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  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Sinistro stradale: causalità rilevante

Corte di Cassazione IV sez. penale
21 giugno 2006 n. 21476

Violazione norme codice della strada – artt. 140 e 141 cod. strad. – gare di velocità – condotte pericolose per la sicurezza stradale – art. 40 c.p. – causalità penale – sussistenza

 

Sussiste il nesso di causalità ex art. 40 c.p. tra la condotta di chi, eccedendo notevolmente i limiti di velocità, effettui una gara automobilistica in pubblica via e la morte di altro automobilista coinvolto nello scontro tra veicoli. Si ha causalità penalmente rilevante quando una condotta si ponga come condizione senza la quale un evento non si sarebbe verificato, secondo un giudizio di ragionevole probabilità. Pertanto, non è inverosimile, che “improvvisare una gara di velocità, in ora notturna e su strada trafficata”, possa determinare l’evento mortale di chi si trovi coinvolto nell’impatto.    

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. – Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Perugia confermava la condanna, pronunciata dal giudice di primo grado, di A. M. e T. F. per avere, in colposa cooperazione tra loro e A. G., cagionato la morte di M. G.. La Corte di merito così ricostruiva i fatti. M., alla guida di una BMW (con a bordo R. V. N. e R. B.), F., alla guida di una Opel Calibra (con a bordo M. N.) e G., alla guida di una Lancia delta HF Integrale (con a bordo M. T. e M. C.), procedendo ad elevata velocità sulla provinciale che da Montefalco va a Foligno, gareggiavano tra loro, sorpassandosi, tra l’altro, la Ford Fiesta condotta da G. P. e l’Alfa Romeo 75 guidata da O. D. V.. M. G., invece, alla guida di una Fiat Punto, percorreva la stessa strada provinciale in direzione opposta. In prossimità di un incrocio, G. che, pur essendo partito per ultimo, si era venuto a trovare in testa alla «gara», affrontava una curva ad una velocità superiore ai 140 chilometri orari, invadeva l’opposta corsia di marcia e si scontrava frontalmente con la Fiat Punto del G., che nell’incidente riportava lesioni a seguito delle quali decedeva. La Corte di merito confermava la condanna degli imputati anche per le violazioni amministrative di cui agli articoli 140 e 141 del D. L.vo 30 aprile 1992, n. 285; in particolare, perché gareggiavano in velocità, non moderavano la velocità in ora notturna e in tratto di strada fiancheggiato da edifici, non adeguavano la velocità alle condizioni della strada e del traffico e, in ogni caso, non si comportavano in modo da salvaguardare la sicurezza stradale e da evitare pericoli per la sicurezza di persone e cose. 1.1. – La sentenza di primo grado era sostanzialmente fondata sulle dichiarazioni dei testimoni P. e D. V. P. aveva riferito di aver notato che le tre vetture provenienti alle sue spalle avevano percorso la discesa a velocità sostenuta. Si erano, poi, per un breve tratto, incolonnate dietro di lui; pur tentandovi più volte, non erano riuscite a superarlo a causa dei veicoli che provenivano dalla direzione opposta. Ad un certo punto, comunque, lo avevano superato a forte velocità tanto da sottrarsi alla sua vista dopo qualche centinaio di metri. D. V. aveva, a sua volta, riferito che le tre vetture procedevano a forte velocità e l’avevano sorpassato; prima la BMW del M., poi la Lancia del G., quindi la Opel del F. Poiché P. aveva riferito che la prima autovettura che l’aveva sorpassato era la BMW, la seconda era la Opel, e la terza era la Lancia, il tribunale aveva rilevato che nel successivo tratto di strada la Lancia del G. aveva sorpassato la Opel del F. D. V. aveva, inoltre, dichiarato di avere notato che le autovetture continuavano a sorpassarsi tra loro e di avere che la Lancia del G. aveva superato anche BMW del M., passando in testa al correo; a sua volta, la Opel del F. si era posta in seconda posizione, superando la BMW del B., che era rimasta leggermente distanziata. Il tribunale aveva reputato attendibili le dichiarazione del P. e del D. V., inattendibili quelle delle persone trasportante sulle autovetture e ritenuto che i veicoli, nel tratto precedente il punto di impatto, avevano proceduto a velocità elevatissima, certamente superiore a quella dichiarata dagli imputati e dai loro amici trasportati. Secondo il primo giudice, M., F. e G., con risoluzione estemporanea, avevano dato vita ad una gara di velocità, così determinando, ciascuno per trascinamento reciproco e per adesione all’imprudente condotta di guida dell’altro, la condotta del G. «che aveva cagionato l’impatto». In particolare, F. e M. avevano contribuito a far sì che la Lancia del G. raggiungesse l’elevata velocità tenuta al momento dell’incidente. 