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Sulla tutela del privato di fronte alle sanzioni amministrative: la legittimità del procedimento di riscossione coattiva
Di Luigi Rizzo
La legittimità di ogni procedimento di riscossione coattiva, compreso quello riguardante le sanzioni amministrative, non può avere altro fondamento che lo stesso diritto positivo (ius positum). Dunque, senza volersi addentrare troppo in questioni proprie della filosofia del diritto, il procedimento in parola – che piaccia o no – potrà senz'altro definirsi giusto (iustum), se eseguito secondo le leggi scritte, ma di certo non anche equo (aequum), secondo l'accezione latina del termine, dal momento che non viene – praticamente mai – percepito come tale dalla communis opinio. Si è ritenuto di evidenziare appena la differenza tra i concetti di “giusto” ed “equo”, per poter meglio stigmatizzare la scelta, da parte del gruppo di società (a partecipazione maggioritaria statale) che dal 2006 esercita l'attività di riscossione coattiva sul territorio nazionale, di presentarsi al pubblico con il nome – ormai famigerato, più che famoso – di “Equitalia”. Premesso e tralasciato ciò, ci si accinge ora a passare in esame alcuni dei punti più nevralgici del tema di che trattasi. Innanzi tutto, in merito alla tutela del privato, corre l'obbligo di evidenziare che l'enunciato normativo dell'art. 82, comma 1, cpc, come novellato dalla Legge 17 febbraio 2012 n° 10, giusta il quale “Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede € 1.100” (cioè senza l'assistenza tecnica di un difensore), appare ispirato più ad una tutela di principio – sacrosanta, ovviamente – che non effettiva. La possibilità di difendersi da soli, “in fatto e in diritto”, quando si venga raggiunti da un qualsiasi atto della procedura in questione (avviso bonario, cartella esattoriale, sollecito di pagamento, preavviso di fermo amministrativo, provvedimento di fermo del veicolo), è più virtuale che reale, a prescindere dal discorso economico, pur sempre legato anche all'importo dei vari dazi che lo Stato impone al cittadino, in termini di contributi unificati ed eventuali diritti di cancelleria. Districarsi nel labirinto giuridico delle questioni di competenza e giurisdizione, nonché tra i vari termini di notificazione, di decadenza e di prescrizione, è tutt'altro che agevole per i “non addetti ai lavori”: ne è riprova la bassissima percentuale dei ricorsi accolti ai privati cittadini che non si siano avvalsi dell’assistenza tecnica di un difensore. Appare, così, evidente che non basta la legge a garantire l'effettività della tutela del privato di fronte alla procedura di riscossione coattiva derivante da sanzioni amministrative. Non solo, ma a complicare la situazione ci si mettono, a volte, anche i giudici, con un succedersi di pronunciamenti l'un contro l'altro armati. È il caso, per esempio, del preavviso di fermo amministrativo, del quale la giurisprudenza, a fronte del silenzio normativo, aveva dapprima negato l'autonoma impugnabilità, salvo poi affermarla; è il caso, ancora per esempio, delle c.c. d.d. “cartelle miste”, derivanti, cioè, in parte da tributi non versati e in parte da sanzioni amministrative non pagate, per le quali, alla fine, sembrano[1] esserci due divesi giudici “naturali” da adire, quello tributario e quello ordinario, a seconda della natura tributaria o amministrativa dell'addebito che si voglia contestare. Molti altri esempi si potrebbero citare, ma si ritiene che de hoc satis. Quale sarà allora la miglior tutela per il privato? Sotto l'aspetto giuridico-processuale, sicuramente, non basterà una semplice difesa, ma occorrerà una vera e propria strategia difensiva. In concreto, a titolo esplicativo, si crede che limitarsi a dedurre l'inesistenza della cartella di pagamento notificata a mezzo posta da soggetti non abilitati dalla legge, in violazione degli artt. 26 del D.P.R. 602/1973, nonché 148 e 160 cpc, (per quanto la giurisprudenza tributaria più recente sia ormai costante nel dichiararla), può non essere sufficiente ad ottenere l'annullamento dell'atto impugnato. Ad adiuvandum, sarà bene rilevare ulteriori possibili profili di invalidità, tra quelli che ci si accinge ad elencare (sempre con riferimento a cartelle derivanti da verbali di contestazione di illeciti amministrativi):
- il difetto di notifica dei titoli prodromici alla cartella opposta – l’onere della cui prova grava sulla parte convenuta creditrice quale attrice in senso sostanziale – determina l’inesistenza del credito azionato e comporta non solo la caducazione della cartella stessa, per inesistenza del titolo esecutivo posto a base dalla sua emissione, ma anche l’estinzione della procedura esecutiva illegittimamente intrapresa (sul punto, ex plurimis, v. Cass. Civ. 19415/2010);
- la mancata compilazione della relata di notifica, relativamente all'indicazione della data di consegna e del nominativo della persona verso cui la notifica stessa è effettuata, è insanabilmente nulla (da ultimo, v. Cass. Civ., 398/2012, secondo cui si applicano gli artt. 148 e 160 c.p.c.), fermo restando che l’ente riscossore, ove non siano spirati i termini di decadenza, può procedere ad una nuova notifica della cartella;
- la prova della notifica sarà ritenuta assente, se l’agente della riscossione non deposita, oltre alla relata, anche la copia conforme all'originale della cartella.
