- Giurisprudenza
- Assicurazioni e responsabilità civile
- Dott.ssa Maristella Giuliano
Risarcimento dei danni e quantificazione del lucro cessante
Corte di Cassazione, Sezione III civile
sentenza , n. 4952 del 2 marzo 2007
A norma dell’art. 6, secondo comma, Dpr 917/86 “le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita dì redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli ... perduti”. Pertanto le somme percepite a titolo di risarcimento costituiscono reddito imponibile soltanto se siano destinate a reintegrare il danno subito dalla mancata percezione di redditi. L’imposta IRPEF rappresenta quindi, una voce addizionale da calcolare nel complessivo importo per il risarcimento del danno patrimoniale futuro.
Svolgimento del processo Con citazione innanzi al tribunale di Forli notificata il 3 e 5 giugno Giorgio U. conveniva in giudizio Fabio P., Elisabetta R. e la compagnia di assicurazione P. spa (nelle rispettive qualità di conducente, proprietaria ed assicuratore r.c.a. dell’autovettura tipo Panda 30) per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti nel sinistro stradale verificatosi il 30 ottobre 1987. Esponeva che, mentre attraversava la strada, era stato investito dall’autovettura, che procedeva ad elevatissima velocità ed aveva riportato lesioni con postumi permanenti, in conseguenza dei quali era stato congedato, dall’Arma dei Carabinieri e privato, perciò, dei vantaggi che gli sarebbero derivati della permanenza in servizio per altri cinque anni. I convenuti si costituivano e, mentre Fabio P. e la società di assicurazione contrastavano la domanda (assumendo che l’attore aveva attraversato la strada senza servirsi delle strisce pedonali e senza accorgersi dell’autovettura che sopraggiungeva), Elisabetta R. negava di essere, al momento dell’incidente, la proprietaria del veicolo, che aveva alienato al P. dalla data dell’8 ottobre 1987, sicché nei suoi confronti l’attore rinunciava all’azione. Il tribunale, ritenuto che la colpa dell’attore aveva inciso sull’evento di danno in ragione del 20%, rigettava la domanda proposta nei confronti di Elisabetta R. e condannava Fabio P. e la società P. spa a risarcire a Giorgio U. il danno biologico, il danno alle cose e quello da minore guadagno, con la rivalutazione monetaria e gli interessi. Sull’impugnazione principale di Giorgio U. e su quella incidentale di Fabio P. e della società A. Assicurazioni spa (nella quale si era intanto trasformata la società P. spa) provvedeva la Corte d’appello di Bologna con la sentenza pubblicata il 5 giugno 2002, che, in riforma della decisione di primo grado, attribuiva la colpa concorrente del sinistro nella misura del 60% a Giorgio U., cui negava il risarcimento per danni alle cose e riduceva il capitale risarcitorio, condannandolo alla restituzione di quanto percepito in eccedenza per effetto dell’esecuzione della sentenza di primo grado. I giudici d’appello premettevano che al momento dell’incidente l’autovettura era divenuta di proprietà di Fabio P., onde rigettavano il gravame proposto nei confronti di Elisabetta R., a favore della quale condannavano l’appellante principale alle spese. Ritenevano, quanto alle modalità dell’incidente, che Giorgio U., attraversando la strada in un punto a ciò non destinato, aveva violato la disposizione del sesto comma dell’articolo 134 Cds, che gli imponeva di dare la precedenza ai veicoli; che detta violazione era stata compiuta di notte e con la pioggia; che il pedone aveva la possibilità di notare l’autovettura, che sopraggiungeva a velocità tale da essere avvistata; che l’autovettura teneva una velocità non superiore al limite consentito di 50 Kmh. Consideravano che in tale situazione le rispettive colpe erano da f issare nelle percentuali del 60% per Giorgio U. e del 40% per Fabio P.. Quanto all’entità dei danni, rilevava, anzitutto la Corte territoriale che in ordine alla liquidazione del danno biologico complessivo in lire 50.796.000 e del danno morale in lire 15.238.000 la statuizione di primo grado non era stata oggetto di gravame. In ordine alla entità del danno patrimoniale futuro, il giudice di secondo grado, sulle contrapposte doglianze delle parti, rilevava che Giorgio U. era stato congedato dall’Arma dei Carabinieri in conseguenza della sua inidoneità al servizio per effetto dei postumi derivatigli dal sinistro; che l’infortunato dopo il suo congedo non aveva intrapreso altra lucrosa attività; che la disposta consulenza tecnica (i cui conteggi dovevano prevalere su quelli della consulenza privata siccome più attendibili e coerenti) aveva preso in considerazione tutti gli elementi di fatti relativi al trattamento economico di cui il ricorrente avrebbe goduto se fosse rimasto in servizio sino alla scadenza del termine consentito onde erano infondate le critiche incrociate