1.2. – La Corte distrettuale conferma il giudizio di attendibilità delle testimonianze di P. e D. V., confutando analiticamente le argomentazioni sul punto dell’appellante. Con riferimento al testimone D. V., la C. chiariva che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non erano state poste a fondamento della decisione le dichiarazione rese da D. V. nella fase delle indagini preliminari ed utilizzate ai fini delle contestazioni dibattimentali ma le dichiarazioni dal medesimo rese in dibattimento, dal momento che non vi era alcuna contrasto tra le dichiarazione, o meglio un iniziale contrasto era stato immediatamente rimosso. Erano, pertanto, pienamente condivisibili le affermazioni del primo giudice in ordine alla velocità tenuta dagli imputati, ai sorpassi compiuti ed al fatto che avessero gareggiato tra loro in velocità. Sussisteva il rapporto di causalità tra le condotte degli imputati e l’evento: gareggiando in velocità, seppure a seguito di decisione estemporanea, senza cioè un preventivo accordo, si erano indotti l’uno con l’altro a raggiungere una velocità eccessiva, inadeguata alle condizioni della strada, superiore ai limiti previsti. 2. – Ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati (integrato da successiva memoria illustrativa). 2.1. – Con il primo deduce l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, segnatamente dell’articolo 500, commi 1 e 2, c.p.p. La Corte di merito avrebbe utilizzato ai fini della decisione le dichiarazione rese dal D. V. alla polizia municipale nella fase delle indagini preliminari ed utilizzate per le contestazioni, in tal modo violando le disposizioni anzidette, alla cui stregua le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero che siano lette per le contestazioni nell’esame dibattimentale possono essere valutate soltanto ai fini della credibilità del teste e non ai fini della prova. La violazione avrebbe – secondo il ricorrente – un rilievo fondamentale in quanto, nel corso dell’esame dibattimentale, a differenza di quanto avvenuto nella fase delle indagini preliminari, D. V. aveva riferito solo di sorpassi effettuati dal G. e non anche di sorpassi degli (o tra gli) imputati, in relazione ai quali si era limitato a confermare quanto dichiarato alla polizia, dopo avere, peraltro, premesso di non ricordare la circostanza. 2.2. – Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della sentenza impugnata, dapprima riproponendo la questione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del testimone D. V., quindi contestando il giudizio di attendibilità espresso dalla Corte di merito in relazione alle dichiarazioni rese dal D. V. e dal P.. In particolare, la deposizione del P. sarebbe inattendibile nella parte in cui aveva affermato che le tre autovetture, raggiuntolo, avevano dovuto accordarsi alla sua perché vi era traffico nell’opposta corsia di marcia; lo aveva smentito il testimone P., affermando di essersi, a seguito dell’incidente, attivato per fermare la marcia dei veicoli che stavano percorrendo la stessa corsia di marcia delle tre autovetture, non quella opposta. 2.3. – Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’erronea applicazione degli articoli 40 e 113 c.p.. Non sussisterebbero, in particolare, elementi sufficienti per affermare che l’evento sia stato determinato dalle condotte colpose degli imputati, anziché dalla grave ed esclusiva colpa del G.. Quand’anche si fosse accertato che il corteo delle tre autovetture procedeva, quando ancora si trovava a circa due chilometri di distanza dal punto d’urto, a velocità elevatissime e con sorpassi «interni», da ciò non potrebbe farsi derivare l’affermazione di responsabilità degli imputati. Non sarebbe provato, in particolare, il legame psicologico fra le condotte dei concorrenti; in altre parole, che ognuno di loro fosse consapevole della convergenza tra il proprio intendimento e quello degli altri.  motivi della decisone. 3. – Il primo motivo e la prima parte del secondo motivo del ricorso sono inammissibili perché manifestamente infondati, nonché aspecifici. I motivi ripropongono, invero, le stese ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del motivo deve, infatti, essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazione del giudice censurato. Nella specie, la Corte di merito aveva, invero, chiarito che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non vi erano state dichiarazione «difformi» del D. V., che aveva subito affermato che rispondevano a verità le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti, sicché non si erano realizzate le condizioni prospettate dalla difesa. 4. – La seconda parte del secondo motivo del ricorso è inammissibile perché propone questioni di fatto, suggerendo spunti, tra l’altro generici, dai quali si dovrebbe trarre argomenti idonei a ritenere che le dichiarazioni del testimone P. sarebbero inattendibili. Si è visto, per contro, che le dichiarazioni del P: e di D. V., oltre che chiare e precise, si integrano perfettamente, consentendo, la logica ricostruzione dei fatti proposta dai giudici di merito. 