, società occulta e società apparente dopo la riforma del diritto societario e del diritto fallimentare, in Dir. Impr., 2010, 1, 47 ss.; IBBA, Pubblicità d’impresa e rappresentanza apparente, in Riv. Giur. Sarda, 2007, 1, 366 ss.; MACRÌ, Ancora in tema di simulazione di società, in Banca Borsa Tit. Cred., 2006, 5, 661 ss.; VINCIERI, La tutela dell’apparenza e dell’affidamento dei terzi in buona fede nell’ambiente lavoristico, in Riv. It. Dir. Lav., 2005, 1, 87 ss.; PERRECA, Brevi osservazioni in tema di rappresentanza apparente e pubblicità legale, in Riv. Giur. Sarda, 2004, 1, 7 ss.; SIMIONATO, Tra società di fatto, società occulta e società apparente: cinque brevi considerazioni a margine dell’affaire Bottega, in Foro Pad., 2002, 1, 226 ss.; ROMAGNOLI, Società occulta, società apparente ed esigenze equitative, in Soc., 1999, 1, 35 ss.; MIRABILE, Appunti in tema di società apparente, in Temi Rom., 1980, 1, 102 ss.; FRANCESCHELLI, In tema di società di fatto e di società apparente, in Giur. Comm., 1978, 1, 149 ss. [14] Sul punto Cass. 20 aprile 2006 n. 9250, in Mass. Giur. It., 2006, per cui «La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l'insorgere dell'opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l'esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela»; Cfr. altresì Cass. 12 settembre 1997 n. 9030, in Giur. It., 1998, 1205, secondo cui «Si ha società apparente, con le inerenti conseguenze sul terreno sostanziale e fallimentare, allorché due o più persone, pur non essendo legate da vincoli sociali, operino nel mondo esterno in modo da generare il convincimento che esse agiscano come soci. L'apparenza non è tuttavia oggetto di tutela in sè stessa ma solo in quanto strumentale alla tutela dell'affidamento dei terzi di buona fede; onde essa non può essere invocata da chi sia consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale». [15] Lo rileva ANGELICI, voce Società apparente, in En. Giur. Trec., Milano, 1993, XXIX, 2. [16] In argomento ANGIULI, Rappresentanza apparente tra tutela dell’affidamento del terzo e colpa del rappresentato, in Contratti, 2011, 3, 237 ss.; GALGANO, Sul principio generale dell’apparenza del diritto, in Contr. Impr., 2009, 1137 ss.; PERRECA, Note sull’apparenza del diritto, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2009, 1, 297 ss.; MANCUSO, La buona fede del terzo nella rappresentanza apparente, in Riv. Dir. Priv., 2008, 3, 565 ss.; GOLISANO, L’uso dello strumento della finzione giuridica da parte del legislatore, in Contr., 2005, 11, 1063 ss.; PAROLA, La rappresentanza apparente, in Obbl. Contr., 2005, 3, 246 ss. [17] Così, ex multis, Cass. 17 luglio 2009 n. 16726, in Mass. Giur. It., 2009. [18] Cfr. SCARPA, Principio di apparenza e contratto a favore del terzo, in Contr., 2009, 6, 588 ss.; [19] Si vd. PERLINGIERI, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. Dir. Civ., 2011, 1, 115 ss.; TRAVAGLINO, Il danno patrimoniale extracontrattuale, in Danno e Resp., 2010, 11, 45 ss.; NAVARRETTA, Riflessioni in margine all’ingiustizia del danno, in Resp. Civ. Prev., 2008, 12, 2419 ss. Di particolare interesse sui rapporti fra principio di buona fede e regole di responsabilità extracontrattuale risulta essere Cass. 24 gennaio 2003 n. 1137, in Giur. It., 2003, 1864, per cui «Con la promessa del fatto del terzo, il promittente assume una prima obbligazione di facere, consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l'interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di dare, cioè di corrispondere l'indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi. Ne consegue che, qualora il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di facere e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, il promissario resta garantito dall'obbligo del promittente di corrispondergli l'indennizzo; qualora, invece, l'obbligazione di facere non venga adempiuta e l'inesecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l'inadempimento e potrà richiedere, in presenza del necessario nesso di causalità, il risarcimento del danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, qualificando la domanda proposta nei confronti del promittente come risarcitoria sulla base di due indici inequivocabili, quali la quantificazione delle somme richieste e l'articolazione in danno emergente e lucro cessante, aveva provveduto a verificare se fosse provato l'inadempimento dell'obbligo, strumentale, del