dell’appellante principale e di quelli incidentali. In particolare, sulla questione dello scomputo del carico tributario, la Corte territoriale (che pure riteneva fondato il gravame di Giorgio U., il quale aveva lamentato che la parte del risarcimento riflettente il minor lucro futuro soggiace all’imposta IRPEF e che anche il relativo importo avrebbe dovuto essergli riconosciuto a carico dei debitori solidali P. ed A. Assicurazioni spa, non essendo essi sostituti d’imposta tenuti a versarlo all’erario) riteneva che l’importo dell’imposta di poco più di 57 milioni di lire trovava “bilanciamento in quello, equitativamente determinabile in accoglimento dell’ultimo motivo dell’appello incidentale, del presumibile guadagno rapportabile alle conservate energie lavorative del cinquantaseienne U.”. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Giorgio U., il quale ha affidato l’accoglimento dell’impugnazione a quattro motivi. Ha resistito con controricorso la società A. Assicurazioni spa. Il ricorrente ha presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo d’impugnazione deducendo il vizio di motivazione sul punto decisivo della controversia relativo all’an debeatur - il ricorrente critica la impugnata sentenza relativamente all’attribuzione a suo carico della responsabilità dell’evento di danno in ragione della colpa concorrente nella misura del 60%, in particolare assumendo che il giudice di merito non avrebbe dovuto elevare a sospetto l’operato del verbalizzante, che aveva redatto il rapporto sul sinistro; attribuire decisiva rilevanza all’attraversamento della strada in un punto a ciò non destinato; minimizzare la responsabilità del P.; ritenere che esso ricorrente aveva attraversato di corsa la strada e che la velocità dell’autovettura non fosse stata elevata; giudicare imprevedibile di notte in quel punto un attraversamento pedonale della strada. Il motivo non può essere accolto. Costituisce principio del tutto pacifico nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo: Cassazione 15434/04; Cassazione 5375/03; Cassazione 15809/02; Cassazione 8070/02) che, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico - giuridico. Occorre, inoltre, considerare che il vizio di motivazione - sotto il profilo della omissione, insufficienza o contraddittorietà - può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle arti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Nella specie, trattasi di ipotesi paradigmatica di motivo d’impugnazione tendente ad ottenere, in questa sede, l’inammissibile riesame del materiale probatorio al fine di farne derivare una valutazione delle modalità del sinistro e del grado di colpa dei protagonisti diversa da quella, non incongrua né illogica, compiuta dal giudice del merito. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado aveva omesso di disporre una nuova consulenza tecnica nonostante la critica serrata e documentata che la consulenza privata aveva rivolta a quella disposta d’ufficio. Anche detta censura non può essere accolta. Sul punto il giudice d’appello ha considerato che i rilievi di parte sull’esattezza dei conteggi non erano sufficienti a determinare dubbi sulla correttezza dell’operato del c.t.u. e tanto basta a giustificare la reiezione dell’istanza di rinnovazione dell’accertamento, senza la necessità, peraltro, di aggiungere che è indiscusso il principio per il quale la consulenza tecnica è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nei suoi poteri discrezionali la valutazione dì disporre la nomina del consulente tecnico d’ufficio ovvero indagini tecniche suppletive o integrative dì quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio ovvero di rinnovare le indagini peritali, tanto che la motivazione di diniego delle istanze sollecitatorie delle parti al riguardo può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dall’apprezzamento del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal giudice del merito. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado non avrebbe dovuto detrarre dall’importo del risarcimento riconosciutogli a titolo di lucro cessante a carico dei debitori solidali l’importo per l’imposta IRPEF, cui esso istante era direttamente obbligato. Aggiunge che la motivazione di diniego assunta dalla Corte territoriale sarebbe incongrua (in quanto riferita a pretesa compensazione mai eccepita e, comunque, non ammissibile) e contraddittoria (in quanto suppone presumibili guadagni rapportabili alle conservate energie lavorative dell’infortunato, circostanza esclusa laddove lo stesso giudice di secondo grado, in altra parte della sentenza, aveva affermato che l’infortunato dopo il suo congedo non aveva intrapreso altra lucrosa attività. La censura è fondata. In virtù della disposizione di cui all’articolo 6, secondo comma, Dpr 