5. – Il terzo motivo del ricorso è infondato. La necessità o meno, affinché vi sia cooperazione colposa (intesa quale concorso colposo nel delitto), di un coefficiente psicologico che «leghi» le singole condotte dei soggetti che «cooperano», ossia che concorrono nel delitto colposo, coefficiente psicologico che viene in genere identificato nella consapevolezza della convergenza della propria condotta con la condotta altrui (ovvero dell’altrui comportamento concorrente con il proprio) in almeno uno dei partecipi (consapevolezza che sarebbe l’elemento idoneo a differenziare la cooperazione colposa del concorso di condotte colpose indipendenti), è questione di fondamentale importanza sul piano dogmatico, ma che in questa sede non rileva. Ciò che rileva, nel caso in esame, è che ciascuna condotta – sia che la si voglia ricondurre alla cooperazione, sia che la si voglia assumere quale causa indipendente – possieda già in sé i «crismi» che – in base ad una valutazione normativa – consentano di qualificarla come «colposa». In altri termini, la singola condotta colposa deve autonomamente caratterizzarvi per la violazione di una regola cautelare. E così è stato nel caso in esame. Come puntualmente osservato dai giudici di merito, gli imputati si sono resi responsabili di plurime violazioni di norme sulla circolazione stradale, poste a presidio della sicurezza di persone e cose; in ora notturna, in un tratto di strada fiancheggiato da edifici, hanno messo in scena una competizione di velocità, sorpassandosi vicendevolmente a velocità sostenuta e, comunque, non adeguata al contesto. Va, poi, osservato che dette condotte sono state «causali» rispetto al drammatico evento, materialmente da ascriversi al violento impatto dell’autovettura condotta dal G. il quale, peraltro, mai si sarebbe venuto a trovare in quella situazione se non fosse stato spinto dall’impeto suo e da quello dei suoi rivali quell’improvvisata gara. Secondo i ricorrenti, non sussisterebbero – come sopra si è detto – elementi sufficienti per affermare che l’evento sia stato determinato dalle condotte colpose degli imputati, anziché dalla grave ed esclusiva colpa del G. Quand’anche si fosse accertato che il corteo delle tre autovetture procedeva, quando ancora si trovava a circa due chilometri di distanza dal punto d’urto, a velocità elevatissima e con sorpassi «interni», da ciò non potrebbe farsi derivare l’affermazione di responsabilità degli imputati. L’assunto non è condivisibile. A norma degli articoli 40 e 41 c.p. è, invero, causa penalmente rilevante la condotta umana, attiva o omissiva, che si pone come condizione necessaria – condicio sine qua non – nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato. Per stabilire se una condotta attivi o meno condicio sine qua non (e quindi causa) di un certo evento, si deve ricorrere ad un processo di «eliminazione mentale»: occorre cioè «eliminare mentalmente» l’azione che in effetti si è verificata nella realtà, e chiedersi se, nella ipotesi in cui questa non vi fosse stata, l’evento si sarebbe prodotto ugualmente, oppure no. Qualora a tale domanda si debba rispondere negativamente, e cioè se si concluda che l’evento non si sarebbe prodotto in mancanza di quell’azione, il nesso di causalità sussiste. Il rapporto causale va invece escluso qualora si possa  affermare che l’evento si sarebbe verificato comunque, anche se il soggetto agente non avesse posto in essere la condotta de qua. Si perviene, dunque, senza dubbi ragionevoli, ad affermare che sussiste il nesso causale tra la condotta degli imputati e la morte di G. Se, invero, gli imputati non avessero improvvisato quella gara di velocità, in ora notturna e su strada trafficata, reciprocamente «eccitandosi» e proponendo, in un breve volgere di tempo, un condensato di gravi violazioni delle norme in materia di circolazione stradale, l’impatto mortale non si sarebbe verificato. Era, in particolare, agevolmente prevedibile, secondo la migliore esperienza, che da quell’estemporanea gara avrebbe potuto scaturire quell’evento. La gara avrebbe portato i veicoli a raggiungere velocità elevatissime, eccessive rispetto alle situazioni oggettive dei luoghi, con il rischio, in quella strada a curve, di perdere il controllo del mezzo a causa della velocità o comunque di doversi trovare a fronteggiare possibili ostacoli e, in ogni caso, di mettere a repentaglio l’incolumità degli utenti della strada medesima, anche di quelli che procedevano nell’opposto direzione di marcia. Queste considerazioni portano altresì ad escludere l’invocata sussistenza di causa sopravvenute (nella specie, la condotta del G.) da sole sufficienti a determinare l’evento. L’articolo 41, comma secondo, c.p., afferma, invero ed in sostanza, che c’è nesso causale se l’evento è (co)determinato da fatti sopravvenuti assolutamente imprevedibili ed anomali. Ciò che – come si è detto – non si è verificato nel caso in esame. 6. – A seguito dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione in favore delle parti civili costituite delle spese, che si liquidano in complessivi euro 3.585, di cui euro 85 per spese, oltre Iva e C.P.A. (Omissis).  

 

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