• Giurisprudenza
  • Limiti di velocità
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Rilevatori anti autovelox

Corte di Cassazione I sez. civile
24 maggio 2007, n. 12150

Art. 45 comma 9-bis cod. strad. – apparecchi rilevatori autovelox – divieto di utilizzo

 

Sono vietati in base all’art. 45 comma 9-bis del Codice della strada gli apparecchi che consentano la localizzazione degli autovelox, anche senza segnalarle al conducente. Non occorre che la localizzazione si traduca in coordinate geografiche o topografiche, ma è sufficiente la semplice restituzione del segnale che presuppone l’individuazione della fonte.    

 

Commento: Nell’arresto in commento la Cassazione conferma la sentenza del giudice di pace con la quale è respinta l’opposizione avverso ordinanza di pagamento per violazione dell’art. 45 comma 9-bis del codice della strada, in relazione ad utilizzo di apparecchio “phazer” il quale, installato su autovettura, consente la captazione di segnale radar di misuratori di velocità L’art. 45 comma 9-bis allo scopo di evitare fraudolente elusioni dei controlli operati a mezzo apparecchiature elettroniche, vieta “l'uso di dispositivi che, direttamente o indirettamente, segnalano la presenza e consentono la localizzazione delle apposite apparecchiature di rilevamento di cui all'art. 142, comma 6, utilizzate dagli organi di polizia stradale per il controllo delle violazioni”. Il problema al vaglio della Corte è di verifica del se un ricevitore passivo quale quello “incriminato” nella pronuncia del giudice di merito sia corrispondente alle caratteristiche indicate dall’articolo del codice della strada in commento. In particolare occorre stabilire se l’utilizzo di  apparecchiature quali quelle sopra citate possa essere considerato illecito secondo un’interpretazione logica della norma di cui al 45 comma 9-bis, o se, al contrario, ciò rappresenti una applicazione analogica della norma de qua. La distinzione non ha carattere meramente teorico, ma sortisce importanti applicazioni logiche. Infatti, la disciplina in materia di illecito amministrativo ( legge 689/1981) recepisce i principi generali vigenti in materia penale, quali quello di legalità del quale necessario corollario applicativo, espressamente richiamato dal comma 2 dell’art. 1 legge 689/1981,  è quello del divieto di analogia, in forza del quale le leggi amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in essi considerati. Giova ricordare che l’analogia è quel procedimento logico che consente di applicare a casi concreti non espressamente contemplati da alcuna norma specifica norme disciplinanti casi simili o materie analoghe, ovvero i principi generali dell’ordinamento: analogia legis, nel primo caso, analogia iuris nel secondo. Diversamente, si parla di interpretazione logica della norma, certamente ammissibile, quando la disposizione viene applicata non a casi posti al di fuori del suo ambito di operatività, ma l’interprete procede nell’applicazione secondo quello che è la ratio della disposizione estrapolabile anche oltre il mero significato letterale. Così nel caso posto all’attenzione del supremo Collegio quando il legislatore ha vietato le apparecchiature che segnalano la presenza e consentono di localizzare i rilevatori, non ha inteso che tali due caratteristiche concorrano, essendo sufficiente, secondo quella che è la ratio della norma ( impedire di eludere i controlli) che ne ricorra anche una sola. Per questo discende da una logica interpretazione dell’art. 45 comma 9-bis, come tale consentita, l’illiceità di apparecchiature che mediante la restituzione del segnale individuino la fonte dello stesso, localizzando le apparecchiature di rilevamento della velocità.    

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - Il Giudice di Pace di Trieste, con sentenza del 28 settembre 2001, rigettava l'opposizione proposta da P.G. avverso l'ordinanza-ingiunzione con la quale il Prefetto di Trieste gli aveva irrogato la sanzione amministrativa di lire 2.424.000 ed aveva disposto la confisca dello strumento "phazer" per la violazione dell'art. 45, comma 9-bis, del codice della strada. In particolare, per quanto qui ancora interessa, il Giudice di Pace osservava che il dispositivo, denominato "phazer", installato dall'opponente all'interno della propria autovettura sulla parte superiore del parabrezza, consentiva, secondo la documentazione proveniente dalla società produttrice, di captare il segnale inviato dai radar misuratori di velocità (come ad esempio l'autovelox) e di rifletterlo verso gli stessi; pertanto, tale strumento, in contrasto con quanto previsto dall'art. 45, comma 9-bis, del codice della strada (introdotto dall'art. 31 della l. n. 472/1999), consentiva di localizzare direttamente i dispositivi misuratori della velocità in dotazione agli organi di polizia, anche se non ne segnalava al conducente la presenza; inoltre, una interpretazione logica e non meramente letterale dell'art. 45 rendeva evidente il divieto dell'uso di qualsiasi dispositivo idoneo ad eludere il controllo delle violazioni dei limiti di velocità con i dispositivi di cui all'art. 142 del codice della strada.  Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione P.G., deducendo due motivi. Il Prefetto di Trieste non ha svolto attività difensiva.  MOTIVI DELLA DECISIONE  Con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione, assumendo che incongruamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che un ricevitore passivo potesse localizzare i dispositivi in dotazione della Polizia.  Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 1 della l. 24 novembre 1981, n. 689, lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto possibile, sulla base dell'identità di ratio, una interpretazione analogica del divieto di dispositivi di localizzazione.  I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati.  L'art. 45, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992 vieta «la produzione, la commercializzazione e l'uso di dispositivi che, direttamente o indirettamente, segnalano la presenza e consentono la localizzazione delle apposite apparecchiature di rilevamento di cui all'art. 142, comma 6, utilizzate dagli organi di polizia stradale per il controllo delle violazioni» dei limiti di velocità previsti dallo stesso art. 142. La ratio della disposizione è evidentemente quella di impedire che siano elusi i controlli effettuati con le apparecchiature di rilevamento della velocità e di impedire che in tal modo i veicoli possano procedere a velocità vietate. Rispetto a tale ratio è del tutto indifferente che il dispositivo consenta al conducente di superare i controlli adeguando momentaneamente la velocità ai limiti ovvero addirittura continuando a mantenere la velocità vietata. Alla luce di tale ratio, secondo una interpretazione che tenga conto della volontà del legislatore, deve essere intesa l'espressione «segnalano la presenza e consentono la localizzazione»; in particolare, non occorre che le due caratteristiche del dispositivo concorrano essendo, invece, sufficiente che ne ricorra soltanto una per giustificare il divieto. In questo senso, del resto, può leggersi la ricordata espressione; infatti, poiché la segnalazione della presenza presuppone necessariamente la localizzazione, la distinta previsione della possibilità di localizzazione sarebbe del tutto inutile e si spiega soltanto in quanto a tale possibilità sia dato autonomo rilievo; il che induce a ritenere che la congiunzione "e" debba essere intesa in senso disgiuntivo anziché cumulativo.  Devono, pertanto, ritenersi vietati, in virtù di una interpretazione logica della norma e non in virtù di una sua applicazione analogica, anche i dispositivi che, ancorché senza segnalarlo al conducente, localizzano le apparecchiature di rilevamento della velocità. Né, d'altro canto, occorre che la localizzazione si traduca in coordinate geografiche o in indicazioni topografiche, essendo sufficiente la semplice ed automatica restituzione del segnale, che, ovviamente, presuppone l'individuazione della fonte.  P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.  

 

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