- la riscossione di crediti derivanti da sanzioni per violazioni del C.d.S. mediante agenzie di riscossione è altresì illegittima: l’ente creditore può affidare a soggetti esterni solo la riscossione dei tributi locali, tra i quali non rientrano certamente le sanzioni amministrative (v. Cons. Stato, n. 4635/2006 e Giudice di Pace di Pisa, n. 805/2007, in Sole-24 Ore Norme e Tributi, 30 aprile 2007, p. 47);
- la (mancata) sottoscrizione della cartella – che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione “ha la stessa funzione dell’atto di precetto” (v. Cass. civ., n. 3231/2005) – comporta, come logica conseguenza, l’inesistenza della stessa ex artt. 125 e 480, quarto comma, c.p.c.[2];
- la violazione dell'art. 479 cpc, da parte dell'ente impositore e/o della società di riscossione, laddove l’esecuzione forzata (preavviso di fermo e fermo) non sia stata preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva (verbale di contravvenzione) e del precetto (cartella esattoriale), invalida l'intera procedura esecutiva;
- la richiesta di pagamento delle maggiorazioni per ritardato pagamento ex art. 27, comma 6, l. n. 689/1981 è illegittima, essendo queste ultime applicabili solo quando si procede alla riscossione di somme conseguenti all’emissione di ordinanze-ingiunzioni di pagamento (prefettizie) e non anche di meri verbali di contravvenzione;
- la cartella, priva dell’indicazione della data di apposizione del visto di esecutività al ruolo sotteso, è nulla, per violazione dell'art. 25 comma 2 bis del DPR 602/1973;
- secondo l'art. 1 comma 153 della Legge 244/2007 (Finanziaria 2008) che statuisce che “A decorrere dal 1° gennaio 2008 gli agenti della riscossione non possono svolgere attività finalizzate al recupero di somme, di spettanza comunale, iscritte in ruoli relative a sanzioni amministrative per violazioni del Codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per i quali [...] la cartella di pagamento non era stata notificata entro due anni dalla consegna del ruolo”.
- la cartella esattoriale che non contenga l’indicazione della base di calcolo degli interessi, ovvero in cui si ometta di indicare, in modo dettagliato, le aliquote applicate per ciascuna annualità di mora, è nulla (Corte di Cass., Sez. V, sent. n. 4516 del 21/03/2012)
Inutile dire che, se finora è stato possibile individuare già dieci vizi che minano sensibilmente la legittimità della procedura di riscossione in parola, la tutela del privato è fortemente compromessa, soprattutto nell’ipotesi in cui questi decida (dove possibile, nei limiti dell’art. 82 cpc) di non avvalersi dell’assistenza tecnica di un difensore. Verosimilmente, è per tutti questi motivi che la più recente giurisprudenza di merito (v. la sentenza del Tribunale di Roma – Sezione distaccata di Ostia resa il 21 settembre 2010 dal dott. Moriconi) è arrivata a definire l’esercizio dell’attività di riscossione coattiva – giuridicamente – pericoloso, ex art 2050 cod. civ.: se non altro, in considerazione di tutte le conseguenze pregiudizievoli per il cittadino che esso può comportare (rischio di iscrizioni di ipoteche, azioni esecutive sul patrimonio, stress esistenziale, etc.) Sotto l'aspetto giuridico-sostanziale, perciò – e in conclusione –, si auspica che in sede di ius condendum il Legislatore sia più attento di quanto non ha fatto finora con lo ius conditum, affinché la riscossione, per quanto “coattiva”, non sia anche “cattiva”; il tutto, a vantaggio di un nuovo sistema sanzionatorio e di riscossione “equo”, prima ancora che “giusto”, nell’accezione già resa all’inizio del presente intervento.
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[1] È del 27.11.2012, quindi in epoca immmediatamente successiva allo svolgimento del seminario de quo, la sentenza n° 21068, con cui la Cassazione sostiene che il preavviso di fermo amministrativo va sempre impugnato davanti al Tribunale, a prescindere che la sanzione sia scattata per violazione del codice della strada o di norme fiscali. [2] Più difficile è oggi dimostrare la non autenticità, per scadenza del relativo certificato, della firma eventualmente apposta elettronicamente