917/86 (nella parte in cui dispone che “le indennità conseguite ... a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita dì redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli ... perduti”) le somme percepite, anche in via transattiva, dal contribuente a titolo di risarcimento costituiscono reddito imponibile solo se (e nei limiti in cui) siano destinate a reintegrare il danno subito dalla mancata percezione di redditi. Della disposizione in questione la Corte territoriale indubbiamente ha tenuto conto, laddove ha considerato fondato il gravame di Giorgio U., il quale aveva lamentato che la parte del risarcimento riflettente il minor lucro futuro soggiace all’imposta IRPEF e che anche il relativo importo doveva essere posto a carico dei debitori solidali P. ed A. Assicurazioni spa, non essendo essi sostituti d’imposta tenuti a versarlo all’erario a titolo di ritenuta d’acconto al posto del percepiente. Detta statuizione, del resto, era coerente con la confermata decisione di primo grado (cfr. pag. 24 della sentenza di secondo grado), che aveva liquidato il danno patrimoniale futuro “al netto del presumibile carico tributario”. Orbene, una volta ritenuto che nel complessivo importo per il risarcimento del danno patrimoniale futuro doveva essere compreso anche quanto dovuto all’erario per tributi direttamente da parte del danneggiato, la relativa quota non poteva essere compensata con somme a diverso titolo dovute dagli obbligati in solido, perché costoro non avevano dedotto la compensazione. Se poi la motivazione del giudice di secondo grado fosse da intendere nel senso che il credito del danneggiato per l’importo dell’imposta sia stato compensato, ai sensi dell’articolo 1243, secondo comma, Cc, con quanto allo stesso riconosciuto in meno per effetto dell’accertato suo maggior grado di colpa, è circostanza questa che il giudice di rinvio dovrà chiarire e della quale dovrà tener conto nella determinazione del diverso complessivo capitale risarcitorio, determinazione indispensabile perché costituente la base per il caIcolo degli incrementi già riconosciuti in primo grado. Con il quarto motivo d’impugnazione il ricorrente critica l’impugnata sentenza per quel che concerne l’adottato sistema per il calcolo della svalutazione e degli interessi legali e, sostanzialmente ripetendo la censura già devoluta con l’appello, sostiene che il giudice di primo grado, rivalutando le somme liquidate a suo favore soltanto nella misura del 2%, oltre agli interessi legali, avrebbe utilizzato un criterio in contrasto con il principio fissato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 1712/95, secondo la quale svalutazione ed interessi vanno calcolati anno per anno. La censura non è fondata. Anzitutto non è esatto che il criterio di calcolo della svalutazione sia contrario al principio di diritto enunciato nella predetta statuizione di questa Corte, la quale non esclude che il giudice possa stabilire che il credito da risarcimento danni sia rivalutato con il criterio presuntivo ed equitativo di un indice medio per ciascun anno a decorrere dalla data dell’illecito, piuttosto che con riferimento a ciascun anno secondo il relativo indice del momento considerato. In ogni caso (ed il rilievo costituisce la ratio decidendi prevalente del rigetto del motivo d’impugnazione), avendo il giudice di secondo grado considerata la censura svolta in appello ininfluente, perché il sistema di liquidazione della rivalutazione e degli interessi adottato dal tribunale avvantaggia l’interessato in percentuale assai superiore rispetto al diverso calcolo proposto col gravame in appello, occorre rilevare che siffatta argomentazione non risulta sostanzialmente contestata in questa sede con idonea censura, la quale, piuttosto che denunciare genericamente errori e gravi contraddizioni, avrebbe dovuto svolgere il relativo calcolo e dimostrarne cosi il più utile risultato. Pertanto - rigettati il primo, il secondo ed il quarto mezzo di doglianza - in accoglimento del terzo motivo del ricorso la sentenza in parte qua deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Bologna, cui è rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio, attenendosi al principio per il quale “le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, sono assoggettati ad imposta, per il cui pagamento l’obbligato al risarcimento non è sostituto d’imposta del soggetto danneggiato, onde il relativo importo, se riconosciuto dovuto, deve essere corrisposto allo stesso soggetto danneggiato”, per il resto procederà, in adeguata motivazione, a stabilire la misura della complessiva somma capitale dovuta al ricorrente. PQM La corte rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso; accoglie il terzo motivo del ricorso; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna