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Tutela dei ciclisti in fase di sorpasso

Senato della Repubblica
Disegno di legge n S 2658

Modifiche all'articolo 148 del codice della strada in materia di tutela della sicurezza dei ciclisti

Onorevoli Senatori. -- In molti Paesi europei la bicicletta è ormai uno dei mezzi di trasporto tra i più utilizzati, soprattutto per lo spostamento cittadino, in ragione della sua comodità e dell'esigenza di evitare, per quanto possibile, il traffico che ormai congestiona le città. L'incentivo all'uso di questo mezzo di trasporto è sostenuto dalle stesse istituzioni nazionali e internazionali anche perché assicura la possibilità di condurre uno stile di vita salutare ed ecologico.

L'utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto sta conquistando sempre più anche gli italiani che la usano sia per i propri spostamenti che per fare sport: i dati forniti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti affermano che dal 2013 in Italia si vendono più biciclette che automobili. Il mercato italiano registra l'acquisto di 1 milione e 600 mila bici contro 1 milione e 400 mila automobili, con un trend previsto in ulteriore crescita almeno fino al 2019. Un segno, questo, dell'esigenza da parte degli italiani di muoversi sempre di più in bicicletta, che non può più essere ignorato.

Oggi sono 70.426 gli atleti tesserati per la Federazione ciclistica italiana che opera su tutto il territorio nazionale attraverso 3.479 società sportive che sono impegnate sia a livello giovanile sia amatoriale sia professionistico (dati CONI 2014). Guardando, poi, al campo più ampio dei cittadini che dichiarano di utilizzare la bici per i propri spostamenti, parliamo di circa 4 milioni di persone, con la media più alta (13 per cento della popolazione) che si registra tra i giovani con un'età compresa tra i 15 e i 24 anni. Se in Italia a pedalare è, in media, il 6 per cento della popolazione, due punti in meno rispetto alla media europea, il confronto in questo campo deve necessariamente essere fatto con Olanda e Danimarca dove a pedalare sono rispettivamente il 36 e il 23 per cento dei cittadini (dati ECF -- European Cyclists' Federation -- 2014).

Considerando quanti utilizzano la bici per praticare sport e coloro che più semplicemente la usano per i normali spostamenti quotidiani, incontrare ciclisti per le strade è ormai molto frequente.

In questo sistema, però, le biciclette sono troppo spesso «nemiche» degli automobilisti, che cercano il momento migliore per sorpassarle perché viste molto spesso come un «intralcio» alla circolazione a motore.

Nonostante la parziale decrescita degli incidenti mortali che hanno interessato i ciclisti, registrata nell'ultimo decennio, i decessi di ciclisti a seguito di sinistri stradali nel 2015 sono stati ben 249, oltre 16.000 i feriti in un solo anno, con un indice di mortalità pari ad 1,43 (contro lo 0,67 delle autovetture) e un indice di lesività pari a 94,23 (contro il 65,05 delle autovetture) (dati Istat, 2016).

Osservando gli indici di gravità (rapporto tra numero di morti e numero totale di morti e feriti) si può notare poi che gli incidenti più gravi avvengono nell'ambito extraurbano dove ad influire sul maggiore rischio di decesso per i ciclisti è proprio la velocità dei veicoli motorizzati (dati università di Roma).

Tale situazione, che con il tempo sta rendendo sempre più difficile e conflittuale la coesistenza tra queste due categorie di utenti della strada, impone un intervento normativo che vi ponga, per quanto possibile, rimedio.

Imprescindibile punto di partenza per poter esaminare un possibile intervento normativo è certamente la qualità, riconosciuta dal nostro codice della strada alla biciletta, di «utente debole della strada» e, in quanto tale, meritevole di una più attenta tutela.

In tal senso, l'esperienza ci ha insegnato che una delle fasi più pericolose per i ciclisti è certamente quella del sorpasso da parte dei veicoli a motore che, spesso, effettuano tale manovra a distanza eccessivamente ravvicinata rispetto alle biciclette.

Attualmente, il nostro impianto legislativo è incentrato unicamente sul disposto di cui all'articolo 148 del codice della strada che, come noto, regolamenta il «sorpasso» in termini generali.

Più in particolare, i commi della predetta norma da prendere in considerazione sono sostanzialmente tre: il comma il 3, il comma 5 e il comma 12, lettera c), del citato articolo 148 che, tuttavia, come detto, ci offrono solo indicazioni generali per la fase di sorpasso.

