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Sentenza n. 1197/09
Corte Suprema di Cassazione - II sezione civile
Corte Suprema di Cassazione - II sezione civile - Sentenza n. 1197/09 sul ricorso … proposto da: Comune di …, in persona del Sindaco pro-tempore Sig. … elettivamente domiciliato in Roma … rappresentato e difeso dagli Avvocati Piccioni Fabio e Passagnoli Marco giusta procura speciale in calce al ricorso; - ricorrente - contro … - intimato - avverso la sentenza n. … del GIUDICE DI PACE di …, del 22/12/2005 depositata il 20/1/2006; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/11/2008 dal Consigliere e relatore …; lette le conclusioni scritte dal Sostituto procuratore Generale … che ha concluso visto l’art. 375 c.p.c. per l’accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza, con le conseguenze di legge. FATTO E DIRITTO Il Comune di … impugna la sentenza n. … del Giudice di Pace di …, che aveva accolto l’opposizione proposta dall’odierno intimato, …, avverso il verbale di accertamento della Polizia Municipale di … n. … protocollo … per la violazione degli articoli 146, terzo comma e 41, undicesimo comma, Codice della Strada in quanto in data 24 giugno 2005 il suo veicolo “proseguiva la marcia nonostante il semaforo proiettasse luce rossa nella sua direzione di marcia”. La violazione non veniva immediatamente contestata in quanto il rilievo veniva effettuato con l’apparecchiatura Eltraff, omologata in data 18 marzo 2004 e gestita dagli organi della Polizia che consentiva di determinare l’illecito successivamente. L’opponente deduceva di aver dovuto rallentare la marcia per ragioni di traffico e di essere, quindi, passato quando la luce del semaforo era diventata color “arancio”. Il Giudice di Pace di … accoglieva l’opposizione, ritenendo illegittima l’installazione dell’apparecchiatura e comunque non conforme, anche tecnicamente, alle prescrizioni di legge. L’amministrazione ricorrente articola quattro motivi di ricorso, dei quali il secondo lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 204-bis del Codice della Strada, 22 e 23 legge 689 del 1981 e 112 c.p.c., in quanto il Giudice di Pace poneva a base dell’accoglimento dell’opposizione motivi diversi da quelli denunciati all’opponente.. L’intimato non ha svolto attività in questa sede. Attivatasi procedura ex art. 375 CPC, il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di accoglimento del ricorso. La richiesta può essere accolta in quanto il secondo assorbente motivo di ricorso è manifestamente fondato poiché l’opposizione è stata accolta per ragioni che non erano state dedotte dall’opponente. Infatti, occorre osservare che il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa disciplinato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, è strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della “causa petendi”, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione (vedi tra le tante Cass. 2007 n. 1173). Pertanto, alla stregua di tali caratteristiche, la questione relativa all’idoneità tecnica dell’apparecchiatura utilizzata per l’accertamento della violazione, in quanto non prospettata dall’opponente, non poteva essere dal Giudice di Pace sollevata d’ufficio e posta a fondamento della sua decisione. Il ricorso va accolto, il provvedimento impugnato cassato, e, residuando altri profili dell’opposizione non esaminati, la causa va rimessa ad altro magistrato dello stesso ufficio, che deciderà anche sulle spese. PQM LA CORTE accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altro Giudice di Pace di …, che deciderà anche sulle spese. Così deciso in Roma, Camera di Consiglio del 10 novembre 2008. IL RICORSO IN OPPOSIZIONE AVVERSO UN VERBALE DI VIOLAZIONE DEL CODICE DELLA STRADA NON PUÒ ESSERE ACCOLTO PER RAGIONI CHE NON SIANO STATE DEDOTTE DALL’OPPONENTE La sentenza che si annota risulta di massimo rilievo perché ribadisce una regola troppo spesso disattesa dai Giudici di Pace. Lo scrutinio di legittimità attiene al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Il fatto. La Polizia Municipale notificava al legale rappresentante di una società in nome collettivo un verbale di accertamento per violazione degli artt. 146 c. 3 e 41 c. 11 C.d.S. in quanto, in data 24/6/05, il conducente dell’autovettura di proprietà della società, giunto ad un’intersezione «proseguiva la marcia nonostante il semaforo proiettasse luce