terzo promittente di attivarsi presso il terzo, e, pervenendo a conclusioni negative sul punto, aveva rigettato la domanda)». [20] Cfr. Cass. 17 giugno 2010 n. 14618, in Mass. Giust. Civ., 2010, 6, 923, secondo cui «Il negozio concluso dal falsus procurator costituisce una fattispecie soggettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del dominus, e, come negozio in itinere o in stato di pendenza (però suscettibile di perfezionamento attraverso detta ratifica), non è nullo, e neppure annullabile, bensì inefficace nei confronti del dominus sino alla ratifica di questi; tale (temporanea) inefficacia non è rilevabile d'ufficio, ma solo su eccezione di parte e la relativa legittimazione spetta esclusivamente allo pseudo-rappresentato, e non già all'altro contraente, il quale, ai sensi dell'art. 1398 c.c., può unicamente chiedere al falsus procurator il risarcimento dei danni sofferti per aver confidato senza propria colpa nella operatività del contratto»; Per Cass. 12 gennaio 2006 n. 408, in Giust. Civ., 2006, 7-8. I, 1490, «Il principio dell'apparenza del diritto, riconducibile a quello, più generale, della tutela, dell'affidamento incolpevole, può essere invocato con riguardo alla rappresentanza allorché, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante a norma dell'art. 1393 c.c., non solo sussiste la buona fede del terzo che ha concluso atti con il falso rappresentante, ma ci si trovi in presenza di un comportamento colposo - non meramente omissivo - del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente. L'accertamento degli elementi obiettivi idonei a giustificare la ragionevole convinzione del terzo circa la corrispondenza della situazione apparente a quella reale - e cioè degli elementi richiesti perché si possa attribuire rilevanza giuridica alla situazione di apparenza - è riservato istituzionalmente al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione (nella specie, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha ravvisato la correttezza della motivazione della sentenza impugnata con la quale era stata negata l'applicazione del principio dell'apparenza ed esclusa la ratifica di un contratto di locazione - stipulato da un soggetto che aveva speso il nome di una società ed era risultato privo di poteri rappresentativi - sulla scorta della valutazione di una serie di indici probatori sintomatici, dai quali non era emersa l'effettiva sussistenza di elementi obiettivi idonei a giustificare l'erroneo ed incolpevole convincimento nel terzo invocante la circostanza che la situazione apparente rispecchiasse la realtà giuridica e che l'apparenza fosse stata determinata da una condotta positiva colposa della società indicata quale apparente rappresentata». [21] In tal senso, ex multis, Cass. 30 aprile 2009 n. 23941, in Arch. Giur. Circ. Sin., 2009, 11, 901, per cui «Non costituisce truffa né tentativo di truffa l'esposizione sul parabrezza dell' autovettura di un falso contrassegno di assicurazione, atteso che il profitto derivante da una tale condotta è soltanto quello costituito dalla circolazione senza copertura assicurativa, senza che da ciò derivi alcuno spostamento di risorse economiche da parte del soggetto ipoteticamente truffato in favore dell'agente»; Cass. 3 ottobre 2006 n. 34179, in Resp. Civ. Prev., 2007, 2, 310, con nota di DE CRESCENZO, secondo cui «Non integra il delitto di truffa, neanche nella forma del tentativo, la condotta di colui il quale, al fine di sfuggire alla sanzione amministrativa relativa alla circolazione senza copertura assicurativa, esibisca sul proprio autoveicolo un certificato assicurativo falso. In tale vicenda manca infatti l'atto di disposizione patrimoniale del soggetto ingannato, requisito implicito ma indefettibile della fattispecie di truffa»; Cass. 9 maggio 1989 n. 7018, in Giust. Pen., 1990, II, 560; Cass. 30 giugno 1988 n. 7511, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1989, 255; Cass. Sez. Un. 11 ottobre 1984 n. 8435, in Riv. Pen., 1985, 1013. [22] Così, ex pluribus, Cass. 28 settembre 1989 n. 1153, in Riv. Pen., 1990, 1086; Cass. 10 ottobre 1988 n. 17365, in Cass. Pen., 1991, 779; Cass. 15 dicembre 1983 n. 1341, in Riv. Pen., 1984, 1052. [23] Cass. Sez. Un. 21 giugno 1986 n. 9418, in Cass. Pen., 1987, 706. [24] Sul punto FATTORI, Brevi osservazioni sulla natura del certificato e del contrassegno previsti dall’art. 7 della legge sull’assicurazione