• Giurisprudenza
  • Assicurazioni e responsabilità civile
  • Dott.ssa Maristella Giuliano

Veicoli in disuso - Obbligo di copertura assicurativa

Corte di Cassazione II sez. civile
2 settembre 2008, n. 22035

RC auto – Art. 193 C.d.S. - Obbligo dell’assicurazione di responsabilità civile – Veicoli a motore in circolazione su strade ad uso pubblico o su aree ad esse equiparate – Veicoli usurati o privi di parti essenziali - Sosta su strade a uso pubblico – Obbligo assicurativo.

 

I veicoli a motore in sosta su strade ad uso pubblico, o su aree ad esse equiparate, anche se fortemente danneggiati, o privi di parti essenziali, sono tenuti all’obbligo assicurativo di cui all’art. 193 C.d.s salvo dimostrare la loro assoluta inidoneità alla circolazione o la sostanziale riduzione allo stato di rottame.   Svolgimento del processo Il Giudice di pace di Torino con sentenza del 4 febbraio 2004 rigettò l’opposizione proposta il 28 ottobre 2003 da R. G. avverso l’ordinanza del 16 giugno 2003, con la quale il Prefetto di Torino aveva ingiunto al R. il pagamento della sanzione amministrativa di Euro 1.381,95 per la violazione dell’art. 193 C.d.S., accertata in (XXXX), e disposto la confisca dell’autovettura di sua proprietà, tg. (*****), perchè circolante senza copertura assicurativa r.c.. Premessa la tempestività della notifica del verbale di accertamento e dell’ordinanza -ingiunzione ed escluse l’inesistenza o la nullità del provvedimento per incertezza sulla sequenza temporale degli atti del procedimento e difetto di motivazione, osservò il giudice che l’autovettura dell’opponente, ancorché recante segni di deterioramento, non poteva essere qualificata come rifiuto e la sua circolazione statica su suolo pubblico ne imponeva la copertura assicurativa. Il R. è ricorso con sei motivi per la cassazione della sentenza e l’intimato Prefetto di Torino non ha resistito in giudizio. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 195, comma 2, (Nuovo C.d.S.), del D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571, artt. 11 e 12, (Norme per l’attuazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 15, u.c., e art. 17, penultimo comma, concernente modifiche al sistema penale), e falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 11, (modifiche al sistema penale), essendo priva della trascrizione delle conclusioni delle parti e non essendosi pronunciata sulla domanda in esse contenuta di riduzione della sanzione, di cui l’ordinanza opposta aveva ingiunto il pagamento. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Come conviene il medesimo ricorrente, l’omissione, totale o parziale, della trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza non è causa di nullità della pronuncia, in quanto non condiziona l’effetto costitutivo della loro precisazione in atti anteriori ed autonomi dalla sentenza, e detta omissione può soltanto assumere valore sintomatico di un difetto di attività del giudice, laddove alla formale mancanza della trascrizione corrisponda nel provvedimento un’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su uno o più punti decisivi della controversia ovvero l’omessa pronunzia su una o più domande od eccezioni. La mancanza della trascrizione, quindi, non esonera la parte che denunci un’omessa pronuncia ovvero un’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza dal soddisfare l’onere, imposto dal principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare se, ed in quali termini, la domanda o l’eccezione ovvero la questione oggetto della doglianza fosse stata formulata nel giudizio di merito e, relativamente a quello di opposizione all’ordinanza-ingiunzione, di indicare se fosse contenuta o dedotta nell’atto di opposizione, giacché nel relativo procedimento, regolato dalla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 l’esame della legittimità della pretesa sanzionatoria della P.A. deve avvenire entro i limiti delle contestazioni sollevate dall’opponente ed un successivo ampliamento del thema decidendum non è consentito né d’ufficio e né in caso di accettazione del contraddittorio, salvo che dagli elementi acquisiti emerga l’inesistenza giuridica del provvedimento opposto. Ne segue la preclusione dell’esame in sede di legittimità di una censura, con la quale il ricorrente oltre a non riportare il tenore letterale della domanda, eccezione o questione che il giudice non avrebbe esaminato, deduca che la stessa era stata da lui formulata nelle conclusioni non trascritte nella sentenza e non anche nell’atto di opposizione. Va aggiunto, avendo il ricorrente menzionato nell’esposizione sommaria dei fatti l’avvenuta richiesta subordinata con l’opposizione di ridurre la sanzione irrogata al minimo edittale, che il giudice dell’opposizione all’ordinanza - ingiunzione, investito della questione relativa all’entità della sanzione e chiamato ad una diretta determinazione della stessa secondo i criteri previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 ove l’opponente, come evidenziato nel ricorso, si sia limitato a lamentare l’eccessività dell’importo da corrispondere, senza dedurre elementi specifici che potessero indurre ad apprezzare la violazione con minor rigore, può ritenere congrua la determinazione di una somma prossima alla metà del massimo della sanzione edittale, ove l’infrazione non abbia caratterizzazioni specifiche che possano indurre a maggiore o minor rigore, trattandosi di una valutazione conforme al criterio normativamente stabilito in via generale dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 203, comma 3, per gli illeciti previsti dal nuovo codice della strada (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 10 dicembre 2003, n. 18811; Cass. civ., sez. 50^, sent. 2 febbraio 1996, n. 1996). A tale principio si è conformato nella decisione il giudice di pace che, nel dichiarare tenuto l’opponente al pagamento della sanzione amministrativa applicata con l’ordinanza - ingiunzione, ritenendo la procedura sanzionatoria rispettosa della legge, e nel respingere ogni altra domanda, non ha mancato di pronunciarsi sulla richiesta di riduzione della sanzione non accompagnata dalla deduzione di alcun elemento specifico che potesse indurre ad attenuare la gravita del fatto, ma ne ha implicitamente ritenuto adeguata la fissazione dell’ammontare da parte dell’autorità amministrativa. Con il secondo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 195, comma 2, (Nuovo C.d.S.), e del D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571, artt. 11 e 12, (Norme per l’attuazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 15, u.c., e art. 17, penultimo comma, concernente modifiche al sistema penale), non recando la trascrizione delle conclusioni delle parti e non essendosi pronunciata sulla domanda di liquidazione delle spese di custodia dell’autoveicolo confiscato. Il motivo è inammissibile. Nel procedimento di opposizione all’ordinanza - ingiunzione del pagamento di una sanzione pecuniaria amministrativa, contemplato dalla L. n. 689 del 1991, artt. 22 e 23, avuto riguardo all’oggetto del giudizio, limitato all’accertamento della pretesa punitiva fatta valere dall’amministrazione nei confronti del destinatario, ed alla sua struttura, prevedente poteri istruttori ufficiosi, inappellabilità delle decisioni etc. , non possono essere introdotte domande, eccezioni e questioni diverse da quelli attinenti alla legittimità dell’atto amministrativo impugnato (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 7 novembre 2003, n. 16714; Cass. civ., sez. 3^, sent. 29 ottobre 1999, n. 12190). Non contenendo l’ordinanza impugnata, oltre alla sanzione accessoria della confisca dell’autovettura, anche l’ingiunzione del pagamento delle anteriori spese di custodia, la regolamentazione di esse non poteva, dunque, essere chiesta con l’atto di opposizione, esulando il recupero delle spese dai limiti imposti dal contenuto dell’ordinanza all’oggetto della controversia, e, non avendo il giudice di pace alcun obbligo di decidere su di essa, non è ricollegabile alcuna nullità della sentenza alla mancata pronuncia sulla relativa domanda, né, come già osservato, all’omessa trascrizione della stessa nelle conclusioni delle parti. Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c., falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204, comma 2 (Nuovo C.d.S.), e violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 1, comma 2, art. 2, commi 2 e 3, (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) non recando la trascrizione delle conclusioni delle parti e non essendosi pronunciata sull’eccezione di violazione del termine di trenta giorni stabilito dalla L. n. 241 del 1990, art. 2, commi 2 e 3, per la notifica dell’ordinanza - ingiunzione. Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha recentemente ribadito a sezioni unite il principio che le disposizioni di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, commi 2 e 3, tanto nella loro originaria formulazione, applicabile ratione temporis, secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla modificazione apportata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 36 - bis, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui detto termine è di novanta giorni, è incompatibile, nonostante il carattere generale del testo legislativo in cui è inserita, con i procedimenti regolati dalla 1. n. 689/81, che a sua volta detta un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve (cfr.: cass. civ., sez. un. 17 aprile 2006, n. 9591). L’infondatezza dell’eccezione di diritto non esaminata dal giudice dell’opposizione non può comportare dunque la cassazione della sentenza impugnata in ragione dell’omissione, giacché al mancato esame di un’eccezione che non incida sulla conformità a diritto del dispositivo della pronuncia deve provvedere il giudice di legittimità, facendo uso del potere a lui attribuito dall’art. 384 c.p.c., comma 2, di correggere ed integrare la motivazione della sentenza con l’enunciazione delle ragioni di diritto che sostengono la decisione impugnata (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 18 agosto 2006, n. 18190; Cass. civ., sez. 2^, sent. 12 aprile 2006, n. 8561; Cass. civ., sez. 1^, sent. 18 febbraio 2005, n. 3388). Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per falsa applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18, (modifiche al sistema penale), o del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285,art. 204, comma 1, (Nuovo C.d.S.), e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1, (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e per insufficiente e/o illogica motivazione in ordine all’adeguatezza della motivazione per relationem dell’ordinanza - ingiunzione, giacché le doglianze proposte in via amministrativa dall’opponente imponevano di porre a sostegno del provvedimento ragioni giuridiche ben più complesse. Il motivo è inammissibile. La denuncia non soddisfa l’onere imposto dal principio di autosufficienza del ricorso di indicare le ragioni esposte nell’opposizione a sostegno della deduzione dell’omessa e/o insufficiente motivazione dell’ordinanza - ingiunzione e la carenza non consente alcun apprezzamento sulla congruità rispetto ad esse dell’affermazione del giudice di pace che il provvedimento era adeguatamente motivato per relationem, così come generalmente consentito (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 24 aprile 2008, n. 10757; cass. civ., sez. I, sent. 11 gennaio 2006, n. 389), in quanto in esso erano richiamati “gli stessi motivi già esplicati nella precedente ordinanza datata 23 aprile 2003 di rigetto dell’opposizione al sequestro del veicolo”. Con il quinto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 193, commi 1 e 2, (Nuovo C.d.S.), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, comma 1, lett. a), art. 14, comma 1, e art. 50, comma 1, (attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), dell’art. 2, nn. 1 e 2, dir. 2000/53/CE, dell’art. 1, lett. a), dir. 75/442/CEE, nonché insufficiente e/o illogica motivazione, avendo affermato la sussistenza dell’obbligo di assicurazione r.c. senza la più seria indagine richiesta ed un minimo di istruzione probatoria sulle condizioni del veicolo e nonostante che lo stesso fosse classificabile come rifiuto, essendo fuori uso e non essendovi motivo di dubitare dell’intenzione dell’opponente di disfarsene, “intanto perché, non appena avuta notizia del sequestro, egli ne aveva immediatamente chiesto la restituzione al solo scopo di avviarlo direttamente alla rottamazione e, in secondo luogo, perché l’intenzione di disfarsi del veicolo fuori uso manifestata subito dopo il suo rinvenimento, non aveva affatto alcuno scopo elusivo di una sanzione”. Il motivo è infondato. La L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 1, prevede l’obbligo dell’assicurazione della responsabilità civile per i veicoli a motore posti in circolazione “su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate” e il D.P.R. 24 novembre 1970, n. 973, art. 2, comma 1, contenente il regolamento esecutivo della L. n. 990 del 1969, dispone che “Sono considerati in circolazione anche i veicoli in sosta su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate”. Quanto a questi ultimi, questa Corte ha ripetutamente affermato che i veicoli, ancorché privi di parti essenziali per un’autonoma circolazione o fortemente danneggiati od usurati, non sono esclusi dall’obbligo assicurativo se non risulti la prova della loro assoluta inidoneità alla circolazione e la loro sostanziale riduzione allo stato di rottame, non rilevando in contrario neppure la circostanza che il proprietario abbia raggiunto accordi con terzi per provvedere all’asporto ed alla successiva demolizione (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 29 novembre 2004, n. 22478; Cass. civ. sez. 1^, sent. 9 maggio 1991, n. 5189; Cass. civ., sez. 1^, sent. 15 giugno 1988, n. 4086). Detta affermazione è conforme alla disposizione dell’abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, n. 3, lett. l), - voce 16.01.00 all. A, (vedi ora per una identica formulazione il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184), secondo la quale costituisce requisito oggettivo per la classificazione come fuori uso dei veicoli a motore, rimorchi e simili, l’assoluta impossibilità materiale od inconvenienza economica del ripristino dell’idoneità del veicolo alla circolazione, con la quale doveva concorrere ai fini della loro qualificazione come rifiuti anche l’ulteriore requisito soggettivo dell’essersi di essi il detentore disfatto o di avere egli deciso o l’obbligo di disfarsi, richiesto dallo stesso cit. D.Lgs., art. 6, n. 1, lett. a). Secondo l’accertamento compiuto dal giudice di pace nessuno di tali requisiti era rinvenibile nella specie, atteso che l’autovettura dell’opponente, ancorché recante i segni di deterioramento causato da un prolungato abbandono, appariva fornita di tutti i componenti esteriori: carrozzeria, vetri, volante, sedili, ruote, fari, fanali e targhe di immatricolazione, e, non avendo il ricorrente specificato quale più seria indagine ed istruzione probatoria avesse chiesto per la sua classificazione come rifiuto, appare sufficientemente e coerentemente motivato rispetto ad esso il convincimento espresso che non si trattasse di “veicolo a fine vita”, secondo la definizione contenuta nel D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 e successive modifiche (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso), ed il mancato svolgimento anteriormente all’accertamento della violazione amministrativa di una attività diretta alla radiazione del veicolo dal P.R.A. documentato dall’esistenza delle targhe e riconosciuto dal medesimo ricorrente, escludeva, anche, secondo l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. a), fornita dal D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 14, conv. con L. 8 agosto 2002, n. 178, la sussistenza di una oggettiva manifestazione dell’intento del detentore di disfarsi di esso. Con il sesto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 202 e 204, e violazione del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 53, 55 e 57, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), e per insufficiente e/o illogica motivazione in ordine all’eccepita tardività dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, sottoscritta il 16 giugno 2003, essendo l’unica data certa quella del 16 luglio 2003 nella quale il Comune di Collegno lo aveva protocollato come atto da notificare. Il motivo è infondato. La sentenza ha compiutamente e logicamente affermato che la sequenza temporale degli atti del procedimento amministrativo, benché l’ordinanza-ingiunzione ed il rigetto dell’opposizione al sequestro recassero lo stesso numero di protocollo, era resa evidente dalla data apposta su ciascuno degli atti e che nessun ostacolo l’identità del numero aveva comportato per il controllo dell’operato della pubblica amministrazione. Va aggiunto che la tempestività di un provvedimento amministrativo si determina in base alla sua data di emissione, non a quella della notifica all’interessato, e che, essendo le risultanze dell’ordinanza - ingiunzione assistite da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., il ricorrente, il quale intende far valere l’inosservanza dei termini di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 203 sostenendo di nutrire dubbi in ordine alla data di emissione, in riferimento alla quale deve essere valutata la tempestività del provvedimento, ha l’onere di proporre querela di falso (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 8 febbraio 2006, n. 2817) e tale querela non risulta essere stata proposta. All’inammissibilità o infondatezza di tutti i motivi segue il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.

 

Documenti allegati