rossa nella sua direzione di marcia». La violazione non era stata immediatamente contestata, ai sensi dell’art. 201 c. 1-bis lett. e) c. 1-ter C.d.S., in quanto il rilievo era avvenuto con apparecchiatura Eltraff, omologata in data 18/03/04, gestita dagli organi di Polizia, che consente la determinazione dell’illecito successivamente. Avverso il predetto verbale, in data 7/10/05, il legale rappresentante della società, in proprio, proponeva ricorso in opposizione davanti al Giudice di Pace, deducendo: 1) di aver dovuto rallentare “perché l’auto che mi precedeva doveva voltare a destra e si è dovuta fermare per far passare un pedone” e 2) che “quando io ho proceduto, il semaforo era nel frattempo diventato arancio”. Il Giudice di Pace, sospeso l’intero provvedimento impugnato, fissava l’udienza di comparizione. Il Comune, in ottemperanza dell’ordinanza, provvedeva a depositare in cancelleria, gli atti relativi alla opposizione in oggetto con tutta la documentazione fornita dalla Polizia Municipale. Il Giudice di Pace ha ritenuto il ricorso fondato e meritevole di accoglimento, procedendo ad annullare il provvedimento impugnato. Il Comune proponeva, quindi, ricorso alla Suprema Corte di Cassazione avverso la decisione resa dal Giudice di Pace deducendone la erroneità per una serie di motivi. Il ricorso in Cassazione. Il Comune eccepiva, innanzitutto, la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 75 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.). Infatti, la legittimazione attiva all’impugnazione spetta al trasgressore se individuato o, in caso di contestazione differita, all’obbligato in solido ex art. 196 C.d.S. La capacità processuale segue le regole ordinarie dell’art. 75 c.p.c.: può proporre opposizione chi ha il “libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere. Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto”. Nel caso di specie, poiché il verbale era stato notificato ad una società in nome collettivo, l’unico soggetto legittimato alla proposizione del ricorso risultava il legale rappresentante della società. Dalla mera lettura dell’atto di opposizione si evinceva, invece, che il ricorso era stato proposto dal Sig. …, in proprio e senza alcun riferimento o spendita del nome della … S.n.c., né, tantomeno, indicazione processuale di agire nella qualità di socio. In tali condizioni, il giudice di prime cure aveva l’obbligo di accertare la legittimazione processuale e verificare se, dal contesto dell’atto, si potesse evincere che il ricorrente aveva agito in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza del giudizio (cfr. Cass. Civ., sez. III, 13/5/2002, n. 8442). La circostanza dedotta avrebbe, quindi, dovuto condurre il giudicante, fin dal primo esame del ricorso, a dichiarare l’inammissibilità in via preliminare dell’opposizione, senza nemmeno procedere alla fissazione dell’udienza. La stessa, infatti, come detto, risultava proposta dalla persona fisica in proprio e non quale legale rappresentante della società in nome collettivo, la quale, pur sprovvista di personalità giuridica, costituisce comunque un autonomo soggetto di diritto e centro di interessi distinto da quello riferibile a ciascun socio e dotato di propria capacità processuale (cfr. Cass. Civ., sez. II, 22/5/2003, n. 8079; Cass. Civ., sez. III, 18/7/2002, n. 10427). Tale inammissibilità, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, configurava una ipotesi in cui la causa non poteva essere proposta e il processo proseguito (cfr. Cass. Civ., 13/7/2002, n. 10208). Il difetto di legittimazione ad agire, quale error in procedendo, aveva viziato quindi il procedimento e la relativa sentenza. Con il secondo motivo di impugnazione, la difesa del Comune contestava la violazione e falsa applicazione degli artt. 204-bis C.d.S., 22 e 23 L. 689/81 e 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.). Il ricorso diretto al Giudice di Pace è disciplinato dall’art. 204-bis C.d.S. che opera a sua volta una sorta di rinvio materiale - per quanto non diversamente disposto - alle modalità e al procedimento disciplinati dagli artt. 22 e 23 L. 689/81, quali norme cornice del sistema sanzionatorio amministrativo, che danno luogo a un fenomeno di integrazione automatica della disciplina. Il giudizio di opposizione così instaurato, costituisce un ibrido: ha ad oggetto un atto amministrativo, si fonda su principi di diritto penale, ma segue le regole del processo civile. Riprova ne sia anche la circostanza che, a seguito delle più recenti modifiche normative, l’art. 23 L. 689/81 richiama espressamente l’art. 163-bis c.p.c. Nel giudizio di opposizione la cognizione del Giudice si estende a tutti gli aspetti connessi alla causa petendi, residuando allo stesso il potere di rilevare d’ufficio soltanto l’eventuale inesistenza del provvedimento. I pur vasti poteri del giudicante risultano tassativamente delimitati dal limite invalicabile - pena ultrapetizione - di attinenza alle doglianze contenute nell’atto di opposizione. La Suprema Corte, in materia, ha enunciato alcuni principi fondamentali: il giudice non ha “il potere di rilevare vizi diversi da quelli evidenziati dall’opponente nell’atto introduttivo del giudizio” (Cass., sez. I, 84/41998, n. 3664 e Cass., sez. I, 4/12/96, n. 10815); così, in assenza di espressa doglianza dedotta in ricorso dall’opponente, non può rilevare d’ufficio ragioni di nullità del provvedimento (Cass., sez. III, 12/8/2000, n. 10796); non può rilevare d’ufficio carenza di prova della pretesa sanzionatoria (Cass., sez. I, 12/6/2001, n. 7876). In conclusione, è precluso al giudice fondare la decisione su motivi diversi da quelli dedotti nel ricorso, sulla base di una propria attività di accertamento. Nel caso di specie, osservava il patrocinio del Comune, il Giudice di Pace che, a fronte di uno scarno ricorso (di sole 8 righe), si era dilungato in un trattato 1) Sulla legittimità dell’installazione … 2) Omologazione dell’apparecchiatura FTR e poi ancora 1) Sulla conformità del modello installato a quello autorizzato … 2) Le singole condizioni poste dal ministero … 2a) l’apparecchiatura … è facilmente manomettibile … 2b) la lanterna fotografica … 2c) il ripetitore laterale …, sebbene tutto ciò non costituisse oggetto di contestazione, aveva violato l’art. 112 c.p.c. pronunciandosi oltre i limiti delle pretese fatte valere dal ricorrente. Inoltre, nonostante l’opponente non avesse specificamente richiesto la sospensione dell’esecutività del verbale, il Giudice aveva ritenuto di concederla. Il relativo provvedimento, invece, avrebbe dovuto essere adottato con ordinanza motivata, in base alla regola generale tipicamente connaturata a questa forma di atto del giudice, dando atto dell’esistenza tanto del fums boni iuris, quanto del periculum in mora. Il Comune chiedeva, quindi, che gli errori di diritto compiuti dal giudice di merito venissero cassati dal giudice di legittimità allo scopo di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge” e di garantire “l’unità del diritto oggettivo nazionale”. Tali errores in iudicando risultavano, infatti, causam dans dando luogo ad una decisione erronea ed ingiusta. L’Amministrazione ricorrente lamentava, poi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 cod. civ., e 115 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.). In corrispondenza del sistema dettato dal combinato disposto degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., ogni parte deve provare l’assunto dal quale intende far discendere conseguenze giuridiche a sé favorevoli; tale onere presuppone la contestazione di quanto dedotto da controparte, con la conseguenza che ciò che viene ammesso, ovvero non contestato, non dovrà essere ulteriormente provato. Ora, la dissertazione del giudice di prime cure era tesa a dimostrare la mancanza di corrispondenza fra il decreto di omologazione dell’apparecchio e la sua installazione non in conformità a quanto autorizzato con cogenti condizioni, del Ministero delle Infrastrutture e dei Lavori Pubblici. L’inconsistenza di tale conclusione - che, ribadiva il Comune, sostanzia il vizio di ultrapetizione - era da rinvenirsi nella lettura delle apodittiche motivazioni di supporto adottate in assenza della qualsivoglia prova. La faticosa sintassi lessico-grammaticale utilizzata - dalla documentazione prodotta dall’opposto in centinaia di altri procedimenti similari, che in questa sede si acquisiscono …, ma chi la documentazione o i procedimenti? - e il disorganico ragionamento del Giudice di prime cure rendevano, infatti, una questione semplice: semaforo rosso = arresto del veicolo, eccezionalmente complessa. Il Giudice di prime cure, sul presupposto che la normativa di riferimento sarebbe costituita dal decreto dirigenziale n. 1129 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti oltre che dal voto n. 21/04 della V Sezione del Consiglio Superiore Lavori Pubblici, aveva ritenuto che le condizioni di installazione dell’apparecchiatura erano state disattese in punti fondamentali (!) tali da rendere illegittimo il provvedimento sanzionatorio. Il Comune procedeva, quindi, a smentire le singole censure operate dal giudicante. Dalla disapprovazione dell’inconferente, quanto errato, richiamo all’art. 3 L. 689/81, concernente l’elemento soggettivo nelle violazioni - l’errore che scusa è quello che si concreta nella falsa conoscenza della realtà e che ricade su uno degli elementi essenziali richiesti per l’esistenza dell’illecito e non certo sulle condizioni ministeriali previste per accertare l’illecito, quand’anche ritenute assenti; alla contestazione della deduzione a tenore della quale l’apparecchiatura … è “facilmente manomettibile” … e oscurabile, in quanto priva di fondamento logico, prima ancora che giuridico. Posto che un danneggiamento volontario è sempre possibile, osservava il Comune, le prescrizioni contenute nel decreto di conferma della omologazione, rivolte al produttore, sono da riferirsi agli atti non intenzionali e richiamano l’attenzione sulla circostanza che la struttura portante debba avere una solidità e un sistema di chiusura e protezione tali da non consentire interventi, senza l’ausilio di particolari attrezzature; analogamente, la facile oscurabilità è da riferirsi ad un atto non intenzionale (del medesimo tenore il parere ministeriale del 28/6/04). Veniva anche evidenziato come il giudicante si fosse lasciato andare a tutta una serie di valutazioni che, integrando quella che in dottrina si definisce “prova atipica”, risultavano inammissibili: le fotografie … spesso … vengono scattate… ; … vari ricorrenti sostengono …; si trattava, infatti, di valutazioni non riferibili al ricorso in esame. Infine, il Comune evidenziava che, se la riforma globale del codice della strada si era posta l’obiettivo di fornire alle forze di polizia strumenti efficaci per contrastare il fenomeno dell’infortunistica stradale e consentire che le moderne tecnologie di controllo del traffico possano essere finalizzate alla prevenzione e alla repressione delle violazioni più gravi, ciò avrebbe dovuto valere innanzitutto sulle strade in cui maggiormente avvengono gli incidenti con esiti mortali, e cioè, come noto, le strade urbane. Per questo, l’accertamento in esame era stato effettuato ad un semaforo che, a seguito di specifica valutazione preventiva concernente il tasso di incidentalità, le condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico delle singole arterie stradali, risultava nevralgico per la viabilità del centro abitato cittadino. Ad ogni buon conto, in consonanza con la migliore giurisprudenza della Suprema Corte, l’onere di provare l’eventuale mancanza di funzionamento dell’apparecchiatura incombeva sull’opponente che avrebbe dovuto fornire una precisa prova in merito. In conclusione, osservava il Comune, non basta sic et simpliciter la mera, quanto apodittica, dichiarazione del giudice di prime cure relativa alla mancanza di corrispondenza dell’apparecchiatura al decreto di omologazione, il quale avrebbe, invece, dovuto darne positiva e rigorosa prova. Dal quadro proposto, emergevano dunque chiari indici rivelatori di non condivisibilità dell’assunto del Giudice di Pace. In ultima analisi, il ricorrente contestava l’omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) Infatti, il giudicante di merito non aveva compiuto alcun accenno circa la sussistenza delle censure difensive addotte a motivo del ricorso, pur costituendo queste un elemento di fatto decisivo della controversia; di talché la sentenza, in quanto ingiusta, avrebbe dovuto essere annullata. In consonanza con la migliore giurisprudenza della Suprema Corte, l’onere di provare la contingenza di cui al comma 10 dell’art. 41 incombe sull’opponente (cfr. in merito, Cass. Civ., sez. III, 14/2/97, n. 1384). In sostanza, l’impossibilità di arrestarsi in condizioni di sicurezza avrebbe richiesto, da parte del ricorrente, una precisa prova in merito. Non basta la mera dichiarazione in tal senso da parte dell’interessato (tale è il tenore del ricorso in opposizione), il quale avrebbe, invece, dovuto darne positiva e rigorosa prova a seguito della quale il giudicante, a sua volta, avrebbe dovuto compiere una approfondita e oggettiva verifica