obbligatoria, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1975, 586 ss. In giurisprudenza, ex pluribus, Cass. 16 dicembre 2003 n. 2576, in Arch. Giur. Circ. Sin., 2004, 626, per cui «Il contrassegno di assicurazione del veicolo per la responsabilità civile, previsto dall'art. 7 l. n. 990 del 1969, ha natura di scrittura privata e pertanto la sua falsificazione dà luogo alla configurabilità del reato di cui all'art. 485 c.p., perseguibile a querela»; Per Cass. 18 dicembre 2003 n. 4635, in Giur. It., 2005, 365, con nota di MORONE, «La falsificazione del contrassegno di assicurazione obbligatoria contro la responsabilità civile da circolazione di veicoli costituisce falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.), punibile a querela della persona offesa e non in atto pubblico (art. 481 c.p.): ciò in quanto l'attività delle compagnie di assicurazione ha natura commerciale per cui i relativi atti o negozi rimangono nell'ambito del diritto privato». [25] Cfr., anche per riferimenti, TOMASI, Alterazione del contrassegno dell’assicurazione r.c. auto: falso in atto pubblico o in scrittura privata?, in Cass. Pen., 1996, 1822 ss. In giurisprudenza Cass. 14 giugno 1995 n. 7712, in Giust. Pen., 1996, II, 454, secondo cui «L'agente di assicurazione che rilascia il certificato per la cosiddetta r.c.a. ed il relativo contrassegno a sua firma non riveste la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (se pubblico impiegato), necessaria per integrare il delitto di cui agli art. 477 e 482 c.p. La l. 24 dicembre 1969 n. 990, infatti, non ha modificato la natura giuridica delle compagnie di assicurazione, che resta eminentemente commerciale, anche se ad uno dei rami in cui tale attività si esplica (assicurazione della responsabilità civile connessa alla circolazione dei veicoli a motore) è collegato un interesse di carattere generale. Conseguentemente la falsificazione del contrassegno dell'assicurazione per la responsabilità civile è punibile ex art. 485 c.p.». [26] Si vd. FATTORI, Nuove osservazioni sulla natura del certificato e del contrassegno previsti dall’art. 7 della legge sull’assicurazione obbligatoria, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1980, 581. [27] In argomento FERRARO, Osservazioni sulla natura dell’attività delle imprese autorizzate all’esercizio dell’assicurazione obbligatoria prevista dalla l. 24 dicembre 1969 n. 990, in Cass. Pen., 1982, 1520 ss.; Cfr. altresì AURIEMMA, Il falso ideologico nei contratti di assicurazione, in Giust. Pen., 1977, II, 185; HALPERIN, Assicurazione, impresa di assicurazioni e servizio pubblico improprio, in Assicur., 1975, 210 ss. [28] Così Cass. Sez. Un. 24 aprile 2002 n. 18056, in Foro It., 2002, II, 407. Si vd. inoltre Cass. 20 febbraio 2007 n. 12210, in Arch. Giur. Circ. Sin., 2007, per cui «In tema di reato di frode in assicurazione, l'integrale falsificazione della polizza e del contrassegno assicurativo, siccome impedisce l'instaurazione del rapporto tra l'autore della condotta tipica e la compagnia di assicurazione, rende l'azione idonea a ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice, potendosi però configurare, in ordine a tale condotta, il delitto di falsità in scrittura privata». [29] Sul punto, ex multis, Cass. 23 ottobre 2009 n. 1823, in Dir. e Giust., 2010, «Nei giudizi di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione di veicoli per i quali vi è obbligo di assicurazione, nei rapporti tra danneggiato e compagnia assicurativa non assumono rilievo questioni riguardanti la validità della polizza. In particolare, il rilascio del contrassegno vincola l'assicuratore a pagare i danni causati dalla circolazione del veicolo anche se il contratto non è efficace; infatti, ciò che rileva verso il terzo danneggiato è l'autenticità del contrassegno non la validità del rapporto assicurativo, perché va tutelato il legittimo affidamento dei terzi». [30] Cfr., anche per riferimenti, GAGLIARDI, L’interesse generale nel diritto comunitario e l’obbligo a contrarre nella RC auto: una ventata di solidarismo, in Riv. Dir. Civ., 2011, 1, 97 ss.; FERRARO, La storia infinita del caso RC auto, tra diritto italiano e diritto comunitario, in Dir. Comunit. Scamb. Internaz., 2008, 1, 107 ss.; SELLA, La funzione sociale del contratto di assicurazione R.C. auto, in Resp. Civ. Prev., 2008, 1, 216 ss.; TURCHETTI, Le tensioni irrisolte nel mercato RC auto, in Econom. Pol. Indust., 2005, 3, 25 ss.