Dall'analisi delle citate disposizioni, appare evidente che nel nostro ordinamento manca del tutto un'individuazione ben precisa della distanza minima che gli automobilisti che sorpassano i ciclisti devono mantenere, nonostante i pericoli per la sicurezza che derivano dalla manovra. Ciò, diversamente da quanto avviene in altri Paesi europei, da tempo molto attenti alla tutela della sicurezza dei ciclisti ed ai necessari rapporti tra ciclisti e automobilisti.

In molte città europee (Barcellona, Brema, Copenaghen, Edimburgo, Graz, Strasburgo, e molte altre ancora) è facile imbattersi in appositi segnali stradali che raccomandano alle auto di mantenere, in fase di sorpasso, una distanza di almeno un metro e mezzo dalle biciclette che viaggiano ai lati della carreggiata. La stessa distanza di sicurezza è sancita in Francia.

In Italia, invero, simili segnali sono stati apposti nel comune di Livigno che, da qualche tempo, ha adottato una politica di sensibilizzazione degli automobilisti a tenere una distanza di almeno un metro e mezzo dai ciclisti, durante la fase di sorpasso. Nel resto d'Italia la situazione relativa alla sicurezza dei ciclisti rimane critica e, anche per questo motivo, sono in molti a rinunciare all'utilizzo di un mezzo salutare ed ecologico come la bicicletta. Una piaga che viene avvertita dal 30 per cento dei cittadini italiani come un grave problema e che, di fatto, scoraggia in maniera determinante l'utilizzo che, di questo mezzo, si potrebbe fare anche nel nostro Paese (dati ECF -- European Cyclists' Federation -- 2014).

Ciò accade perché sono carenti innanzitutto le infrastrutture dedicate alle biciclette: le piste ciclabili sono oggi insufficienti a creare dei tragitti diversi ed alternativi a quelli utilizzati dai veicoli a motore; la diffusione dei ciclodromi è in crescita ma distribuita a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. Solo poche città hanno creato dei parcheggi sicuri per le biciclette e stanno aderendo ai progetti di bike-sharing che però risultano essere ancora insufficienti per fornire un servizio davvero efficiente e competitivo, mentre sono ancora praticamente inesistenti sui trasporti pubblici dei servizi pensati per integrare il tragitto in bicicletta permettendo di ospitare comodamente il mezzo all'interno di treni, autobus, tram o metropolitane.

Senza queste infrastrutture il ciclista che si muove in bicicletta, oltre a dover rispettare una serie di norme sui dispositivi di sicurezza (specchietto, campanello, fari, indumenti catarifrangenti) si trova a dover usare nella quasi totalità dei casi la rete viaria già impegnata dai mezzi a motore senza avere alcuna protezione normativa a propria tutela.

Si ritiene che la promozione della bicicletta come tipo di trasporto quotidiano nelle città non possa più fare a meno di una vera protezione dei ciclisti anche a livello normativo; nel nostro Paese andare in bicicletta è più pericoloso che andare in automobile o in motocicletta: quasi ogni giorno, infatti, sulle strade italiane perde la vita un ciclista, molti finiscono al pronto soccorso e tanti altri ancora vengono ospedalizzati, con i relativi, e non sottovalutabili, costi per il comparto sanità.

Lo sviluppo tecnologico adottato sui veicoli a motore ha reso questi ultimi sempre più sicuri per i passeggeri ma questi mezzi rimangono, tuttavia, la prima causa di mortalità per i ciclisti.

La recente introduzione nel nostro ordinamento del cosiddetto «omicidio stradale» è un evidente sintomo che l'orientamento e l'attenzione verso gli utenti deboli della strada sta cambiando nella direzione di offrire una sempre maggiore sicurezza a questi ultimi.

Con questo disegno di legge, di semplice attuazione, si vuole individuare un importante punto di partenza per arrivare in futuro ad una più compiuta soluzione del problema dell'alta incidentalità dei velocipedi. Attraverso questa modifica al codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, nella parte in cui regolamenta il sorpasso, infatti, si prevede l'introduzione nel nostro ordinamento della distanza minima di sicurezza per sorpassare un velocipede che dovrà essere di un metro e mezzo sia fuori che dentro i centri abitati. Tale norma è mutuata da quelle già adottate in altri Paesi europei e, pertanto, consentirà anche al nostro Paese di adeguarsi agli standard continentali in tema di sicurezza stradale.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 148 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo il comma 3, è inserito il seguente:

«3-bis. È vietato il sorpasso di un velocipede a una distanza laterale minima inferiore a un metro e mezzo».

2. Al comma 16 dell'articolo 148 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo le parole: «dai commi 9, 10, 11, 12 e 13» sono inserite le seguenti: «ovvero non rispetti la distanza minima di cui al comma 3-bis».

 

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