in tal senso. Analogamente, dal contesto fotografico, non era dato evincere la presenza di alcuna “auto” precedente il veicolo contravvenzionato, o che stesse effettuando la manovra di svolta a destra. Detto in altri termini, concludeva il Comune, il primo giudice aveva errato di nuovo, nel ritenere che il ricorso merita accoglimento, perché inconferente e privo di pregio giuridico, stante l’assenza di prova in tal senso. Diversamente, opinando come il giudice di prime cure, si arriverebbe all'assurdo di poter accettare sempre la diversa ricostruzione della violazione proposta dall’interessato, a sua semplice richiesta. L'abnormità di questi risultati, è già sufficiente ad inficiare le conclusioni del giudice di pace che finiscono con lo scadere in mero possibilismo giuridico. Il giudice di pace aveva ritenuto fondato il ricorso omettendo di evidenziarne il contenuto e senza spiegare le ragioni della sua decisività. Infatti, non è dato verificare se le ragioni poste a base della decisione e dell’iter logico adottato in relazione ai motivi di impugnazione, siano effettivamente sufficienti a sostenerla, stante il dovere del giudice di merito, non solo di spiegare le basi della propria decisione, ma anche di risolvere la questione di fatto secondo canoni metodologici espressi dall’ordinamento giuridico o da esso ricavabili, in modo tale da consentire l’apprezzamento della base di legittimità del suo convincimento. In sostanza, la motivazione non aveva analizzato le questioni di fatto proposte, in tal modo non rendendo possibile la verifica o il riscontro del processo logico seguito, né la comprensione della ratio decidendi. Per inciso, il corredo sanzionatorio derivante dal combinato disposto degli artt. 146 c. 3 e 41 c. 10 (passaggio con luce gialla), risulta identico a quello previsto per la violazione degli artt. 41 c. 11 e 146 c. 3 (passaggio in presenza di luce rossa). In sede di conclusioni, il ricorrente chiedeva che la Suprema Corte di Cassazione, accolto il ricorso per le denunciate violazioni di legge, volesse, per l’effetto, procedere a: in tesi, ritenuta la carenza di legittimazione attiva del ricorrente, cassare la sentenza impugnata ex art. 382 c.p.c.; in ipotesi, ritenuto che non erano necessari ulteriori accertamenti di fatto, cassare la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito della causa, respingere il ricorso in opposizione; in ulteriore ipotesi, annullare la decisione impugnata con ogni consequenziale provvedimento di legge. La sentenza. La Suprema Corte, investita dell’impugnazione avverso l’errata sentenza del giudice di primo grado - si ricorda che all’epoca, vigente l’ultimo comma dell’art. 23 L. 689/81, contro la sentenza decisiva del giudizio di opposizione, era consentito solo il ricorso per Cassazione[1] - ha ritenuto la manifesta fondatezza del secondo motivo di ricorso proposto dalla difesa dell’amministrazione comunale. Dello stesso avviso anche il Procuratore Generale, il quale aveva inviato requisitoria nella quale concludeva con richiesta di accoglimento del ricorso. La Corte - ribadito che il giudizio di opposizione risulta strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della “causa petendi”, che resta individuata sulla base dei motivi di opposizione - ha ritenuto che, poiché la questione relativa all’idoneità tecnica dell’apparecchiatura non era stata prospettata dall’opponente, il Giudice di Pace non poteva sollevarla e, ancor meno, porla a fondamento della sua decisione. Così, cassata la sentenza impugnata, ha rinviato la causa ad altro giudice dello stesso ufficio del Giudice di Pace, per l’esame degli altri profili dell’opposizione in concreto non esaminati, il quale dovrà decidere anche sulle spese. Avv. Fabio Piccioni del Foro di Firenze [1] L’art. 26 c. 1 lett. b) D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, pubblicato sul supplemento n. 40 alla G.U. n. 38 del 15/2/2006, nell’abrogare il comma citato, ha poi consentito l’impugnazione della sentenza con appello davanti al Tribunale in composizione monocratica. Per un approfondimento in merito, si rinvia a F. Piccioni, Le recenti modifiche al codice della strada, edizioni Experta, 2006 e a F. Piccioni - M. Tomba, Circolazione stradale. Procedure risarcitorie, tutela penale, sanzioni amministrative, Il Sole 24 Ore, 2008, recante un formulario in materia.
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